LE CONSEGUENZE DELL’AMORE
- riccigianfranco199
- 5 lug
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 7 lug
LE CONSEGUENZE DELL’AMORE
lettura psicoanalitica del film
“Le conseguenze dell’amore” è un film del 2004 scritto, diretto e ideato da Paolo Sorrentino con Toni Servillo nel ruolo di protagonista. Il film è stato un grande successo di critica, tanto da ottenere 5 David di Donatello del 2005 (tra cui miglior regia e miglior attore protagonista), 5 Nastri d’argento e 2 Globi d’oro, 4 Ciak d’oro (oltre a numerose altre nominations).
Il film racconta la vita riservata e apparentemente ordinaria di Titta Di Girolamo, un professionista che vive da 8 anni in un albergo di Lugano, in Svizzera.
L’uomo soffre d’insonnia e intrattiene pochissimi rapporti umani, legati prevalentemente al suo lavoro e al luogo in cui vive.
In sostanza, Titta si limita a conversare con il direttore d’albergo per pagare il costo della stanza; ha sommari contatti telefonici con l’ex moglie e i tre figli e si intrattiene in superficiali mentre gioca a carte con una coppia di anziani, poveri e disperati un tempo proprietari e ora ospiti dell’hotel.
Per buona parte della pellicola, l’attività del protagonista appare misteriosa. Di cosa si occupa? Quale attività gli permette di pagare il suo permanente soggiorno in un albergo di Lugano?
Al di là del suo lavoro, tuttavia, il protagonista ha un altro segreto: ogni mercoledì mattina, dopo aver acquistato la dose da uno spacciatore di cui conosce solo il nome, nella riservatezza della sua stanza, assume una dose di eroina.
Da decenni Titta è dipendente dalla sostanza e ogni anno si reca presso una costosa clinica per una procedura di lavaggio del sangue per disintossicarsi e limitare i danni della sua dipendenza.
Siede allo stesso tavolo, si occupa delle stesse attività con meticolosa precisione. Nulla sfugge al suo controllo e al suo progetto.
La visita del fratello, giramondo seduttore senza arte ne parte, lo lascia indifferente, quasi indispettito. Titta non vede da vent’anni l’uomo che considera il suo migliore amico: “una volta che si è amici, lo si è per sempre”, afferma.
Nulla interroga il soggetto-Titta: non l’insonnia, non la separazione o la lontananza dei figli; nemmeno la sua solitudine lo mette davanti all’evidente disperazione della sua vita. L’uso dell’eroina è descritto come una qualunque procedura medica, che la depurazione annuale del sangue punta ad annullare nei suoi effetti nefasti.
In apparenza, Titta appare un uomo come tanti, avvolto nella propria elegante indifferenza.
L’ordine preciso e di chiara marca ossessiva della vita di Titta è spezzato dall’irrompere sulla scena dell’amore: esasperata dalla distrazione dell’uomo, che per anni non ha mai risposto al suo saluto, la barista dell’hotel rimprovera il protagonista, scuotendolo dal suo torpore.
Titta resta colpito dalla giovane, e se ne innamora. Cerca di avvicinarla non sul piano del desiderio, bensì su quello dell’oggetto. Titta regala alla giovane un’auto di grossa cilindrata, prelevando il denaro dalle somme di origine criminale che regolarmente deposita in banca. Il giorno dopo Sofia ha un incidente sulla mentre guida la vettura. Ha quindi inizio un vortice di eventi che condurrà il protagonista a fare i conti con l’inciampo che l’amore ha determinato nella sua vita.
Proprio per “tutelarsi” da tutto questo, Titta aveva scritto su un biglietto: “consiglio per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore”.
Il personaggio di Tita di Girolamo pare incarnare in modo esemplare la figura dell’“uomo senza inconscio” descritto da Massimo Recalcati.

Recalcati osserva quanto la psicopatologia contemporanea faccia i conti con:
“soggetti spaesati, alla deriva, vuoti, privi di punti di riferimento ideali, ingessati in identificazioni conformistiche, indifferenti, chiusi monadicamente nelle loro nicchie narcisistiche, prigionieri delle loro pratiche di godimento dove l’Altro è assente.”
In effetti, Titta gioca la dimensione del godimento nella sua alleanza con la sostanza: l’assunzione di eroina si colloca al posto delle incertezze del desiderio e dell’incontro con l’altro. La sostanza lo protegge dalle “conseguenze dell’amore”.
Nonostante l’apparenza ordinaria, al centro della vita di Titta c’è la “pulsione di morte”, tanto nel suo lavoro solo apparentemente normale e quanto nel suo rapporto con il godimento.
In questa prospettiva psicoanalitica, che non a caso si definisce “clinica dell’anti amore”, il soggetto vive l’esperienza dell’alterità e dell’incontro d’amore come un inciampo da evitare per non interrompere l’ordinario e progettato corso dell’esistenza.
Come sottolineare Recalcati:
“il soggetti ipermoderno, diversamente dal soggetto nevrotico, appare come privo di senso di colpa eppure massimamente colpevole. La sua colpa consiste nel non assumere col coraggio adeguato la fatica dell’esistenza e il programma inconscio del proprio desiderio. Non c’è assunzione etica del proprio desiderio, ma nemmeno la sua delega nevrotica.
Si assiste piuttosto al suo annullamento, alla sua cancellazione, al suo aggiramento, alla sua negazione”.
Titta si rifiuta di giocare la sua partita con l’altro sul piano della mancanza: non dona alla giovane barista il segno del suo amore, ma un’oggetto che possa colpirla, utilizzando denaro non suo (scaricando quindi sull’altro il peso della mancanza e della divisione); il protagonista non si fa carico del suo ruolo simbolico di padre, ma si limita al rituale borghese ed insipido di una misera telefonata che si interrompe al primo segnale di insofferenza.
Il protagonista della pellicola di Sorrentino non chiede mai il perché di quello che gli accade: non c’è enigma, divisione o interrogazione soggettiva sulla propria condizione.
Piuttosto, vediamo in gioco due declinazioni della clinica contemporanea:
da una parte “l’Es senza inconscio”, inteso come una spinta alla narcotizzazione della vita, la tendenza compulsiva ad un godimento che prescinde dallo scambio con l’altro sesso; dall’altra “l’Io senza inconscio”, ovvero “l’iper identificazione, l’immedesimazione alienante e conformista ai sembianti dell’Altro, la negazione di ogni esperienza dell’alterità, il rifu-gio nella maschera sociale, nell’indifferenza e nella apatia”.
Per approfondire.
-Massimo Recalcati – “L’uomo senza inconscio”;
-Domenico Cosenza – “Clinica dell’eccesso”;
-André Green – “Narcisismo di vita. Narcisismo di morte”.
Il film di Sorrentino ci offre una vivida rappresentazione della deriva del soggetto contemporaneo: senza la bussola del desiderio, la vita umana si inaridisce e diviene povera. Per questo l’unione mortifera con la sostanza diviene la via di fuga da questa ripetizione vuota e priva di senso.
L’amore interviene in questo meccanismo infernale come nuovo nome dell’inconscio, aprendo una divisione nel soggetto che invece si crede tutto unito, un “Uno tutto solo”.
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