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IL SINTOMO DI SARTRE

Jean-Paul Sartre è stato uno dei filosofi francesi più influenti di tutti i tempi. Figura di spicco della filosofia esistenzialista, Sartre si è speso in molteplici campi, compresa la scrittura di celebri romanzi (come “La Nausea”), la critica dell’arte (gli studi su Tintoretto e Tiziano), il teatro e la politica.



Il suo impegno intellettuale lo ha portato a vincere il premio Nobel 1964 per la letteratura, che tuttavia sceglierà di non ritirare, affermando: “Nessun uomo merita di essere consacrato da vivo”. Tra gli altri titoli, rifiuto anche la “Legion d’onore”, la più alta onorificenza dello Stato Francese, e perfino di entrare a far parte del prestigiosissimo Collège de France.


Mai riconducibile in modo organico e scolastico ad un’unica scuola o impostazione culturale, il pensiero di Sartre si sottrae ad ogni riduzionismo, rendendolo un pensatore estremamente attuale.


Nella sua vita frequentò anche gli ambienti psicoanalitici, entrando in contatto, tra gli altri, con Jacques Lacan. Si racconta perfino di una “singolare” seduta con Lacan, nella quale Sartre raccontò della propria angoscia (grande tema della sua ricerca letteraria e filosofica) e di un sogno. Si racconta che Lacan sia rimasto molto “perplesso” davanti a Sartre, invitandolo ad intraprendere un analisi. Pare che il trattamento non abbia poi mai avuto luogo…


Data la sua grande attività intellettuale e politica, Sartre viaggiò in lungo e in largo. Tuttavia, il filosofo pare non aver mai superato una certa fobia rispetto al volo in aereo.

Racconta Sartre:

“Ho preso l’aereo cento volte senza abituarmici. (…) Di tanto in tanto la paura si risveglia – soprattutto quando i miei compagni di viaggio sono brutti quanto me; ma basta che ne facciano parte una bella ragazza o un bel ragazzo o una deliziosa coppia di innamorati e la paura svanisce; la bruttezza è una profezia; c’è in essa un certo estremismo che vuole portare la negazione sino all’orrore. Il Bello appare indistruttibile; la sua immagine sacra ci protegge; finché resterà tra noi la catastrofe non accadrà.”


La fobia di Sartre trova nel Bello un limite, un elemento capace di neutralizzare l’angoscia dovuta all’emergere dell’assenza di controllo davanti al rischio catastrofico, senza soluzione, dell’incidente aereo.


In questo passaggio autobiografico Sartre evoca uno degli scopi fondamentali che il Bello permette di ottenere nel suo rapporto con il Reale della vita: disinnescare la sua emersione traumatica, evitare il suo imporsi distruttivo.


Per questo, Sartre aveva inventato una sorta di rituale, cercando, nella fila dei passeggeri, quel “Bello” che avrebbe potuto rispondere alla sua angoscia, agendo da buon auspicio per il volo.


Possiamo cogliere in questa dimensione del “Bello” una chiara marca difensiva, tale da ridurre l’esperienza estetica ad una sorta di funzione ordinatrice e riparatrice simbolica. Se c’è Bello, c’è protezione, c’è ordine e salvezza.



Lo stesso Freud aveva sottolineato come, ad un occhio maschile, la bellezza femminile potesse avere un valore fallico; nella bellezza delle donne, indica Freud, l’uomo troverebbe un velo capace di “annullare” l’angoscia di castrazione. Ecco ancora un certo uso della bellezza, come “velo”, limite che impedisce il contatto traumatico con la realtà.


In ogni forma idealizzata, spiritualizzata, disincarnata di bellezza possiamo vedere un processo simile: l’evitamento del dato corporeo come protezione dalla mortalità della carne. Ne è un esempio la poetica del “Dolce Stil Novo”, nella quale la dama diviene così eterea da assumere a vero e proprio ideale disincarnato, al fine di negare la possibilità stessa del peccato, della degradazione e della morte.


Per approfondire:

-Massimo Recalcati – “Ritorno a Jean-Paul Sartre;

-Clotilde Leguil – “Sartre con Lacan”;

-Jean-Paul Sartre – “Tintoretto o il sequestrato a Venezia”.


Il rapporto tra Simbolico e Reale è al centro della pratica psicoanalitica e di quella artistica, nelle sue diverse sfaccettature: da una parte la psicoanalisi conduce il soggetto a fare i conti, tramite il potere simbolico della parola, con il non rappresentabile al centro della sua vita; dall'altra, l'arte cerca di bordare questo reale, questo impossibile da rappresentare, attraverso, come afferma Massimo Recalcati con una felice e poetica espressione, "il miracolo della forma".

 
 
 

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