LO ZOPPO E IL CIECO
- riccigianfranco199
- 11 gen 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Una metafora per spiegare il rapporto tra l’Io e il corpo.
Il rapporto dell’uomo con il proprio corpo non è spontaneo o facile.
Lo vediamo bene nel bambino: alla nascita, e per molti anni, il bambino non padroneggia il proprio corpo. I gesti sono goffi, imprecisi e privi di coordinazione; la padronanza infatti si assume un poco alla volta.
Le mani, le braccia e le gambe paiono andare per conto loro, come in una danza caotica; gli sfinteri non sono controllabili e il bambino richiede la costante presenza dei genitori per sopravvivere.
Questa esperienza di insufficienza è assente in molti animali, nei quali l’età adulta sorge pochi mesi dopo la nascita. Il bambino, il cucciolo d’uomo, per molti anni resta incapace di padroneggiare il proprio corpo.
Dal punto di vista della psicoanalisi, il corpo del bambino, come spiega efficacemente Lacan, sarebbe un “corpo in frammenti”, un “corp morcélé”. La pulsione che lo attraversa si legherebbe ad un “pezzo”, spostandosi in base alle esigenze della pulsione e ai vincoli esterni, come gli insegnamenti ricevuti. Per questo Freud descriveva il migrare della pulsione lungo il corpo come lo spostamento di un “popolo nomade”, che lungo il proprio tragitto lascia delle tracce, proprio come la pulsione sul corpo.
Tuttavia, nell’esperienza della propria immagine allo specchio il soggetto acquisirebbe un’esperienza nuova: quella della dimensione unitaria del corpo: nell’immagine, il corpo in frammenti diventa corpo intero, un corpo unito sotto lo sguardo beante del bambino.
Anche se il bambino, tra i 6 e i 18 mesi, non ha il pieno controllo del suo corpo, l’immagine copre questa insufficienza, fondando l’Io come rappresentazione unitaria. Abbiamo quindi uno sfasamento: da una parte l’immagine unitaria fin dai primi mesi e dall’altra il corpo che rimane difficile da controllare, in frammenti.

Per questo Lacan ha ripreso il tema classico dello “zoppo e del cieco” per descrivere il rapporto tra il soggetto e il proprio corpo.
Si tratta di un tema che trova spazio anche nei racconti tradizionali dell’Islam: uno zoppo e un cieco si alleano, tra mille difficoltà ed imprevisti, per raggiungere la loro meta.
Lo zoppo osserva e guida il cieco, spiegandogli dove andare; il cieco ascolta lo zoppo, facendo il possibile per evitare ostacoli ed inciampi.
Così, nel racconto medio-orientale, due umili uomini cercavano, alleandosi, di raggiungere il grandioso banchetto del sultano, al quale erano stati invitati.
Così l’Io cerca di guidare, controllare e modellare il corpo; questo, però, sfugge, si sottrae, è sempre altro rispetto alla coscienza.
La riflessione psicoanalitica ha quindi messo in luce come la condizione umana sia più vicina al concetto di “avere un corpo” piuttosto che di “essere un corpo”.
Il corpo emerge come un vero e proprio oggetto tra gli altri, senza che il soggetto sia ad esso riducibile.
Lo vediamo nella clinica: il corpo è trattato come Altro, spesso fonte di preoccupazioni, incertezze ed enigmi.
Ne è un esempio il sintomo analitico che riguarda il corpo: un fenomeno enigmatico e misterioso. Accade al nostro corpo, ma non ne sappiamo nulla. Il sintomo analitico ci mostra con forza come il corpo sia attraversato da quello che Freud chiamava “dialetto”: i sintomi isterici rispondono infatti a leggi linguistiche, non anatomiche; così il sintomo appare interpretabile con le chiavi della metafora e della metonimia, elementi linguistici e non anatomici.
È il nostro corpo, ma è altro da noi.
Per approfondire:
-Sigmund Freud, Isteria (1888);
-Jacques Lacan, Lacan, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io (1949).
Lacan individua tra i 6 e i 18 mesi il momento nel quale il soggetto attraversa lo “stadio dello specchio”: l’incontro con la propria immagine è l’incontro con qualcosa di altro da noi. È il nostro riflesso, un oggetto quindi, non direttamente il nostro corpo.
Questa immagine corporea diviene come una “maschera immaginaria” capace di velare la dimensione frammentata e caotica del corpo.

Vediamo l’importanza di questa funzione dell’immagine quando essa è assente: nel caso della schizofrenia il corpo appare frammentato, sregolato e ingovernabile. Il soggetto schizofrenico vive il corpo come radicalmente altro da sé e sconnesso; per questo è frequente osservare attacchi al corpo nella forma della mutilazione o dei gesti autolesivi: si tratta di tentativi, nel reale della carne, di scrivere il corpo all’interno di un discorso, di padroneggiarlo quando il simbolico non è operativo.
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