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LA PARABOLA DEI CIECHI DI BRUEGEL

La “Parabola dei ciechi” è un’opera di Pieter Bruegel il Vecchio, realizzata nel 1568 circa e conservata nel Museo nazionale di Capodimonte di Napoli.


Si tratta di un dipinto su tela dal tema assolutamente originale: l’artista ritrae una carovana di ciechi che, disposti in fila indiana, uno dopo l’altro cadono in un fosso.


La parabola dei ciechi è un tema presente nei Vangeli; nel Vangelo secondo Matteo è presente un episodio della vita di Cristo nel quale egli si rivolge ai Farisei: “Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!” (Matteo 15:14).

Anche nel vangelo secondo Luca è presente un simile riferimento: “Può forse un cieco fare da guida a un altro cieco?” (Luca 6:39).


La parabola dei ciechi
La parabola dei ciechi

L’opera di Bruegel il Vecchio ebbe la luce in un periodo storico di terribili sconvolgimenti per l’Europa: le guerre di religione tra protestanti e cattolici devastavano campagne e città, seminando morte e distruzione.


Ciascuna fazione, forte del proprio credo, vedeva nell’avversario un nemico mortale, per Dio e per la propria fede. Per questo, le violenze continuarono, tra varie vicende, per più di un secolo, fino alla Guerra dei trent’anni (1618-1648).


Pieter Bruegel rappresenta sei ciechi, ognuno affetto da una forma diversa di cecità: tuttavia il volto del primo uomo è rivolto lontano dallo spettatore; il secondo sembra invece cercare di proteggere il proprio viso, prossimo alla rovinosa caduta; il terzo regge il bastone, inconsapevole del proprio destino;


Di particolare pregio è il viso del secondo cieco, i cui occhi sono evidentemente asportati.


Il significato allegorico dell’opera avrà un grande impatto sull’arte e sulla letteratura dei secoli successivi. In molti citeranno questa opera o faranno ad essa riferimento; in particolare, i ciechi di Bruegel rompono la tradizionale rappresentazione del cieco come “aedo”, tramite della divinità. La cecità che l’artista immortala emerge in tutta la sua vena misera e tragica: i protagonisti cadono inconsapevoli del loro destino, marciando verso la caduta.

Tra gli autori che si faranno ispirare, un posto d’eccezione è occupato da Charles Boudelaire:

“...Guarda! anch’io mi trascino! ma, più inebetito d’essi, Io dico: Cosa chiedono al Cielo, tutti questi ciechi?...”


Il paesaggio, austero, è tipico dei territori fiamminghi abitati da Bruegel: è stato perfino possibile identificare il villaggio ritratto, riconoscendolo nel villaggio fiammingo di Sint-Anna-Pede.


Possiamo accostarci all’opera per cercare di interpretarlo alla luce di un concetto chiave della Psicoanalisi: quello dell’individuazione.


Si tratta di un concetto caro a Carl Gustav Jung, ma che trova potenti echi nella filosofia di Socrate e nel pensiero di Lacan (alienazione e soggettivazione).

Possiamo considerare la cecità dei sei uomini ritratti da Bruegel come la condizione originaria di ciascun uomo: l’alienazione. Presi dal discorso dell’Altro sociale e familiare che pre-esiste alla nostra nascita, seguiamo tutti un percorso predefinito, già scritto. L’Altro ha già creato una strada per noi: conosciuta, sicura e comoda. Ma fa davvero per noi?


Tuttavia, lungo questa strada, come ha osservato Freud nei suoi saggi sul lapsus e sulle dimenticanze e sul motto di spirito, finiamo con l’inciampare. La caduta dei ciechi mostra il sostanziale fallimento di questo progetto dell’Altro per noi.


Scopo dell’analisi è invece “aprire gli occhi” sul nostro personale cammino: se Socrate individuava nel “daimon”, il demone interiore, l’entità da realizzare per divenire quello che siamo, Lacan indica invece nella realizzazione del desiderio inconscio la meta fondamentale della vita.

L’incontro col desiderio inconscio è spesso nella forma del lapsus, del sintomo, di ciò che non funziona come “dovrebbe”, mostrando invece l’esistenza di una verità inconscia, prima invisibile.


“Diventa chi sei” e “realizza il tuo desiderio” possono essere due massime che indicano la necessità di aprire gli occhi sul nostro particolare talento, sull’unicità di ciascuno, spingendoci ad andare oltre quanto l’Altro ha previsto per noi. L’inciampo, che segna il fallimento del progetto dell’Altro, è l’occasione per seguire un sentiero nostro, nuovo.


Per approfondire:

-Sigmund Freud: Psicopatologia della vita quotidiana (1901);

-Carl Gustav Jung: Coscienza, Inconscio e Individuazione (1935);

-Jacques Lacan: Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964).



L’opera di Bruegel è una delle quattro sopravvissute del maestro fiammingo. Una di queste, “Il Misantropo”, si trova a sua volta nel Museo di Capodimonte, a Napoli.


L’arte di Bruegel è nota per i molteplici riferimenti simbolici, sapientemente amalgamati con il vivido e dettagliato ritratto dei personaggi che animano le sue opere: gli abiti, i personaggi e i paesaggi sono ritratti con moltissimi e curati dettagli, tanto da rendere le tele delle preziose testimonianze dei costumi dell’epoca.


Il concetto di “individuazione” e quello di “alienazione e separazione”, parte del più ampio lavoro analitico di soggettivazione della propria storia, mostrano il cammino solitario che l’analisi comporta.


Abbiamo affrontato questi concetti anche in questo articolo.


L’analizzante è chiamato a riformulare un proprio discorso, a partire da quanto gli è accaduto e da quanto è stato detto di lui: fare proprio il discorso dell’Altro significa riscrivere la propria storia, dandole una torsione originale, aperta al futuro e alla propria unicità.


Dallo stesso far emergere qualcosa di nuovo, che sia testimonianza del nostro, personale, rapporto con il Desiderio.

 
 
 

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