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IL MITO DI SISIFO

Aggiornamento: 22 feb 2024

Sisifo è uno dei personaggi più noti e affascinanti della mitologia greca. Considerato un uomo dal singolare ingegno e pieno di astuzie, è ricordato come il fondatore e primo sovrano della città di Corinto.


La storia di Sisifo mette al centro il tema del rapporto dell’uomo con il limite e con le divinità.

Sisifo, all’epoca del suo regno su Corinto, dovette affrontare una grave siccità. Alla ricerca di una fonte d’acqua per dissetare i suoi sudditi, Sisifo vide Zeus amoreggiare con una ninfa, Egina, figlia del dio fluviale Asopo.


Tempo dopo, proprio Asopo, alla ricerca della figlia, si presentò da Sisifo, per chiedere aiuto: il sovrano ammise di sapere la verità sulla figlia, ma chiese al dio di ottenere l’acqua necessaria per la città in cambio della preziosa informazione. Asopo accettò e il segreto di Zeus venne svelato.


Il sovrano dell’Olimpo, adirato contro Sisifo, decise di mandare Thanatos, impersonificazione della morte e servo di Ade, a Corinto per condannare Sisifo all’esilio negli inferi. Tuttavia Sisifo, grazie alla sua astuzia, fece ubriacare Thanatos e lo legò, imprigionandolo.

Ares, dio della guerra, si rese conto che più nessuno moriva, rendendo inutili guerre e battaglie; in assenza di Ade, anche la morte era scomparsa dal mondo. Per questo, il dio della guerra impersona intervenne per liberare Thanatos e catturare Sisifo.


Il sovrano di Corinto, prima di sprofondare negli inferi, disse alla moglie Merope di non seppellire il suo corpo e di non celebrare alcun funerale: si trattava di un piano ben congeniato; Sisifo protestò con le divinità per l’assenza di riti funebri ed ottenne, per mediazione di Persefone, moglie di Ade, di tornare nel mondo dei vivi per tre giorni, così da forzare la moglie ad eseguire i riti funebri.


Tuttavia, Sisifo cercò di sottrarsi al volere divino, per non tornare più negli inferi. Per questo Zeus decise di condannarlo ad un supplizio eterno: Sisifo dovrà per l’eternità spingere un masso da una profonda valle fino alla cima di una montagna; una volta raggiunta la vetta, il masso rotolerà a valle, costringendo l’eroe a ripetere infinite volte l’impresa.



Il mito di Sisifo ha ispirato molti tra artisti, poeti e scrittori.

Albert Camus, autore dell’opera “Il mito di Sisifo” vede nell’eroe greco il simbolo della mancanza di senso dell’esistenza, dell’impossibilità per l’uomo di controllare il mondo e la propria vita. Anzi, unica speranza per l’uomo sarebbe quella di abbracciare il proprio fato; per questo, Camus immagina Sisifo come felice, sorridente nel compiere la sua eterna fatica.


Albert Camus


Come possiamo leggere il mito di Sisifo alla luce della psicoanalisi?


Il mito di Sisifo ci mostra con chiarezza il conflitto tra il soggetto e la pulsione, come spiegato da Freud nel concetto di “coazione a ripetere”. Il nevrotico, sottolinea Freud, vive il sintomo e la ripetizione della sofferenza come una sorta di condanna eterna, rispetto alla quale si sente schiacciato e impotente.


Per questo, scopo dell’analisi è cogliere cosa del soggetto si ripete nel sintomo: lungi dall’essere una mera “disfunzione”, un “errore”, il sintomo manifesta invece tutta la sua portata metaforica di messaggio inconscio che il soggetto è chiamato ad interpretare.


Il sintomo, inteso come formazione di compromesso, trae la propria dimensione ripetitiva proprio dalla dinamica della pulsione, che altro non fa che ripetere la propria tensione tra ricerca e soddisfazione. Per questo, nel sintomo, insieme alla sofferenza è presente una forma di soddisfazione, che il soggetto vive con angoscia.


Grazie all’analisi, la ripetizione del sintomo può lasciare spazio al movimento del desiderio e ad una ripetizione nuova, legata a ciò che caratterizza il soggetto: un desiderio, un talento, un lavoro o una passione.


Franz Von Stuck – Sisifo (1920)


Per approfondire:

-Albert Camus – Il mito di Sisifo (1942);

-Sigmund Freud – Al di là del principio del piacere (1920).


Lacan, nel corso del Seminario XI, intitolato “I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi”, individua nella ripetizione un concetto decisivo, legato alla vita stessa del soggetto.


Infatti, la ripetizione, lungi dall’essere mera stereotipia, sarebbe caratteristica stessa del vivente: non c’è vivente senza ripetizione; così non c’è pulsione che nel vivente.


L’assenza della ripetizione non sarebbe che un segno del venir meno della vita, del prevalere di Thanatos sul logos vitale che attraversa il soggetto.




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