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L'ULTIMA PAZIENTE DI FREUD

"COSÌ SIGMUND FREUD RIUSCÌ A SALVARMI LA VITA”


Il padre della psicoanalisi nel ricordo dell’ultima paziente ancora viva, Margarethe Walter (89 anni nel 2006): "Fu l’unica persona che volle ascoltarmi".


“Mi ha salvato la vita!", esclama Margarethe Walter davanti al famosissimo numero 19 della Berggasse a Vienna. Sono passati settant’anni dall’ultima volta che è stata qui, nella primavera del 1936, poche settimane prima dell’esame di maturità. Qui la signora, oggi ottantottenne, visse i 45 minuti che le cambiarono "totalmente" la vita, nell’ambulatorio del dottor Sigmund Freud.

"Gretl, classe 1918" è l’ultima paziente vivente di Freud. Ovviamente "non sapeva nulla" quando, graziosa studentessa diciottenne della Scuola superiore per il commercio, per la prima volta arrivò da lui. Per ordine del padre quella visita andava fatta e lei salì sulla vettura di famiglia condotta dallo chauffeur. Anche il suo signor padre, proprietario di una fabbrica di feltrini per munizioni da caccia non sapeva a quale luminare si sarebbe trovato di fronte.

Portava con sé una lettera del medico di famiglia per quel dottor Freud, "molto bravo, ma ancor più costoso".


Le signorie loro vennero fatte accomodare immediatamente in sala visita. Margarethe era sbalordita: "Non era un ambulatorio normale! Non c’erano pazienti in sala d’attesa! Non si sentiva odore di canfora e non si vedevano infermiere vestite di bianco!". Inoltre al centro della stanza c’era un divano, come a casa, in salotto, "coperto stranamente da un tappeto, con tantissime frange". Ad un’estremità, in strana posizione, la poltrona. Strani anche i molti vasi sugli scaffali zeppi di libri" e ovunque innumerevoli statuette, reperti archeologici: "mi piacque moltissimo!".


Il padre era irritato. Aveva già dovuto aspettare dieci minuti perché il dottore leggesse la lettera inviatagli dal collega, e lui ad aspettare non era abituato, né in fabbrica con i suoi 18 dipendenti né in famiglia "con le donne".


Perché la ragazza era lì? Il medico di famiglia aveva diagnosticato una banale bronchite e inoltre, ma questo lei non doveva saperlo, "un malessere interiore". Da qui il consiglio di rivolgersi al dottor Freud, un luminare in questo campo, come si diceva a Vienna.


Un’altra cosa che Margarethe non doveva sapere era che a Gratzel la consideravano "strana". Il pettegolezzo diffuso dal carbonaio che abitava di fronte, che la figlia del proprietario della fabbrica era "matta completa", fu decisivo per la visita a Freud.


"Ero la ragazza più sola di Vienna!", ricorda Margarethe. "Sola, servita e riverita, chiusa in casa e con quasi assoluta certezza non amata. Nessuno mi ha mai tenuto in grembo, né preso per mano, non si davano baci!". La madre era morta di parto, la matrigna era fredda e avida, la nonna anziana e molto apprensiva, persino il suo unico compagno di giochi, il cane di casa, era vecchissimo e sempre stanco.


Naturalmente il padre era inavvicinabile. Chiaramente non si parlava e soprattutto non con lei. Non si ricevevano ospiti, neppure il fine settimana nella villa in campagna. "E tutto quello che mi riguardava veniva stabilito alle mie spalle e dall’alto!".


Sigmund Freud fa il suo ingresso. La sua presenza discreta, ma decisa, riempie la stanza. Ha 80 anni. "Piccolo, barba bianca, abito grigio, un po’ curvo". Margarethe Walter sistema una sedia nello studio di Freud, oggi trasformato in museo, esattamente nel punto in cui era seduta 70 anni fa. L’arredamento dell’epoca è documentato da fotografie. Sistemiamo la sedia su cui era seduto il padre di fronte a lei. Davanti al famoso divano bisogna immaginare un tavolino basso. "Il dottor Freud si sedette esattamente in mezzo a noi".


Siamo gli unici visitatori della piccola mostra. C’è silenzio e all’improvviso Margarethe chiude gli occhi e lascia che le appaia come in sogno il personaggio che ancora oggi la ammalia: "Era un uomo vecchissimo che mi ha guardato con occhi attenti". Esita, ride. Era fisicamente molto fragile ma pieno di energia!" "Mi chiede come mi chiamo, ma risponde mio padre per me. Mi chiede della scuola ed è mio padre a rispondere. Che cosa faccio nel tempo libero: risponde mio padre. Anche la risposta alla domanda su che lavoro mi piacerebbe fare non esce dalla mia bocca. Proprio come a casa!", dice oggi la paziente riferendosi ad allora: "Stavo lì come un pacchetto!".


Freud tace. E ad un tratto dice al padre di Margarethe in tono cordiale, come se fosse la cosa più naturale: "La prego, vada nella stanza accanto. Vorrei parlare con sua figlia da solo". Gira la sedia verso di lei, le si avvicina e le si rivolge apertamente. "Adesso siamo soli", dice e immediatamente la tensione si allenta. "La soggezione iniziale, sparita d’incanto".


E lei parla, parla: "Lui ha esaudito per la prima volta il mio perenne desiderio di aprirmi a qualcuno: Sigmund Freud è stata la prima persona che abbia davvero mostrato interesse nei miei confronti, che volesse sapere qualcosa di me, l’unico che realmente è stato ad ascoltarmi".

Margarethe lascia libero sfogo "all’odio per la matrigna, per la scuola, per le passeggiate domenicali", dice che non può avere amiche, che deve indossare abiti e scarpe che non sono di suo gusto. Che non si può immaginare quanto è sola e quindi recita brani di teatro o veste con la carta crespa le figure degli scacchi del padre fingendo di essere nel medioevo.


"Non distoglie lo sguardo da me, mi osserva, e la sua partecipazione mi avvolge come un abbraccio". Così gli confessa che dopo vari tentativi ha scoperto che la chiave del pendolo è "identica a quella della libreria" così che finalmente ha potuto scoprirne i segreti. "La notte, accanto alla nonna che russa, divoro i libri piccanti riposti dietro quelli di Grillparzer e di Goethe".


Freud volle a quanto pare sapere tutto di lei, anche i dettagli riguardanti la nonna Maria, la nonna classe 1856, con cui Margarethe doveva condividere la stanza, nonché i particolari dei suoi vestiti che aveva conservato dalla rivoluzione del ’48. Freud ascoltava, e "quando prendevo fiato mi incoraggiava con un "e poi?"".


Margarethe doveva andare al cinema col padre, e più di ogni altra cosa desiderava una volta "vedere fino in fondo una scena d’amore". Freud è sbalordito. Sì, ogni volta che sullo schermo iniziava qualcosa tra un uomo e una donna, il padre decideva che "non erano cose per lei", si alzava di scatto e lei doveva seguirlo immediatamente fuori dal cinema. Se protestava? Neanche a pensarci!


Di nuovo Freud rivolge "i suoi occhi, buoni, incredibilmente attenti" alla giovane donna. "Il suo era un interesse così totale che mi aprì qualcosa dentro che nessuno aveva mai voluto aprire".


Settanta anni dopo la donna avverte ancora il fascino vibrante e la gioia di avere fiducia. "Tutto ad un tratto ero contenta", una sensazione fino ad allora sconosciuta. Si sentì "a suo agio", "come se dopo un, pasto particolarmente buono, qualcuno da sopra avesse aperto una finestra e avesse detto: Non guardare sempre per terra! Guarda avanti! Tutto è possibile!". (27 aprile 2006)


(Articolo di PETER ROSS, La Repubblica, 27.04.2006, p. 19, traduzione di Emilia Benghi - copyright Die Zeit - la Repubblica)


Questo articolo di quasi vent'anni ci mostra la potenza dell'ascolto analitico.


La grande operazione di Freud è di sganciare il linguaggio della mera comunicazione delle informazioni: parlare e ascoltare diventano strumenti di cura in psicoanalisi.


Una giovane donna fa esperienza di come la propria vita e le proprie parole siano schiacciate dal predominio dell'Altro, di un padre incapace di "lasciar andare" la propria figlia.


Freud opera quindi un "taglio" tanto semplice quanto decisivo: separa la figlia dal padre, chiedendo a quest'ultimo di uscire, di abbandonare la stanza. Rimasta sola davanti a Freud, la giovane può finalmente fare esperienza della dimensione terapeutica dell'ascolto.


Freud rimane in silenzio, accogliendo le parole della paziente, a volte sollecitandola. Non si tratta che di un invito a fare emergere il proprio discorso soggettivo, dare spazio a quanto abita l'animo della paziente.


Condividere la propria esperienza analitica è sempre una scelta delicata e complessa; tuttavia risponde alla logica stessa dell'analisi: ogni caso infatti va considerato nella sua unicità, uno per uno, senza cedere alla tentazione dell'universale o dell'omologazione.


"Cosa non funziona nella tua vita?", chiede Freud, così come ogni psicoanalista dopo di lui.

Si tratta di una domanda decisiva, che a partire dalla sofferenza permette di riprendere in mano il filo della propria esistenza.

 
 
 

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