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LA MENTE DI JUNG

Carl Gustav Jung è stato uno dei pionieri della studio della mente e dell’inconscio.

Nelle sue ricerche ha cercato di individuare la radice delle forze che animano la vita psichica. Facendo ricorso allo studio dei miti, della letteratura, delle religioni e dell’antropologia, Jung ha dato origine alla “Psicologia analitica”, detta anche “Complessa”.


Dopo aver inizialmente aderito alla Psicoanalisi di Freud, Jung ha poi deciso di distaccarsene. All’origine del conflitto, oltre a ragioni personali di rivalità e primato all’interno del movimento psicoanalitico, vi furono anche ragioni teoriche, come il rifiuto di Jung di accettare la natura esclusivamente sessuale della Libido e dei conflitti psichici.


Sigmund Freud e Carl Gustav Jung (1909)
Sigmund Freud e Carl Gustav Jung (1909)

Divenuto autonomo, Jung ha dato inizio ad un lungo periodo di studio e di ricerche, maturando un proprio modello della psiche e delle dinamiche inconsce; ha ideato alcuni concetti divenuti poi di uso comune, come i “tipi psicologici”: Jung infatti è stato il primo a studiare la personalità in termini di “introversione” ed “estroversione”.


Nella concezione junghiana, la mente è attraversata dall’azione simultanea di molteplici forze e complessi, frutto dell’incontro tra elementi individuali e collettivi, del presente e del passato.

Per Jung l’inconscio è infatti suddivisibile in “collettivo” ed “individuale”: l’inconscio collettivo è composto da archetipi, che per Jung “è un termine che si trova già nell’antichità ed è sinonimo di “idea” in senso platonico”.

Di per sé non rappresentabile, l’archetipo però influenza la psiche del singolo e dei popoli: “ha effetti – le rappresentazioni archetipiche – che rendono possibili dimostrazioni verificabili.”, sostiene Jung.


“Queste “immagini originarie” о “archetipi’”, come le ho chiamate, appartengono al nucleo della psiche inconscia […]. Il loro insieme forma quello strato psichico che ho definito inconscio collettivo.”, sottolinea Jung.


Carl Gustav Jung
Carl Gustav Jung

L’inconscio individuale è invece il ricettacolo dei complessi, in piena continuità con Freud; tuttavia, se Freud coglie nella pulsione la fonte della spinta energetica della psiche, per Jung sono gli archetipi a mobilitare i complessi; egli afferma:

“L’energia […] emanata dal complesso paterno deriva dall’archetipo, […] il padre individuale incarna inevitabilmente l’archetipo, che conferisce alla sua immagine la forza affascinante.”


Ogni complesso individuale per Jung ha quindi radici nell’archetipo ad esso corrispondente, connettendo così psiche individuale e collettiva.


Jung afferma che: “La via regia per l’inconscio non sono però i sogni, come [Freud] crede, bensì i complessi, che sono la causa dei sogni e dei sintomi.”


Perché? Perché il “complesso” è “l’immagine d’una determinata situazione psichica caratterizzata in senso vivacemente emotivo che si dimostra inoltre incompatibile con l’abituale condizione o atteggiamento della coscienza.”

Il complesso quindi è frutto del conflitto interno alla psiche, tra spinte archetipico/individuali e le esigenze repressive della Civiltà.


Tra le altre componenti della Psiche per Jung, occupano dei posti assai rilevanti costrutti come “Persona”, l’“Ombra”, l’“Io”.


Per Jung, con “Persona” si intende “l’atteggiamento verso l’esterno, il carattere esteriore”, proprio a partire “dal nome della maschera che mettevano gli attori nell’antichità”.


L’“Io” invece? Afferma Jung:

“Il complesso dell’Io è tanto un contenuto quanto una condizione della coscienza, giacché un elemento psichico per [lui] è cosciente in quanto riferito al complesso dell’Io. Tuttavia, poiché l’Io è solo il centro del campo della coscienza esso non è identico alla totalità della […] psiche, ma è soltanto un complesso fra altri complessi.”


L’“Ombra” infine incarnerebbe tutti quegli aspetti della psiche che non troverebbero spazio nella coscienza e nello sviluppo effettivo della personalità, rimanendo relegati nell’inconscio ed emergendo nei sogni, nei sintomi e nei lapsus.


La "mente junghiana" di Jacobi
La "mente junghiana" di Jacobi

In un suo lavoro del 1940, Jolande Jacobi, allieva di Jung, ha provato a rappresentare questa concezione così ricca ed articolata. Rispetto ad ogni modello della mente (come nel modello freudiano dell’iceberg), dobbiamo ricordare che una mappa non è che una rappresentazione parziale ed incompleta della realtà, un tentativo di afferrare qualcosa che è destinato a sfuggire sempre.


Jolande Jacobi insieme a Carl Gustav Jung
Jolande Jacobi insieme a Carl Gustav Jung

Per approfondire:

-Jung - “Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche”;

-Jacobi - “La psicologia di C.G. Jung”;

-Dieckmann - “I complessi, diagnosi e terapia in psicologia analitica”.


Il concetto di “Archetipo” è tra i più affascinanti aspetti dell’eredità del pensiero di Jung.

Solitamente complementare ad un altro archetipo, in una concezione che Jung matura già ai tempi di “Tipi psicologici” (1912), la formazione archetipica è per Jung al centro dell’esplorazione dell’inconscio, con importanti ricadute anche sulla pratica clinica.


“L’archetipo della madre costituisce il fondamento del cosiddetto complesso materno, […] in ogni complesso materno maschile, oltre all’archetipo della madre, ha una parte importante anche quello della partner sessuale, l’archetipo cioè dell’Anima.”


Infine, nella concezione dell’Io intesa da Jung, proprio come ripreso poi da Sartre e Lacan, l’Io non sarebbe coincidente con la coscienza, ma un complesso, una formazione sintomatica che aliena il soggetto dal suo vero Sé.


 
 
 

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