SLAVOJ ZIZEK E L’ARTE MODERNA
- riccigianfranco199
- 4 mar
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Aggiornamento: 5 mar
L’arte contemporanea è sempre più divisiva: cosa rende un oggetto un’“opera d’arte”?
Quando possiamo parlare di “arte” e non di improvvisazione? Cosa definisce un artista?
Con il suo stile ironico e dissacrante, il filosofo sloveno Slavoj Zizek si sofferma davanti all’enigma dell’arte contemporanea e ci offre alcune indicazioni precise e fulminanti:
“nell’arte contemporanea , il margine che separa lo spazio consacrato del bello sublime da quello del trash, si sta gradualmente assottigliando, fino ad arrivare ad una paradossale identità degli opposti: i moderni oggetti artistici sono sempre più escrementizi, sempre più trash”.
Secondo Zizek, questo si traduce in un impasse radicale per la funzione che l’arte assolve. Di quale impasse si tratta?
“L’impasse è, nella sua dimensione più radicale, l'impasse che influisce sul processo di sublimazione, non tanto nel senso che la produzione artistica non sia oggi più capace di realizzare oggetti semplicemente “sublimi”, quanto in senso molto più radicale.
Si può affermare, infatti, che lo schema fondamentale della sublimazione - quella del vuoto centrale, dello spazio vuoto sacro della cosa esonerata dal circuito dell'economia quotidiana, che viene infine riempito da un oggetto positivo che è “elevato alla dignità della Cosa” è sempre più minacciato.”
Zizek sottolinea la presenza di un vero e proprio ribaltamento nel paradigma artistico: l’opera ora non incarna più di per sé il “bello”, il “sublime”, bensì l’orrido, l’inquietante, il ripugnante.
Ciò che conta è il posto che occupa: il posto dell’“oggetto-causa di desiderio”.
L’arte contemporanea avrebbe al centro il “rifiuto”, il “trash”, inteso come riflesso di un altro tipo di oggetto, quello che Freud chiama “la Cosa”, “Das Ding”.

Che cos’è “Das Ding”? Freud (e in seguito Lacan) indica nella “Cosa” l’oggetto da sempre perduto della prima fondamentale soddisfazione pulsionale: un oggetto assoluto e mitizzato, unico.
“Das Ding” diviene la stella polare della pulsione, massimo catalizzatore del desiderio.
Zizek evoca la centralità di un’economia alternativa a quello del “mercato”: l’economia del “godimento psichico”, basata sulla spinta del desiderio inconscio, animata non dal profitto ma dalla ricerca della “Cosa”.
Das Ding è per Lacan “originariamente ciò che chiameremo il fuori significato”. La Cosa è muta, non si lascia afferrare né dalle immagini né dalle parole. Se c’è la parola, non ci può essere la Cosa. L’ingresso del soggetto nel linguaggio “uccide la Cosa”, rendendola perduta e animando, di conseguenza, il desiderio inesauribile di ritrovarla.
Cosa differenzia per Zizek l’arte del passato da quella di oggi?
“Quindi, se il problema dell'arte tradizionale (pre-moderna) era quello di riempire il sublime vuoto della Cosa (il Luogo Puro) con un oggetto bello - ossia come riuscire ad elevare efficacemente un oggetto comune alla dignità della Cosa - il problema dell'arte moderna è, in un certo senso, quello opposto (e molto più disperato): non si può più contare sul fatto che il Luogo Sacro sia lì, pronto per essere occupato dai manufatti umani...
In altre parole, il problema non è più quello dell'horror vacui, riempire il vuoto, ma piuttosto quello, innanzitutto, di CREARE il Vuoto…
In altre parole, il paradosso è che soltanto un elemento che è completamente fuori luogo (...un rifiuto, uno scarto) può reggere il vuoto di un luogo vuoto…”
Ecco il paradosso del tempo nel quale il simbolico cede il passo al Reale: non c’è più garanzia di sacralità, di valore, di limite; l’incontro paradossale tra l’oggetto – scarto e il luogo nel quale è inserito crea l’effetto artistico, rende il luogo un luogo d’arte e l’oggetto un’opera d’arte.
Il “troppo pieno” degli oggetti prodotti in serie, della massiva quantità di prodotti e informazioni annienta il vuoto, invade ogni spazio, rendendo ogni cosa “oggetto merce”, di valore solo perché traducibile in denaro.
L’unico oggetto a sottrarsi a questo circuito è lo scarto, appunto il “trash”, perché oramai escluso da questo circuito, oramai privo di valore.

Conclude Zizek:
“Forse la definizione più concisa della rottura modernista in campo artistico è proprio che, grazie ad essa, la tensione tra l'Oggetto (arte) e lo spazio che esso occupa è considerata riflessivamente: ciò che fa di un oggetto un'opera d'arte non sono semplicemente le sue caratteristiche materiali, ma è il luogo che occupa, il Luogo (sacro) del Vuoto della Cosa.
In altre parole, con l'arte modernista, si perde per sempre una certa innocenza: non possiamo più fingere di produrre oggetti che, in virtù delle proprie caratteristiche, cioè indipendentemente dallo spazio che occupano, “siano” opere d'arte.”
È evidente: la “Venere di Milo”, dovunque si trovi, resta un’opera d’arte; l’opera di Manzoni, invece, è, proprio per il paradosso assoluto del posto che occupa, la teca in un museo, “elevata alla dignità della Cosa”.
Per approfondire:
-Slavoj Zizek – “Il trash sublime” (2013);
-Jacques Lacan - “Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960)”;
-Massimo Recalcati – “Il miracolo della forma. Per un’estetica Psicoanalitica”.
Zizek sottolinea il profondo effetto trasformativo del mercato e delle sue logiche nel mondo dell’arte: l’oggettificazione dell’opera, la sua trasformazione in merce, si traduce in una sua serializzazione che ne annulla la portata artistica.
In questo senso, è il “fuori serie”, il “fuori ordine” ad incarnare l’artisticità dell’opera stessa.
Le feci di Manzoni, in quanto “esposte” nel chiuso di un barattolo di latta, divengono oggetto d’arte perché, scarto tra gli scarti, è sotto gli occhi di tutti e non nel privato del bagno di casa Manzoni.
Lo scarto, privo di valore, è la cifra della resistenza alla pervasività del consumo e alla logica del capitale, che a tutto assegna un prezzo. In questo senso il “Das Ding” freudiano si pone come un “motore” alternativo, basandosi non sull’economia di mercato ma su quella del godimento.
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