LA PSICOANALISI SELVAGGIA
- riccigianfranco199
- 6 lug 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Freud ha lavorato a lungo per garantire un futuro alla scienza che ha creato, la psicoanalisi.
Per questo, ha riflettuto a lungo sulla formazione degli analisti: come si diventa psicoanalista? Chi è uno psicoanalista? Psicoanalisti “si è” o “si fa”?
Si tratta di domande cruciali che ancora oggi animano il dibattito intorno alla psicoanalisi.
Se inizialmente la pratica della psicoanalisi era riservata ai soli medici, un lungo dibattito nei primi anni del Novecento ha fatto sì che la formazione analitica fosse possibile anche a candidati provenienti da altre scienze, come l’arte e la filosofia.
Questa scelta affonda le proprie radici nelle molteplici possibilità applicative della psicoanalisi: il metodo analitico è utile per indagare la filosofia, l’arte e la letteratura.
Molti si sono tuttavia chiesti come preservare la specificità clinica della psicoanalisi: l’analisi infatti nasce come terapia della nevrosi, per poi espandere i suoi ambiti di intervento.
Nel suo lavoro di ricerca Freud ha voluto sempre sottolineare la differenza tra la pratica analitica, che ha una precisa teoria e tecnica, e le pratiche suggestive, tra cui, ad esempio, l’ipnosi.
La suggestione trova un posto nella pratica della psicoanalisi, almeno nelle prime fasi del trattamento; tuttavia la specificità del trattamento analitico impone di rivolgere la cura verso le resistenze, i complessi inconsci, l’analisi dei sintomi che fanno soffrire il paziente.
Come formare gli analisti quindi?
Freud ha indicato tre vie: la formazione teorica, la supervisione e la discussione dei casi clinici, l’analisi personale.
La formazione teorica può avere una base preliminare nelle università e nelle Scuole di formazione analitica; ma essa non basta, dice Freud, per praticare la “vera psicoanalisi”.
Lo stesso Freud ha tenuto diversi cicli di conferenze nell’università di Vienna e in giro per il mondo; Ferenczi è divenuto, nel 1919, titolare di una cattedra di psicoanalisi presso l’università di Budapest. Tuttavia, lo studio della psicoanalisi non costituisce un criterio sufficiente per definirsi “analisti”.

La supervisione dei casi permette all’analista di affinare la propria tecnica, di cogliere i propri punti ciechi, di mettersi al lavoro in modo sulla propria “posizione” di analista, sganciandosi da ogni identificazione narcisistica al ruolo;
Infine, la “vera psicoanalisi” si sperimenta dal lato del paziente, tramite la propria analisi personale: nell’esperienza della psicoanalisi vi è qualcosa di intraducibile in un insegnamento; l’analisi è sempre un’esperienza diversa e nuova per ogni paziente, senza possibilità di generalizzare.
Per questo la psicoanalisi è eccentrica rispetto ad altri insegnamenti universitari codificabili e riconducibili integralmente al discorso della scienza: nell’analisi è al centro la dimensione della soggettività, irriducibile rispetto ad ogni universale.
Queste specificità hanno spinto Freud a “combattere” la “psicoanalisi selvaggia”, cioè condotta senza una chiara comprensione dei principi teorici e clinici, fuori da ogni legame associativo con una Scuola di analisti, coi quali condividere la solitudine radicale alla quale ogni analista è condannato in virtù della propria funzione.
Per approfondire:
Freud- “Bisogna insegnare la psicoanalisi nelle università?” (1918)
Freud – “Psicoanalisi selvaggia” (1910)
L’esperienza dell’analisi non è comprensibile dalla sola lettura di opere, volumi, saggi o resoconti.
Questo costituisce un grande tema, dal punto di vista etico, clinico e della ricerca scientifica.
Come è possibile considerare scientifico un discorso impossibile da generalizzare? Come fondare una scienza del singolare?
Freud ha lavorato a lungo per trovare una risposta a questo interrogativo.
Anche la ricerca in ambito clinico ha cercato di individuare le strategie più utili, i protocolli più adeguati per sondare la specificità dell’analisi: tra questi, merita di essere menzionata la pratica del “Single case study”, nella quale una singola terapia viene scandagliata da molteplici punti di vista, al fine di farne emergere i fattori decisi, le svolte più importanti, i risultati clinici.
Il tema della scientificità della psicoanalisi ha spinto molti a ridurre l’analisi ad una pratica più filosofica che clinica; tuttavia, ancora oggi la psicoanalisi costituisce il più efficace dispositivo per sondare le dinamiche inconsce, fantasmatiche e sintomatiche che caratterizzano l’uomo.
Come abbiamo visto, la formazione degli analisti si lega a doppio nodo con lo statuto scientifico della psicoanalisi.
Si tratta quindi di un problema scientifico ed etico, che riguarda chiunque si autorizzi ad assumere la posizione di “analista”: Lacan sottolineava che “uno psicoanalista si autorizza solo da sé”, mettendo in evidenza la dimensione radicalmente singolare della posizione analitica.
Una singolarità che necessariamente si deve legare ad altre, ad esempio in una Scuola, intesa come un’associazione di altri psicoanalisti. Fuori da ogni legame associativo, la pratica analitica non può che divenire selvaggia, priva di uno dei tre aspetti centrali della formazione continua dell’analista, come la pratica della supervisione.
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