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LA LOTTA DI BASAGLIA: SAPERE O POTERE?

Nel 1978, appena approvata la celebre Legge 180 che sancisce il superamento dei manicomi in Italia, Franco Basaglia, psichiatra ispiratore di questa legge, viene intervistato dal giornalista Maurizio Costanzo.


Costanzo: “Ecco Il professore Franco Basaglia, psichiatra di fama internazionale e, come dire, promotore, suscitatore, agitatore di gran parte comunque della legge del 13 maggio 1978, passata con numero 180, che peraltro oggi fa parte della legge della riforma sanitaria. Cosa all'epoca le hanno insegnato rispetto a quello che insegna lei oggi?”


Basaglia: “Mi hanno insegnato delle cose cattive. Cioè che esiste la psichiatria, che esiste il manicomio, esiste lo schizofrenico, esiste il maniaco-depressivo, esistono delle situazioni per cui bisogna curare queste situazioni in maniera estremamente schematica, capisce?

E mi sono accorto una volta lasciata la situazione schematica dell'università, dove sono stato per molti anni, una volta entrato in manicomio, mi sono accorto che non era vero, vedendo la realtà pratica, di tutti i giorni, nel manicomio.”


Costanzo: “Ma lei sa che ci sono ancora molti suoi colleghi che pensano invece che se debba insegnare quello che insegnavano a lei?”


Basaglia: “Il problema è che noi medici, e tutti i professionisti, hanno un grosso problema: i due poli di una contrapposizione, il sapere e il potere nella medicina. Bisogna vedere quanto il medico usa il suo sapere come potere e viceversa. Quanto il medico risponde ai bisogni di chi cura e all'inverso quanto usa il sapere per reprimere?”


Costanzo: “Professor Basaglia che cos’è la follia?”


Basaglia: “Il problema della normalità e della follia è un problema che ha agitato sempre l’uomo e il mondo. Bisogna vedere quale normalità e quale follia. Questo è il problema.”


Costanzo: “Qual è la normalità per lei?”


Basaglia: “È la situazione nella quale noi ci troviamo, chiusi nella società nella quale viviamo, nel sistema sociale nel quale viviamo.”


Costanzo: “E la follia?”


Basaglia: “La follia è l’altra parte, è un bisogno non soddisfatto che porta l’uomo a esprimersi in maniera diversa. È una domanda la follia, una domanda di essere con gli altri.”


La storia di Franco Basaglia è legata in modo indissolubile al superamento del sistema manicomiale in Italia. Basaglia, nella sua esperienza del manicomio di Trieste, ha dimostrato la possibilità (e la necessità) di superare il manicomio come sistema di cura della follia.

Perché?

Come il lavoro di Goffman ha dimostrato, il manicomio è divenuto un’“istituzione totale”, proprio come i campi di concentramento: al suo interno la follia era reclusa, nascosta, isolata, per non turbare tutti coloro che, “sani”, restavano fuori dai cancelli del manicomio.


All’interno del manicomio prendeva vita una società parallela, nel quale il malato non trovava una forma di cura, ma una nuova forma di segregazione e umiliazione.

Ridotto ad individuo senza nome, diritti o ascolto, il folle era privato della sua dimensione di cittadinanza, della possibilità stessa di avere voce nella società.


Per approfondire:

-Goffman: “Asylums”;

-Foucault: “Storia della follia nell’età classica”;

-Basaglia: “Crimini di pace” e “La maggioranza deviante”.


Nella foto: Franco Basaglia intervistato da Maurizio Costanzo


Franco Basaglia è stato il principale esponente italiano del movimento dell’antipsichiatria.

Questo movimento, articolato ed eterogeneo, ha avuto diverse anime: da una parte chi, come Thomas Szasz, giunse a negare l’esistenza stessa della follia e della malattia mentale; dall’altra chi, come Basaglia, vedeva nella psichiatria uno strumento di lotta e oppressione politica di una maggioranza su una minoranza stigmatizzata.


Thomas Szasz


Il problema della malattia mentale tocca infatti sia il fronte del sapere che quello del potere.

Come la riflessione di Michel Foucault ha mostrato con evidenza, la costruzione stessa del sapere non è neutrale, bensì risponde alla logica di potere della classe dominante.

Per questo, Basaglia vedeva nei manicomi uno strumento di oppressione politica ed economica più che uno strumento terapeutico.


Il superamento del manicomio, con la nascita di unità dislocate sul territorio, con un numero ridotto di posti letto e la definizione di progetti terapeutici e riabilitativi personalizzati, rispondeva alla necessità di non ridurre il folle alla sua diagnosi, capace di renderlo un condannato a vita alla prigionia senza aver commesso alcuna colpa.


Oggi i manicomi sono in gran parte in stato di profondo degrado e abbandono. Date le dimensioni colossali di queste strutture e l'incapacità di convertirli ad un nuovo utilizzo, i padiglioni che li compongono stanno andanfo incontro ad un rapido deterioramento.

Persa la loro funzione di potere, come direbbe Basaglia, le strutture hanno perso ogni utilità per la classe dominante, venendo a loro voltà dimenticate.


 
 
 

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