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UOMINI CHE ODIANO LE DONNE

L’odio e l’aggressività verso il femminile è al centro della cronaca di questi mesi: abbiamo imparato a conoscere bene parole come “femminicidio” e ad osservare le profonde implicazioni culturali, emotive e sociali che favoriscono l’emergere della violenza fisica, emotiva e psicologica verso le donne.


Perché accade?


Michel Foucault ha sottolineato come nei secoli le classi dominanti abbiano controllato e vincolato le donne, limitando la loro libertà, le loro possibilità di autonomia ed espressione. Il femminile è stato ridotto al materno, negando qualsiasi possibile realizzazione all’esterno della famiglia.


In effetti, solo tra Ottocento e Novecento è stato possibile osservare l’imporsi delle lotte femminili e femministe, per ottenere pari dignità lavorativa e sociale, diritto di voto e di autodeterminazione.


L’introduzione e la diffusione della contraccezione ha reso possibile separare in modo netto il femminile dal materno, aprendo alle donne la possibilità di vivere la propria sessualità senza essere vincolate al destino di “madri”.


Le evoluzioni economiche e sociali hanno quindi permesso un sempre più massiccio accesso delle donne nel tessuto economico e sociale dell’Occidente: posti di prestigio in realtà economiche e istituzionali, possibilità di trovare una propria realizzazione nel lavoro e nelle proprie passioni e non solo nella vita familiare.


L’emergere della femminile come autonomo dal maschile e dalla famiglia appare tuttavia una questione ancora aperta nella società contemporanea: spesso le donne divengono vittime di violenza emotiva, psicologica e fisica proprio a partire da un desiderio di autonomia, di separazione, di realizzazione personale.


Questo è reso evidente dai casi di cronaca che riempiono i giornali, i notiziari e anche le sedute: mai come in questi mesi, sono stati molti i pazienti che, durante le loro terapie, hanno raccontato la profonda impressione suscitata dagli eventi di questi mesi che hanno visto le donne divenire vittime della violenza di parenti, mariti o fidanzati.


Cosa anima questo odio contro il femminile? Cosa porta alla violenza contro le donne?

Trovare una sola ragione che spieghi un fenomeno tanto complesso sarebbe superficiale e riduzionistico; tuttavia possiamo sottolineare come il maschile, davanti alle lotte e all’emergere di un femminile nuovo, combattivo, capace di sostenere le proprie istanze, sia stato preso contropiede.


Davanti all’emergere di un nuovo femminile, autonomo e indipendente, il maschile non ha saputo ad oggi ancora far emergere una nuova rappresentazione di Sé in rapporto al femminile.

Il vecchio modello patriarcale, vetusto e superato, non è stato ancora sostituito dall’emergere di un nuovo riferimento maschile. Per questo, in questi decenni è emersa con sempre maggiore forza il tema della fragilità giovanile, in particolare dei ragazzi, privi di modelli riconosciuti a cui identificarsi.


Il “tramonto” del Padre edipico non ha visto il sorgere di una nuova stella: i giovani ragazzi, come lucciole confuse, seguono modelli effimeri, spesso inconsistenti, legati a valori di natura economica: facili ricchezze, fama, violenza ed immediatezza nel ricercare la soddisfazione di ogni capriccio. Il denaro, la violenza e l’eccesso divengono simboli di un potere vuoto e fragile.


Il femminile che si sottrae al mero ruolo di “oggetto” di soddisfazione maschile o di “madre” e “moglie” devota viene visto come un ostacolo intollerabile, un competitor da eliminare.

È proprio la sua dimensione “eteros”, irriducibile al racconto che l’uomo vuole imporre, a rendere il femminile una dimensione insostenibile per l’uomo moderno.


La violenza contro le donne ne è conseguenza. La violenza diviene il disperato tentativo di imporre nuovamente una riduzione del femminile a “cosa”, oggetto di proprietà, rifiutandone l’alterità.


Il rendere il femminile un oggetto tra gli altri è quindi il riflesso di un maschile fragile, incapace di tollerare l’incontro con l’altro in quanto soggetto autonomo, indipendente e riconosciuto.

La forza crescente del femminile ha mostrato agli uomini i limiti della propria fragilità.


Nell’immagine: Jago – Aiace e Cassandra


Per approfondire:

-“Pentirsi di essere madri: Storie di donne che tornerebbero indietro. Sociologia di un tabù” di Orna Donath;

-“Maschi in crisi?: Oltre la frustrazione e il rancore” di Stefano Ciccone



La statua di Jago ci mostra un momento drammatico: si tratta del rapimento di Cassandra da parte di Aiace, durante l’assalto finale alla città di Troia.

Si tratta di uno degli episodi che conclude l’Iliade, il poema omerico che racconta il decennale conflitto tra Achei e Troiani.


La veggente Cassandra è figlia di Priamo ed Ecuba, i sovrani della città di Troia.

Una volta invasa la città grazie al brillante stratagemma di Ulisse, il celebre cavallo pieno di guerrieri achei, le donne troiane subiscono un terribile destino: essere ridotte in schiavitù e portate in Grecia, lontane dalla loro città e dalle loro famiglie.


Abbiamo parlato di Ulisse in questo articolo.


Il dramma della donne troiane è raccontato con grande pathos nella tragedia “Le Troiane” di Euripide, rappresentata per la prima volta nel 415 a.C.

L’opera di Jago è un trionfo di vivacità e dinamismo: la scena del ratto è rappresentata con grande plasticità; il volto di Cassandra è sfigurato dall’ira e dal terrore. La scena è resa ancora più drammatica dalla chioma della principessa troiana, che pare sfigurarle il volto.


La grande differenza di dimensione tra le due figure, Aiace appare grande il doppio di Cassandra, trasmette un senso di brutalità che colpisce lo spettatore: la violenza bruta dell’eroe acheo è esaltata dalla grandezza e potenza del corpo e dei muscoli.

La figura di Cassandra è invece sensuale e filiforme, delicata ma colta in uno spasmo, contratta nel desiderio di liberarsi dalla stretta del suo rapitore.


Il mito racconta di come Cassandra sarà destinata a divenire schiava di Aiace. La rozzezza e la brutalità del ratto e della violenza contro la profetessa saranno tra i motivi che renderanno difficile per Aiace il ritorno in Patria.

 
 
 

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