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IL CANTO DELLE SIRENE

"Vieni, famoso Ulisse, eroe dei greci, ferma la nave, così potrai ascoltarci.

Nessuno è mai passato di qui senza fermarsi ad ascoltare il dolce suono del nostro canto,

chi si è fermato se ne è andato dopo avere provato piacere e acquisito più conoscenza.

Noi sappiamo quante sofferenze patirono in Troade gli Achei e i Troiani per il volere degli dei;

sappiamo tutto quello che è successo su quella fertile terra".


Con queste parole le sirene, nel libro XII dell’Odissea, cercano di convincere Ulisse a fermare la nave e ad ascoltare il loro canto.

Il passaggio lungo l’isola delle sirene è uno dei più famosi episodi dell’Odissea. Le sirene, creature in antichità descritte come metà donna e metà uccello, erano note per il loro canto, capace di convincere anche i marinai più esperti a gettarsi in acqua per raggiungere la loro isola. Fatalmente, le sirene uccidevano tutti coloro che si soffermavano ammaliati dal loro canto.


Ulisse, informato dalla maga Circe, adotta uno stratagemma per sopravvivere: ordina ai suoi uomini di remare, senza fermarsi e senza rallentare la nave; copre le orecchie dei suoi uomini con la cera, così che non sentano il canto delle sirene e decide di farsi legare all’albero della sua nave.

Una volta legato, nonostante la seduzione delle sirene non sarebbe stato possibile per Ulisse liberarsi dagli stretti nodi realizzati dai suoi esperti marinai, avendo così salva la vita.


Il commento a questo libro solitamente si sofferma su Ulisse e sul suo inesauribile desiderio di sapere e di sperimentare: l’eroe non teme infatti di ascoltare il canto delle sirene; anzi, ne è affascinato e adotta tutti gli stratagemmi necessari per poterlo ascoltare indenne.


Pochi invece si sono soffermati sul canto delle sirene. Perché il loro canto è capace di affascinare e sedurre i marinai?

La Psicoanalisi ci può aiutare a trovare una risposta. Lacan, nel corso del suo insegnamento, ha osservato come due fossero gli “oggetti” legati all’amore: lo sguardo e la voce.

Possiamo rendercene conto in modo molto semplice, facendo riferimento anche all’esperienza di ciascuno di noi: ci si innamora nel momento della vista o dell’ascolto della voce di chi amiamo.


L’oggetto “voce”, così come l’oggetto “sguardo”, costituisce un’innovazione di Lacan alla teoria della relazione d’oggetto. Questi due oggetti vanno ad aggiungersi ai tre classici oggetti della teoria freudiana (orale, anale, fallico), ma hanno uno statuto particolare.


Tanto lo sguardo quanto la voce sono caratterizzati da una certa inconsistenza materiale e dal rapporto con delle zone erogene particolari: l’orecchio e l’occhio. Entrambe le funzioni, ascoltare e vedere sono automatiche, sottratte alla volontà del soggetto.


Possiamo distrarci, ma non possiamo impedire all’orecchio di sentire o all’occhio di vedere.

Come gli altri oggetti della psicoanalisi, voce e sguardo sono chiamati oggetti perché separabili dal corpo e dotati della capacità di essere causa del desiderio e del godimento del soggetto.


La voce può essere fonte di una soddisfazione che Lacan non teme di considerare sessuale. Non a caso, nel corso del Sem. XI, afferma: "Parlo, non scopo. Ma posso sperimentare la stessa soddisfazione parlando".


La voce ha la capacità di smuovere le passioni e suscitare ricordi, eccitare gli animi e sedurre.

Non a caso, la voce è centrale nell’esperienza dell’analisi: l’analista si segnala al suo analizzante tramite la propria voce, sottraendosi allo sguardo (ponendosi alle spalle del lettino del paziente).

Allo stesso tempo, l’analista chiede al suo paziente solo una cosa: di parlare, di dire liberamente. Di fare cioè esperienza della parola e della sua voce.


Lacan legge durante uno sei suoi Seminari


Per approfondire:

-Lacan, il Seminario, Libro X;

-Voce. Un incontro tra filosofia e psicoanalisi, a cura di Matteo Bonazzi et al.;

-Omero, Odissea.

Herbert Draper, “Ulisse e le sirene” (1909)


Tra gli aspetti fondamentali dell’oggetto voce è la sua sottrazione, una volta divenuto oggetto, prodotto, ad ogni padronanza. Non a caso, anche chi parla fa esperienza del suo ascolto.

Se si parla, c’è quindi sempre chi ascolta.


Lacan più volte ha sottolineato il ruolo centrale della voce nell’esperienza umana, enfatizzandone la dimensione di godimento.

Tramite la voce abbiamo infatti l’esperienza tanto del transfert quanto della ripetizione: non a caso scegliamo di ascoltare, anche più volte, la voce di una persona verso il quale proviamo una passione.


In questo caso è evidente il sottrarsi della voce alla mera comunicazione, divenendo veicolo di godimento nell’atto dell’ascolto.


La musica è un esempio dei diversi contesti nei quali si fa esperienza del godimento che la voce può offrire.


Così la voce, che è sempre “estima”, cioè sempre esterna, può apparire nel reale nella forma dell’allucinazione sonora. Lungi dal rappresentare un fenomeno di alterazione dell’ascolto o un errore del percetto, la fine analisi che Lacan prima, e Miller poi, offrono del fenomeno allucinatorio ci mostrano con forza cosa si gioca nel fenomeno dell’allucinazione verbale: cioè che non è riconosciuto nel simbolico ritorna nel reale.


Ne abbiamo un esempio nel caso di una giovane paziente psicotica, commentato da Lacan: il ritorno allucinatorio di un significante (“Troia!”), avvertito come pronunciato da un passante e rivolto alla paziente, mostra come in gioco ci sia una parola che proviene dalla paziente stessa e che tuttavia essa non può riconoscere come proprio perché forcluso. Unica soluzione è attribuirlo all’altro che incontra, per l’impossibilità di riconoscere l’Altro che la abita.




 
 
 

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