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LO STADIO DELLO SPECCHIO DI JACQUES LACAN

Jacques Lacan è stato uno degli più psicoanalisti più noti e creativi. Il suo insegnamento e le sue idee hanno, ancora oggi, un forte impatto sulla psicoanalisi, dentro e fuori i confini della sua Scuola.


Tra le prime intuizioni teoriche del giovane Lacan, occupa un posto di eccezione il cosiddetto “stadio dello specchio” (1936).


Già Freud aveva descritto alcune fasi nello sviluppo psichico del bambino: le diverse fasi, culminanti nel “complesso di Edipo”, erano distinte in base al “movimento” della pulsione nel corpo. Nei decenni successivi, queste fasi sono riviste e aggiornate, grazie ai molti studi fatti sullo sviluppo del bambino.


Lacan si chiede: quando il bambino acquista un senso unitario della propria immagine?



Ecco che lo psicoanalista francese elabora la sua risposta nel rapporto del bambino con l’immagine riflessa dallo specchio: Lacan intuisce che lo sviluppo motorio del bambino non tenga il passo dello sguardo. Tra i 6 e i 18 mesi, il bambino acquisirebbe una concezione unitaria di sé grazie all’immagine che coglie nello specchio, anche se non controlla in modo efficace il suo corpo.


Da una parte abbiamo quindi un senso completo del corpo; dall’altra il bambino lotta per controllare attivamente mani, piedi, arti, sfinteri, ancora difficili da padroneggiare. Sarebbe a partire da questa immagine unitaria che il soggetto fonda il proprio “Io”.


Questa immagine quindi “coprirebbe” la percezione di un corpo in “frammenti”, fatto di tante componenti non ancora pienamente integrate tra loro. La differenza tra l’immagine e l’esperienza stessa del corpo darebbe all’esperienza del soggetto una torsione decisiva, capace di condizionarlo per tutta la vita.


Tuttavia, l’elemento centrale di questa fase non sarebbe di natura meramente percettiva, bensì basata sul “riconoscimento”: sarebbe l’altro genitoriale a favorire il riconoscimento del bambino della propria immagine allo specchio; così è nello sguardo dell’altro che il bambino matura un senso di sé.



In questo senso, è a partire dallo sguardo dell’altro che si fonda la soggettività.


E se qualcosa andasse storto?


Il fallimento nell’incontro tra il soggetto e l’immagine unitaria di sé è evidente in due ambiti clinici: nella psicosi e nell’isteria.

Nella psicosi, l’immagine unitaria di sé non è disponibile: il corpo rimane un caos in frammenti, invaso dalla dimensione traumatica della pulsione che lo attraversa; ogni parte diviene una sorta di “corpo a sé”, slegata da un insieme assente. Per questo è spesso presente il delirio di non avere organi, o di averne in sovrappiù.


Nell’isteria invece sarebbe rimasta esclusa, tanto nello sguardo dell’altro quanto nell’esperienza che si fa del corpo, la componente erotica. Per questo è frequente assistere a fenomeni di “desessualizzazione” del corpo, di impoverimento pulsionale.


Per approfondire:

-Jacques Lacan – “Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io”;

-Sigmund Freud – “Introduzione al narcisismo”;

Gioia Sili – “Oltre lo specchio: Lacan e Merleau-Ponty”.


Lo “stadio dello specchio” venne presentato da Lacan al Congresso dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi svolto a Zurigo nel 1949.

Nel primo congresso del Dopoguerra, Lacan emerse rapidamente come uno degli analisti più originali e creativi della sua generazione, come ampiamente dimostrato con il suo Seminario, che proprio in quegli anni prendeva il via.


Nella sua teoria Lacan cominciava ad articolare in modo sempre più efficace e preciso i tre registri dell’immaginario (centrato sul corpo e sulla sua immagine unificante), del simbolico (il linguaggio) e del reale (l’impossibile, il non pulsionale).


 
 
 

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