SIGMUND FREUD E L’INIBIZIONE
- riccigianfranco199
- 25 giu
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Nel corso delle sue ricerche, Sigmund Freud si è imbattuto in una gran varietà di fenomeni clinici, cercando di cogliere il loro significato inconscio. Tra le manifestazioni nevrotiche, occupa un posto di rilievo l’inibizione.
Che cos’è l’inibizione secondo Sigmund Freud?
Il padre della psicoanalisi la definisce così:
“l'inibizione esprime una restrizione di una funzione dell'Io”.
Il padre della psicoanalisi sottolinea che sintomo ed inibizione, benché non siano lo stesso fenomeno clinico, abbiano “radici comuni”. In particolare, se l’inibizione riflette una “restrizione” di una funzione, il sintomo invece rappresenterebbe una più ampia gamma di “modificazioni” o “alterazioni” di una funzione dell’Io.
Nella sua opera “Inibizione, sintomo e angoscia” (1925), Freud esplora i diversi campi nei quali l’inibizione può emergere: la sessualità, il camminare, il mangiare e il lavoro…
Cosa spingerebbe l’Io nella direzione di una “restrizione” delle sue funzioni? La minaccia di un conflitto.
Sottolinea Freud:
“L'Io rinunzia a queste funzioni che gli sono assegnate per non dover intraprendere una nuova rimozione, per evitare un conflitto con l'Es.”
L’inibizione può quindi essere risultato del conflitto tra una spinta pulsionale inaccettabile e le esigenze dell’Io, sempre attento alle richieste del mondo esterno.
E nel caso del lavoro? Continua Freud:
“Altre inibizioni si palesano manifestamente al servizio dell'autopunizione, come avviene non di rado nel caso delle inibizioni dell'attività professionale. L'Io non deve fare determinate cose, perché esse gli porterebbero utilità e successo, ciò che il severo Super-io non permette.
L'Io rinunzia quindi a queste attività per non finire in conflitto col Super-io.”
Ecco emergere lo sfondo edipico del conflitto: realizzare pienamente le proprie aspirazioni può significare il superamento dei confini segnati da quanti ci hanno preceduto. Tutto ciò può tradursi in un vissuto ambivalente, tra ambizione e timore di tradire…
Come superare l’inibizione?
Abbiamo un esempio del trattamento possibile dell’inibizione nella storia di uno dei maestri della storia dell’arte del secolo scorso, l’italiano Emilio Vedova.
Nato a Venezia, una delle grandi capitali della storia dell’arte, autodidatta ed esploratore di nuovi linguaggi pittorici, Vedova si è autorizzato, come artista, a lasciarsi alle spalle i canoni tradizionali e accademici, dando vita ad una forma d’arte inedita e singolare.
Nel 1946, a Milano, è tra i firmatari del manifesto “Oltre Guernica”. Nello stesso anno a Venezia è tra i fondatori della Nuova Secessione Italiana poi Fronte Nuovo delle Arti.
Negli anni, Vedova fa evolvere il suo stile, ponendo al centro della sua arte la spontaneità del segno, realizzando opere composte da linee spezzate e da fendenti.
Vedova negli anni si è sempre dedicato all’insegnamento della pratica artistica, tenendo lezioni in diverse università americane e corsi alla Internationale Sommerakademie für Bildende Kunst di Salisburgo e alla Accademia di Belle Arti di Venezia.
Come sottolineato dallo psicoanalista Massimo Recalcati, Vedova sosteneva i giovani artisti bloccati davanti al peso psicologico della tela bianca: cosa inibisce l’artista davanti alle infinite possibilità di una tela bianca?
Lo psicoanalista non si fa ingannare: la tela bianca è in realtà “piena”, gravata del peso di tutti i quadri della storia dell’arte, con i quali il pittore è chiamato a confrontarsi realizzando un’opera nuova.

Ecco allora l’Atto del Maestro: davanti all’inibizione dei suoi giovani allievi, Vedova, con gesto repentino ed istintivo, spezzava il bianco uniforme delle tele con un fendente di colore, rompendo la dimensione di blocco della tela vergine.
Davanti all’atto del Maestro l’allievo riusciva a scaricare la propria angoscia, rendendo finalmente possibile il lavoro.
Ogni atto creativo infatti non accade nel vuoto, ma si basa sul passato di chi lo realizza: che funzione svolge il passato? Ci stimola, ci ispira o ci vincola alla sottomissione nei confronti dell’Ideale da non superare?
Il giovane artista può realizzare qualcosa di nuovo o deve rimanere vincolato al passato?
Per approfondire:
-Massimo Recalcati – “Il mistero delle cose”;
-Emilio Vedova – “Pagine di diario”;
-Gabriella Belli – “Rivoluzione Vedova”.
La storia di Emilio Vedova mostra con chiarezza una delle possibili funzioni del Maestro: umanizzare il rapporto con il passato e con il sapere.
Il suo Atto offre l’occasione all’allievo di mettersi in gioco, spezzando la pressione del passato che impedisce al Nuovo di emergere.
In questo senso, il Maestro non è solo il depositario di un sapere e colui che lo trasmette, ma svolge la funzione di rendere possibile un rapporto umano, creativo e originale con il reale della vita.
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