top of page

IL TEST DI RORSCHACH A NORIMBERGA

Alla fine della Second Guerra Mondiale, gli Alleati decisero di processare i gerarchi tedeschi e giapponesi. Gli orrori commessi sui campi di battaglia e nei lager erano senza precedenti e avevano sconvolto tutto il mondo.

 

Già nel 1943 venne presa la decisione di sottoporre a processo, a guerra finita, i leader tedeschi responsabili ancora vivi.

 

Tra gli aspetti più interessanti del “Processo dei principali criminali di guerra” svolto a Norimberga (città simbolo della dittatura nazista), occupa un posto di rilievo l’utilizzo del “Test di Rorschach”.

 

Hermann Rorschach aveva ideato una tecnica proiettiva di grande efficacia, capace di offrire preziose indicazioni cliniche sul funzionamento psichico dei pazienti. Invitando ad associare liberamente davanti alla presentazione di una serie di tavole con delle macchie d’inchiostro, Rorschach era stato in grado di cogliere informazioni su aspetti fondamentali della mente come il funzionamento affettivo, relazionale e l’esame di realtà.

 

Il test di Rorschach ha avuto un profondo impatto sulla psicodiagnostica, diventando il principale “metodo proiettivo”: le macchie d’inchiostro, di forma ed aspetto vago, spingono l’osservatore ad no sforzo psichico di costruzione di senso; per dare un senso alle forme si mobilita la proiezione di materiale che proviene dal mondo interno del paziente.

 

Il test ideato da Hermann Rorschach ha suscitato grande interesse negli psicoanalisti, soprattutto junghiani e nord americani, per la sua capacità di offrire una vera e propria “radiografia” della psiche inconscia del paziente.

 

In poche parole, le macchie d’inchiostro permettono di cogliere la modalità nella quale il paziente “vede il mondo” e lo dota di una certa forma e significato.

 

Nelle fasi iniziali del processo, lo psicologo militare americano Gustave Gilbert condusse una serie di colloqui con gli imputati. In seguito, insieme al collega Douglas Kelley, Gilbert ha somministrato il test di Rorschach ai gerarchi sottoposti a processo.

 

I risultati?

 

Da un mero punto di vista formale, dall’analisi quantitativa dei protocolli emerse con chiarezza la piena capacità di intendere e di volere degli imputati: non si poteva rintracciare alcuna forma di vizi di mente; gli indici erano nella norma statistica della popolazione di riferimento.

 

Rorschach a Norimberga

Da questo punto di vista sembrerebbe allora possibile avvalorare la tesi di Hannah Arendt, la filosofa autrice de “La banalità del male”: ciò che sconvolge dei crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale sarebbe l’apparente ordinarietà degli uomini che li hanno commessi.

 

Tuttavia, ad un’analisi più attenta dei protocolli, incrociando dati biografici con gli strumenti offerti dalla psicoanalisi, è possibile ottenere un quadro più chiaro; lo psichiatra e psicoanalista Salvatore Zizolfi osserva:

 

“l’interpretazione dei test di Rorschach di Norimberga, e delle personalità psicopatiche in generale, non può non avvantaggiarsi delle concezioni della psicoanalisi moderna sulle perversioni, che sole permettono di illuminare adeguatamente l’analisi delle verbalizzazioni, dei comportamenti e dei contenuti.

Solo così è possibile valorizzare, nei protocolli dei gerarchi nazisti, una serie di indici psicodiagnostici che rinviano, coerentemente e concordemente, agli aspetti strutturali delle organizzazioni  perverse  di  personalità: la propensione alla menzogna; l’aggressività e la violenza nascoste e mentite; il deterioramento delle imago paterna e materna; … l’erosione dei confini dell’Io;  l’obbedienza cieca, il servilismo e l’opportunismo; l’erosione del sentimento di realtà e il diniego della realtà; … l’affermarsi di un nuovo mondo: il mondo alla rovescia, il mondo fecale, il mondo della morte”

 

Al netto del grande valore storico, i protocolli raccolti a Norimberga da Gilbert e Kelley presentano numerose criticità: l’eccezionale contesto della somministrazione del test; il peso delle barriere linguistiche tra inglese e tedesco; l’assenza, all’epoca della somministrazione, di una rigorosa cornice teorica ed empirica di riferimento per il test; il peso incalcolabile del transfert e del controtransfert.

 

Si tratta quindi di uno strumento straordinario utilizzato in circostanze uniche, su soggetti fuori dal comune. Tutti questi elementi ci permettono di contestualizzare e relativizzare il valore clinico di questi protocolli.

 

Nonostante questo, resta l’incredibile vicenda di un incontro tra Storia, Giustizia e Psicologia.

 

L’articolo completo è disponibile sul sito.

 

Per approfondire:

-Gustave Gilbert – “Nuremberg Diary”;

-Niels Peter Nielsen e Salvatore Zizolfi – “Rorschach a Norimberga”;

-Damion Searls – “macchie di inchiostro: storia di Hermann Rorschach e del suo test”.

 

Il test di Rorschach, dopo un secolo dalla sua ideazione, mantiene ancora oggi una grande vitalità e rilevanza clinica.

 

Il suo utilizzo spazia dalla psicodiagnostica fino all’ambito peritale. In particolare, nelle perizie, risultano particolarmente rilevanti gli indici quantitativi, legati al funzionamento cognitivo e all’esame di realtà; dal punto di vista clinico, è invece possibile svolgere un approfondito lavoro di connessione tra aspetti biografici, clinici e qualitativi che emergono nelle risposte, offrendo una rappresentazione a tutto tondo del funzionamento psichico del soggetto.

 
 
 

Commenti


bottom of page