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TARZAN SUL LETTINO DI FREUD

Aggiornamento: 6 ore fa

Tarzan è un personaggio immaginario, nato dalla fervida fantasia dello scrittore Edgar Rice Burroughs. Il primo romanzo che lo vede protagonista, intitolato “Tarzan delle scimmie” è stato pubblicato nel 1912 ed è rapidamente divenuto un grande successo.


Tarzan prende forma nel pieno della cosiddetta “Belle Époque”, gli anni prima della g

Grande Guerra, durante i quali la cultura europea occidentale si impose sul resto del mondo.


Le esplorazioni dei continenti meno conosciuti, come l’Africa, portarono le potenze europee a scoprire e sottomettere culture considerate inferiori.


L’arrivo di manufatti esotici costituiva uno stimolo importante per l’arte europea, come le opere di Picasso e Modigliani dimostrano.


Pensiamo ad esempio, all’opera “Les demoiselles d’Avignon” di Picasso del 1912: l’artista rappresenta delle donne con maschere africane. Non a caso quest’opera costituisce il dipinto più conosciuto del cosiddetto “periodo africano” di Picasso.


In questo vibrante e vivace contesto culturale, Tarzan rappresenta l’archetipo dell’uomo primitivo che torna in contatto con la civiltà. Non si tratta semplicemente di un simbolo che rappresenta la difficile coesistenza tra mondi culturali diversi; piuttosto, è in gioco il lutto collettivo dell’umanità per la perdita dello "stato di natura".


Il mito del “buon selvaggio” ha molteplici esempi nel passato: i filosofi Thomas Hobbes, John Locke e Jean-Jacques Rousseau immaginavano come potesse essere un’umanità prima della legge e dell’emergere della cultura.


Ad esempio, per Hobbes, lo stato di natura sarebbe stato caratterizzato da una violenta conflittualità senza limiti; per Rousseau invece lo stato di natura sarebbe stato l’unico nel quale trovare libertà, salute e felicità.


Anche la psicoanalisi si interroga sul rapporto tra natura e civiltà. Per Freud la civiltà era un male necessario, utile a vincolare la spinta dell’aggressività; accettare le regole e i limiti della civiltà significa rendere possibile la vita "umana", al prezzo della rinuncia ad una piena soddisfazione della pulsione.


Lo psicoanalista Jacques Lacan sottolinea invece la strutturale condizione di "alienazione" dell’uomo rispetto allo "stato di natura"; secondo Lacan non vi sarebbe stato di natura per effetto del linguaggio. In altre parole, l’esistenza stessa del linguaggio costituirebbe la condizione di separazione permanente e strutturale dell’uomo dal resto degli esseri viventi.


Secondo questa concezione, il concetto stesso di stato di natura sarebbe un vero e proprio mito; non sarebbe quindi possibile distinguere tra un tempo nel quale l’uomo era una creatura tra le altre e invece l’inizio della storia e della civiltà.


Tarzan allora rappresenterebbe l’ennesimo tentativo di sublimare questo "lutto collettivo", attraverso l’incontro reale con un’umanità non corrotta, non influenzata dalla cultura e dalla legge.


Tarzan comunica con gli animali, in una profonda connessione con loro.

L’uomo civilizzato è invece esiliato, escluso e alienato: distante dal proprio desiderio, è per così dire “traumatizzato” e “negativizzato” dall’effetto del linguaggio sulla psiche e sul corpo. Per questo, alla luce della psicoanalisi, nell’uomo non si parla di istinto bensì di “pulsione”.


Da un altro punto di vista, alcuni psicoanalisti della scuola chiamata “psicologia dell’Io” considerano possibile rintracciare la dimensione primitiva dell’umanità nell’inconscio; secondo questa concezione, l’inconscio sarebbe la parte animale dell’uomo, priva di regole e dei limiti imposti dalla civiltà. In questo senso, l’io dovrebbe imporsi sull’inconscio per civilizzarlo.


Lacan invece critica questa concezione perché coglie nell’inconscio una “ragione alternativa” a quella dell’Io e dell’Altro; se gli psicologi dell’Io affermano che l’istanza dell’Io debba subentrare all’inconscio primitivo per civilizzare l’umanità, Lacan invece afferma che siano l’inconscio e il desiderio del soggetto a doversi realizzare, relativizzando il peso dell’Io nell’economia psichica.


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Per approfondire:

•⁠ ⁠Edgar Rice Burroughs – “Tarzan delle scimmie”;

•⁠ ⁠Sigmund Freud – “Il disagio della Civiltà”;

•⁠ ⁠Alex Pagliardini – “Jacques Lacan e il Trauma Del Linguaggio”.


La figura di Tarzan, resa celebre da romanzi, film e musicals, ha affascinato per più di un secolo le fantasie di giovani, uomini e donne dell’Occidente.

Che lingua parlano i selvaggi? Qual è la lingua originale dell’uomo? E la sua natura? Cosa ne è dell’uomo senza l’educazione?

 

Tutte queste domande si scontrano con un’evidenza drammatica: non vi è preistoria, non vi è civiltà prima della civiltà; l’uomo nasce insieme alla cultura, che non è separabile da essa.

Per questo, nel mito del buon selvaggio in realtà vediamo in azione l’effetto traumatico del linguaggio; l’alienazione che esso determina causa nel soggetto il desiderio di recuperare quanto perduto, in una spirale melanconica senza fine.


 
 
 

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