IL SIGARO DI FREUD
- riccigianfranco199
- 24 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Sigmund Freud è spesso fotografato con in mano il celebre sigaro.
Nel corso della sua vita, il fumo è stato uno degli “alleati” e, allo stesso tempo, “padroni” di Freud. Quella di Freud era una vera e propria dipendenza, dalla quale il Padre della Psicoanalisi non riuscirà mai a liberarsi nel corso della propria vita.

Freud era solito fumare fino a venti sigari al giorno: durante le sedute con i pazienti, durante lo studio e la lettura, durante le riunioni con i suoi collaboratori, a margine dei pasti, nei momenti di riposo insieme alla famiglia…
Per Freud, il fumo era fonte di soddisfazione. Quando il nipote Harry rifiutò di fumare uno dei sigari del nonno, Sigmund disse:
“Ragazzo mio, fumare è una delle più grandi ed economiche soddisfazioni della vita. Se decidi di non fumare, non posso che essere dispiaciuto per te”
Lo studio di Freud, come raccontato da Raymond De Saussure, era una stanza avvolta nel fumo, rendendo l’aria pesante. Hans Sachs, uno degli psicoanalisti della prima generazione, raccontava come Freud si aspettasse che anche gli altri analisti si interessassero al fumo, imitandolo.
Ernest Jones, nella sua biografia di Freud, ricorda come Freud, a causa del continuo ricorso al fumo e all’abbondante produzione di muchi, fosse costretto a liberarsi anche durante le sedute, suscitando fastidio nei pazienti.
Jones racconta: “potevano manifestare di esserne disturbati, poi Freud li rimproverava per la loro schizzinosità”.

Tuttavia, questa negativa abitudine segnerà in modo sempre più pesante la vita e la salute di Freud, fino alla morte. Già a fine Ottocento, Freud ebbe i primi problemi di aritmia: nonostante l’invito dell’amico e medico Wilhelm Fliess a smettere di fumare, Simgund si rifiutò di seguire questi consigli;
“Non sto obbedendo alle tue prescrizioni: come si fa a vivere così miseramente per anni, privandosi di tale dono?”
Freud era infatti convinto che il fumo lo avesse sostenuto nel suo ritmo di lavoro e nella sua resistenza psicologica e fisica agli sforzi di ricerca e nella pratica clinica coi pazienti.
Tuttavia, già nel 1923, a Freud fu diagnosticato un cancro al palato: nel corso degli ultimi 15 anni di vita, Freud subì oltre trenta operazioni, sempre più dolorose ed invasive al palato. Queste dolorosi effetti della malattia resero il lavoro di Freud sempre più difficile e faticoso, costringendolo al silenzio per il dolore causato dal muovere la bocca.
Il fumo divenne quindi ragione di malattia e di enormi sofferenze; nonostante questo, Freud continuò a fumare, fino alla fine. Il suo palato venne in gran parte rimosso, costringendolo ad indossare una protesi dolorosa e causa di continui ascessi, chiamata da Freud stesso “il mostro”.
“….poi una sera Martha mi domandò quanti sigari fumavo in un giorno e io risposi timidamente che non tenevo il conto …….e io continuai a fumare fino alla fine ….”

Per approfondire:
-Ernest Jones – Vita e opera di Sigmund Freud;
-Paul Roazen – Freud e i suoi seguaci.
Il fumo aveva un peso rilevante sull’umore e sull’atteggiamento di Freud. La rinuncia al fumo, tentata saltuariamente, senza grandi risultati, era associata a pesanti crisi d’umore negativo, tanto da considerare la vita “insopportabile”.
In una lettera a Ferenczi, Freud scrisse: “ieri ho fumato il mio ultimo sigaro e da allora ho un pessimo umore. Poi un paziente mi ha regalato cinquanta sigari: ne ho acceso uno e sono tornato allegro. Anche le mie infiammazioni al palato sono poi migliorate”.
Poco prima di morire, al fratello Alexander, Freud scrisse, nel donare la sua collezione di sigari: “ti lascio un piacere che tu ancora puoi permetterti, ma io purtroppo non più”.
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