IL MITO DI ICARO
- riccigianfranco199
- 22 giu 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Il mito di Icaro è uno dei più famosi racconti dell’antica Grecia.
Icaro è figlio di Dedalo, il geniale inventore del labirinto di Cnosso. Dedalo era stato incaricato dal sovrano di Creta, Minosse, di inventare una soluzione per proteggere e nascondere l’orribile figlio nato dall’unione tra la moglie Pasifae e il sacro toro di Creta.
Il re Minosse fu molto soddisfatto del lavoro di Dedalo, tuttavia decise di renderlo prigioniero della sua stessa creazione: il sovrano infatti temeva che l’inventore del labirinto potesse rivelare ad altri il segreto per trovare la via d’uscita, una via di fuga, dal labirinto.
Nei suoi anni di lavoro a Creta, Dedalo ebbe un figlio, Icaro, da una delle schiave di Minosse, Naucrate.
Anche Icaro, insieme al padre, venne fatto prigioniero nel labirinto.
Dedalo tuttavia trovò un modo di fuggire: sul tetto del palazzo di Cnosso Dedalo aveva scoperto dei favi pieni di miele di un nido d’api; una volta eliminato il miele, Dedalo plasmò la cera per creare delle ali, che completò inserendo, una per una, delle piume.
Fu così possibile realizzare due coppie di ali, per permettere a Dedalo e al figlio Icaro di fuggire dal palazzo, spiccando il volo.
Dedalo tuttavia ammonì il figlio Icaro di non alzarsi troppo in alto in volo, per il rischio che il sole potesse sciogliere la cera e distruggere le ali, facendolo così precipitare in mare.
Preso dall’emozione del volo, il giovane volteggiò nel cielo, fino a raggiungere altezze impensabili; così in alto, il calore del sole sciolse la cera, facendo precipitare Icaro in mare.
Dedalo, distrutto dal dolore, volò fino a Cuma, dove costruì un tempio dedicato al dio Apollo in memoria del figlio.
Preso dall’ebrezza, quanto accade a Icaro ci mostra in modo chiaro l’esperienza non del “piacere”, quanto del “godimento” (quello che Lacan chiama “jouissance”).
Andando oltre ogni limite, compresa l’indicazione paterna, andando “al di là del principio del piacere” per citare Freud, Icaro fa l’esperienza di un godimento che comporta la sua stessa distruzione.
Si tratta di quella “pulsione di morte” al centro della ricerca dell’ultimo Freud e di Lacan.
Lacan giungerà a definire la pulsione di morte come “la disperata affermazione della vita che è la forma più pura dell’istinto di morte”.
La pulsione infatti presenta in sé un aspetto traumatico fondamentale: la pulsione vuole soddisfarsi, al di là di ogni limite, regola, vincolo o giudizio. E questa volontà di soddisfacimento può tradursi nella distruzione del soggetto. Ecco perché il simbolico, le leggi, che limitano l’accesso al godimento senza limiti, hanno un natura prima di tutto difensiva.
L’invito di Dedalo al figlio “Non andare troppo in alto, verso il sole” aveva lo scopo di proteggere il figlio, di evitargli il contatto, troppo diretto, con il sole. Icaro invece ha rifiutato questo limite, arrivando a distruggersi.
Per approfondire:
Freud – Al di là del principio del piacere
Lacan – il Seminario, Libro VII, l’etica della psicoanalisi
Nell’immagine:
“Icaro caduto”, dello sculture polacco Igor Mitoraj, ad Agrigento, vicino al tempio della Concordia.

In psicoanalisi è al centro la differenza tra il desiderio, dialettico, e il godimento, centrato, fissato alla “Cosa”, il “Das Ding”, individuato da Freud.
Di cosa si tratta?
Già nei suoi primi lavori, come il famoso “Progetto per una psicologia”, Freud individua in “Das Ding” l’oggetto del primo soddisfacimento.
Si tratta di un oggetto mitico, da sempre perduto. Un oggetto desiderato, da sempre ricercato e destinato a rimanere sempre altrove. Non si tratta infatti di un vero oggetto, di qualcosa che in passato è stato presente e poi rimosso, cancellato.
Piuttosto è in gioco l’effetto stesso del linguaggio: come sottolinea Lacan “il simbolo si manifesta in primo luogo come uccisione della Cosa, e questa morte costituisce nel soggetto l’eternizzazione del suo desiderio” (Funzione e campo, pag. 313).
Si tratta dell’azione de Simbolico sul Reale: se il simbolico tenta ri assorbire, moderare, indirizzare il reale incandescente della Cosa, resta tuttavia uno scarto, qualcosa che dell’esperienza umana resta non simbolizzabile, non integrabile.
L’esperienza del godimento ci mostra esattamente questo: la spinta assoluta, oltre il limite, incandescente della pulsione che tende solo al proprio soddisfacimento.
Alla “Cosa” Lacan attribuisce alcuni elementi: è al di là del simbolico, quindi fuori dal campo del significato; è da sempre perduta e ritrovata sempre altrove, in altre cose, seppur con un costante effetto di perdita (“non è mai davvero ciò che cerco”).
La Cosa mette in primo piano la dimensione muta, autistica, chiusa, non dialettica della pulsione di morte, la sua collocazione al di là del simbolico e delle sue leggi.
Che questo oggetto sia perduto è per Freud alla base della nascita della soggettività umana: è la perdita dell’oggetto pulsionale, della dimensione autistica del godimento, che spinge il soggetto a rivolgersi all’Altro per trovare un’altra forma per il proprio soddisfacimento.
Per questo Lacan ha esaltato la dimensione “nostalgica” del desiderio (che per struttura si rivolge all’Altro): “una nostalgia lega il soggetto all’oggetto perduto, nostalgia tramite cui si esercita tutto lo sforzo della ricerca. Essa caratterizza il ritrovamento del segno di una ripetizione impossibile, visto che per l’appunto non è lo stesso oggetto, non potrebbe esserlo”. (Sem. IV, pag. 9)
Il rapporto con la “Cosa” segna la dimensione e la rotta pulsionale del soggetto: si tratta di un vuoto che causa il desiderio, riprendendo la logica freudiana delle zone erogene come aree del corpo che si organizzano intorno ad un “vuoto”, aperture intorno alle quali si organizza la soddisfazione della pulsione.
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