LA PASSE
- riccigianfranco199
- 17 lug 2024
- Tempo di lettura: 3 min
In una delle sue ultime opere, “Analisi terminabile e interminabile” (1937), Sigmund Freud riflette sulla conclusione della psicoanalisi. Quando finisce un’analisi? Quando si può dire che un’analisi è portata “fino in fondo”? Esiste un soggetto “completamente” analizzato?
Per Freud, “esaurire l’analisi” era impossibile. Le analisi arrivano a conclusione, ma senza che questo significhi aver “prosciugato” l’inconscio. Anzi.
Per Freud le analisi, anche quelle portate fino in fondo, raggiungevano un’impasse: la “roccia” della castrazione.
Per gli uomini, suggerisce Freud, si tratta di un’insuperabile rifiuto della femminilità, vissuta inconsciamente come risultato della castrazione; per le donne invece, la roccia della castrazione è costituita dal “penisneid”, l’invidia del pene.

Sigmund Freud
La natura insuperabile della “roccia della castrazione” affonderebbe le proprie radici nella biologia dei corpi, sottraendosi quindi all’operazione simbolica dell’analisi.
Davanti a questa “impasse”, Jacques Lacan, nel suo “Atto di fondazione della Scuola” (1964), propone un dispositivo originale: la “passe”.
La “passe” sarebbe la testimonianza che uno analizzante fa di quanto prodotto dalla propria analisi.
Cosa accade quando si esce da un’analisi?
Lacan cerca di spiegarlo facendo ricorso ad un esempio tratto dal mondo dell’arte:
“cominciate ad uscire dalla stanza in cui, indubbiamente, vi ha a lungo avvinti. È allora che, voltandovi mentre state andando via (…) cogliete (…) che cosa?”
Lacan descrive l’effetto di questo “voltarsi” facendo riferimento ad un celebre quadro di Holbein, “Gli ambasciatori” (1533). Questa opera è caratterizzata non solo dalla presenza di due ritratti eleganti e sfarzosi, capaci di trasmettere un senso di potere, dignità e regalità; i due sono circondati da oggetti che simbolizzano le conquiste delle arti e delle scienze. Al suo centro, vediamo una macchia misteriosa, difficile da decifrare.

L'opera "Gli ambasciatori" di Holbein
Questo oggetto non identificabile svela la sua natura solo se visto da una posizione particolare, voltandosi mentre si lascia la stanza nella quale l’opera è esposta: si tratta di un teschio, che “ci riflette il nostro proprio nulla” osserva Lacan.
Si tratta di un effetto visivo basato su un gioco geometrico, un anamorfosi. Questa “anamorfosi” è utilizzata da Miller per descrivere l’uscita dall’analisi e la passe: si tratta del punto in cui “voltandosi, si può finalmente intravedere la figura di quello che era rimasto fino ad allora velato, quasi informe”.
Miller afferma:
“La passe è, se così si può dire, il punto geometrico di una psicoanalisi, il punto al quale non si può accedere andando dall’inizio alla fine, dall’entrata all’uscita, salvo voltandosi mentre si va via. Tale è la definizione della condizione finale dell’analizzante, che Lacan ha chiamato passant: colui che si volta andando via”.
Cosa resta allora? “ Come sfumano, come diventano quasi invisibili gli oggetti scintillanti che hanno mobilitato la vostra attenzione, il vostro interesse, la vostra passione. Mentre si annullano dolcemente, mentre le loro figure si dissolvono in nuvole, ecco che nella fine analisi un oggetto duro prende rilievo, diventa netto.
Certo, ne avevate il presentimento, l’avevate già visto, ma senza riconoscerne i tratti.
Quando vi sembrava informe, muto, confuso, insituabile, improvvisamente si rivela per quel che è: un osso.

L’osso stesso che forse, si diceva, manca al corpo umano per evitare al soggetto la castrazione. Lacan chiama il teschio nascosto nell’anamorfosi “l’incarnazione fatta immagine del (-ϕ) della castrazione”, e io non esito a vederci una forma fatta immagine della fine dell’analisi”.
Alla fine dell’analisi, l’analizzante sarà giunto a sapere di cosa ha parlato davvero per tanti anni, lungo tutta la sua analisi personale. Si lascerà alle spalle questo discorso, cambiando la propria posizione soggettiva.
Come affermò Lacan: “Una volta ho detto - è stato molto tempo fa, e c'è ancora chi ci si culla - che un'analisi termina solo quando qualcuno può dire, non già “io ti parlo”, e nemmeno “parlo di me”, ma “è di me che ti parlo.””.

Jacques Lacan
Alle spalle si lascia un rapporto nuovo con il reale della sua esistenza, incarnato dalla morte, intesa come immagine della castrazione.
Per approfondire:
-Simgund Freud – Analisi terminabile ed interminabile (1937);
-Jacques Lacan – Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964);
-Jacques-Alain Miller – Come finiscono le analisi? (2022).
Il tema della fine dell’analisi è centrale fin dalla nascita della stessa psicoanalisi. Per Freud, il fatto che l’analisi fosse interminabile non significava che le analisi non avessero fine!
Si tratta piuttosto di capire a che punto avviene l’incontro di reciproca soddisfazione tra analista e paziente, nel quale è emerso quanto necessario e si esaurisce la “domanda di sapere” dell’analizzante sul proprio inconscio.
La fine dell’analisi cosa produce? La scommessa dell’analisi sta qui: non vi è garanzia sull’“uomo nuovo” che l’analisi tenterà di produrre. Possiamo dire che “c’è stata analisi” sono dai suoi effetti, in après-coup: solo la trasformazione del rapporto del soggetto col proprio sintomo (e col proprio godimento) testimonia dell’operatività dell’analisi.
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