IL MITO DI FILOTTETE
- riccigianfranco199
- 26 mar
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Il mito dell’eroe acheo Filottete è poco conosciuto, oscurato dai celebri racconti di Omero sui guerrieri e sui lunghi anni di assedio necessario per conquistare la città di Troia.
Tuttavia, senza il contributo decisivo di Filottete, la città governata da Priamo non sarebbe mai caduta nelle mani di Agamennone e degli altri sovrani achei.
Filottete è uno dei leader della spedizione che dalla Grecia parte verso l’Asia minore, sotto la guida di Agamennone. Figlio di Peante e Demonassa o della ninfa Metone, Filottete conduce un contingente di sette navi, provenienti da Metone, Taumacia, Melibea e Olizone, ognuna con cinquanta rematori abili nel tirare coll'arco.
Lo stesso Filottete è celebre per la sua grande abilità nell’uso dell’arco. La sua arma è di fama immortale: l’eroe infatti utilizza l’arco di Ercole, ricevuto in dono dal proprio padre dall’eroe stesso, in ringraziamento per aver acceso il fuoco della pira sulla quale Ercole troverà la morte, per liberarsi dal terribile dolore causato dal veleno del centauro Nesso.
Tuttavia, nel corso del viaggio verso l’Asia, Filottete viene morso ad un piede da un serpente: rapidamente dalla ferita si sviluppa una grave infezione e l’odore delle carni del piede dell’eroe diviene insopportabile; per questo, Ulisse convince i leaders della spedizione ad abbandonare Filottete, ferito ed infermo, sull’isola di Lemno.
L’eroe, rimasto solo, rimarrà confinato sull’isola per i dieci anni della guerra intrapresa dagli Achei contro i Troiani. Armato del suo arco, si nutrirà degli uccelli che sarà in grado di abbattere.

Nel frattempo, l’assedio degli Achei prosegue senza risultati. Ad un certo punto Ulisse, durante una sortita, riesce ad entrare nel tempio del dio Apollo; qui sorprende Eleno, figlio di Priamo ed Ecuba, grande guerriero e indovino. Eleno, pur di aver salva la vita, fornisce all’eroe una profezia: la città sarebbe caduta se fossero state soddisfatte alcune condizioni; tra queste, vi era è l’arrivo a Troia di Filottete, per combattere con l'arco e le frecce avvelenate di Eracle.
Eleno quindi tradisce la città e la propria famiglia, pur di aver salva la vita.
Gli Achei decidono quindi di portare al campo Filottete, ponendo fine al suo “esilio” sull’isola di Lemno, promettendogli l’intervento dei migliori medici, protetti dal dio Asclepio per guarire finalmente la sua ferita al piede. Come previsto da Eleno, l’arrivo di Filottete è un elemento decisivo per la vittoria achea: l’eroe uccide molti guerrieri nemici, forse persino Paride.
Una volta conquistata la città, Filottete è tra i pochi a tornare in patria con un viaggio senza troppe sorprese. Tuttavia alcune imprese militari lo condurranno fino in Italia meridionale, dove fonderà alcune città in Calabria e dove, secondo il mito, troverà la morte per mano dei barbari o degli Ausoni Pelleni.
Molti tragediografi hanno realizzato opere dedicate a Filottete. Eschilo, Euripide e Sofocle, i tre “grandi”, hanno scritto tragedie dedicate all’eroe. Tuttavia le versioni di Eschilo e di Euripide sono andate perdute.

La tragedia rimasta, quella di Sofocle, è stata messa in scena nel 409 a.C. e ha un chiaro eco politico: Atene, in quel tempo, è nel pieno della fase finale della “Guerra del Peloponneso”, il terribile scontro trentennale che ha opposto l’Impero ateniese e l’alleanza spartana.
Nel 409 a.C. Atene era dilaniata da uno scontro interno intorno ad una figura carismatica e ingombrante: Alcibiade, allievo di Socrate, grande generale e politico spregiudicato. Durante la fallimentare spedizione in Sicilia (415 a.C.), nella quale Atene aveva perso la sua flotta, Alcibiade, tra gli “strateghi” scelti per la campagna, era fuggito, per sottrarsi ad un processo intentato contro di lui da suoi nemici politici.
Alcibiade era fuggito presso i nemici spartani, suscitando l’ira di Atene, e poi nei suoi possedimenti nell’Ellesponto.
Nel frattempo, la città era dilaniata dalla guerra civile tra oligarchici e democratici.
Ora la città si chiede, attraverso Sofocle: “dobbiamo far tornare Alcibiade per il bene della città anche se ha tradito?”

La tragedia tocca quindi il tema dell’“utile” e del “giusto”: spesso, nei casi di guerra civile e di aspro scontro politico, è necessario ricorrere ad un’amnistia: “dimentichiamo le colpe del passato, per andare avanti”. Questo appare un compromesso necessario, “utile” per mettere un “punto” ad uno scontro destinato a non trovare fine e unire le forze verso un obiettivo superiore e comune. Ma è “giusto”?
Così, nelle tragedie è spesso l’intervento di un “deus ex machina” a ricomporre la situazione, trovando un compromesso tra le parti in lotta o tra due posizioni inconciliabili.
Dal punto di vista psichico, l’intervento di un terzo simbolico ricompone la frattura immaginaria tra due poli tra loro inconciliabili. Come sottolinea il filosofo Gilles Deleuze, il “terzo” è un attributo proprio del simbolico in quanto tale.
Possiamo interpretare il mito di Filottete come una riflessione sull’effetto devastante e mortifero della scissione nella psiche: resa necessaria per sopravvivere ad una ferita psichica o ad un conflitto insuperabile, la scissione determina un grave indebolimento dell’apparato psichico, privato della gran parte della propria energia per mantenere in piedi la scissione stessa, e al suo interno lacerato, scisso.
Questo si traduce spesso nella comparsa di un sintomo o nella grave alterazione del rapporto del soggetto con la realtà. Il superamento della scissione, in termini mitici la fine dell’esilio di Filottete, permette all’apparato psichico di recuperare la vitalità e l’energia derivanti dall’operare nella sua interezza.
Per questo il superamento di un conflitto psichico si traduce in una rinnovata spinta vitale, creativa e realizzativa: priva del fardello della scissione, la psiche può operare nell’interezza delle proprie forze e capacità, aprendosi al mondo in modo nuovo.
Questo processo è preparato dal lavoro psicoanalitico che, “analizzando” (cioè scomponendo) i complessi psichici, pone le basi per l’emergere di una nuova sintesi, a partire da quegli stessi elementi psichici prima in conflitto tra loro.
Per approfondire:
-Sofocle – “Filottete”;
-Enrico Testa – “La solitudine di Filottete”;
-Sergio Valzania - “Sparta e Atene. Il racconto di una guerra”.
L’allocazione delle “energie” psichiche a favore dei processi difensivi, come la rimozione e/o la scissione, ha degli effetti dinamici e strutturali sulla psiche: da un punto di vista dinamico, si traduce in un generale indebolimento, per le risorse destinate alla gestione del conflitto; da quello strutturale, nella privazione di una parte del materiale psichico, con un vero e proprio “restringimento” della psiche.
Per questo, il lavoro di “analisi” punta a scomporre i composti psichici: perché poi sia possibile una nuova sintesi, frutto del superamento dei compromessi e dei complessi finora emersi. Solo così è possibile puntare, laddove possibile, ad una nuova forma di integrazione psichica, superiore alle soluzioni emerse in precedenza.
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