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LA “CIPOLLA” DI LACAN

Jacques Lacan era solito descrivere la struttura dell’Ego con una metafora molto curiosa: secondo lo psicanalista francese l’Io poteva essere descritto come una cipolla. Le varie identificazioni costruite nel corso della vita formavano i diversi strati della cipolla. Compito della psicoanalisi allora era analizzare ciascuna di queste identificazioni, sottraendo strato dopo strato fino a giungere al cuore della cipolla, al cuore dell’essere del soggetto.

Alla fine della trentunesima lezione di “Introduzione alla Psicoanalisi”, Freud così descrive il fine dell’analisi: “Wo Es war, Soll Ich werden”.


Questo celebre aforisma di Freud può essere tradotto in molti modi. Sulla traduzione di queste parole si gioca una questione fondamentale per la Psicoanalisi: quale posto assegnare all’Io?


Secondo la “Psicologia dell’Io”, di matrice inglese e nord americana, compito dell’analisi era realizzare la piena maturazione dell’Io. La frase quindi sarebbe così tradotta: “Dove era l’Es, deve subentrare l’Io”.

Il rafforzamento dell’Io ai danni dell’Es rifletterebbe una volontà di controllo, di bonifica degli aspetti irrazionali, primitivi, pulsionali dell’uomo.

In questa ottica, la Psicoanalisi diviene una terapeutica dell’Io fragile, succube della tirannia dell’Es.


Su questa concezione “ortopedica”, correttiva, si basa anche il concetto di salute e di performance nella società contemporanea: bisogna evitare errori, inciampi, blocchi, tutto ciò che è fuori dalla norma è errore e per questo va corretto.

In questo senso, la Psicoanalisi diviene un sapere normativo, che punta alla correzione piuttosto che alla realizzazione di sé.


Lacan invece era solito interpretare questa frase in modo diverso. La struttura stessa della frase infatti è ambigua: può essere infatti letta sia in “prima” che in “terza” persona.

Come abbiamo visto, i teorici della “Psicologia dell’Io” privilegiavano la “terza” persona, vedendo una lotta tra istanze psichiche. Lacan invece?


Per Lacan, in continuità con Sartre, l’Io non corrisponde alla coscienza: l’Io sarebbe un’istanza tra le altre, così come il Super Io e l’Es, che producono effetti consci e inconsci sulla psiche dell’uomo.


Lacan era solito leggere il “motto freudiano” alla prima persona: “Là dove è l’Es, Io devo avvenire”.

Lacan rifiutava infatti la lettura postfreudiana dell’inconscio come “primitivo”, “selvaggio” o solo ricettacolo di quanto è stato rifiutato.

Come Freud aveva già osservato nell’ “Interpretazione dei sogni” (1900), l’inconscio è prima di tutto una “ragione”, diversa da quella cosciente.

Compito dell’analisi allora è far emergere questa ragione inconscia, che Lacan chiama “soggetto dell’inconscio” e il “desiderio inconscio” che abita il soggetto, rendendolo unico al di là di ogni identificazione.


Gli strati della cipolla sarebbero i vari modi nei quali nel corso della vita abbiamo cercato di afferrare la nostra essenza, dicendoci: “Io sono questo”. Tuttavia, nessuna identificazione cattura l’essere del soggetto.

L’analisi punta a raggiungere il superamento delle identificazioni, facendo emergere la loro natura difensiva.


Per approfondire:

-Freud – Introduzione alla Psicoanalisi;

-Lacan – Il Seminario, Libro XI, i quattro concetti fondamentali della psicoanalisi;

-Sartre – La trascendenza dell’Ego.

La concezione di Lacan ha segnato uno spartiacque nel mondo della Psicoanalisi:

-da una parte abbiamo una concezione che pone l’Io al centro, come unica istanza da rafforzare e da centralizzare, attorno al quale si è poi sviluppata la Psicologia scientifica, che vuole far coincidere l’Io con il soggetto;

-dall’altra la Psicoanalisi di Lacan, che mantiene salda la distinzione tra Io e soggetto.


Anzi, per Lacan, “credersi un Io” sarebbe la “malattia mentale dell’uomo”, la “follia più grande”.


In “Discorso sulla causalità psichica”, Lacan afferma: “Un pazzo che si crede Napoleone, è chiaramente un pazzo ma non gli è affatto da meno un re che si crede un re”.


La Io-crazia dei post freudiani è per Lacan la più grande minaccia per la Psicoanalisi: per questo, per Lacan è necessario mettere al centro del discorso analitico il desiderio, le formazioni dell’inconscio, la logica della ragione inconscia (strutturata come un linguaggio).


 
 
 

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