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IL MITO DI ECO

Il mito della ninfa Eco è uno dei più affascinanti della mitologia greca. Ovidio racconta la storia della sfortunata ninfa nella sua opera intitolata “Metamorfosi”.

Eco è nota per la sua grande abilità nell’uso della parola e per il tono soave della sua voce.

 

Alleata di Zeus, la ninfa aiutava il sovrano degli dei a nascondere i suoi tradimenti nei confronti di Era, la sovrana dell’Olimpo. Eco infatti distraeva la dea, dando a Zeus il tempo di non essere scoperto insieme alle sue amanti.

 

Una volta scoperto il trucco, Era decise di punire la ninfa: “dell’uso della lingua, dalla quale sono stata ingannata, ti sarà data una capacità limitata e un uso ancor più limitato della tua voce!”

 

La ninfa venne condannata a ripetere le ultime parole appena ascoltate dai suoi interlocutori.

 

Tuttavia, una sorte ancora peggiore aspettava la povera Eco; la ninfa infatti incontrò il bellissimo Narciso e si innamorò perdutamente del giovane. Eco cercò di avvicinare il suo amato ma ad ogni parola rispondeva senza ripetere altro che quanto le veniva detto. Così facendo, scatenò l’ira di Narciso che decise di ignorarla, perché si sentiva vittima di uno scherzo.

 

Il dolore per il rifiuto subìto fu tanto atroce da far sì che Eco si consumasse con le sue stesse lacrime. Di lei non sarebbe rimasta che la voce, persa nelle valli e sulle montagne.

 

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Dalla ninfa Eco prende il nome l’“ecolalia”, un disturbo di linguaggio tipico della psicosi; chi ne soffre tende a ripetere, proprio come in un eco, le ultime parole o frasi pronunciate da altre persone.

 

Lo struggente mito di Eco offre l’occasione di studiare più da vicino anche il funzionamento del linguaggio in generale e il suo uso in psicoanalisi.

 

L’ascolto dell’analista mette al centro il “testo del paziente”. Cosa significa?

Ce lo spiega lo psicoanalista, Massimo Recalcati:

“non serve congetturare su quello che il paziente vorrebbe dire secondo i nostri modelli teorici di riferimento, ma occorre ascoltare ciò che dice effettivamente”.

 

È per questo che Freud invitava gli analisti a sottoporsi ad un’analisi personale prima di dedicarsi alla pratica clinica: per imparare a non pensare mentre si ascolta. Si tratta infatti di non dare spazio alle proprie suggestioni soggettive, ma di “ascoltare alla lettera ciò che il paziente dice”.

 

In secondo luogo, un aspetto centrale della funzione della parola è legata alla risposta dell’altro. Il senso di ciò che diciamo infatti non è semplicemente contenuto all’interno delle parole, ma si determina per un effetto di “retroazione”, cioè di risposta.

 

Per rendere chiaro questo aspetto centrale del funzionamento della parola, Lacan utilizza la metafora del “grido” del bambino: immaginiamo un bambino nella culla, che piange disperato; se nessuno lo ascolta, se nessuno risponde, il suo grido cade nel vuoto, privo di significato. È l’ascolto dell’altro e l’interpretazione del grido a dotare di senso il pianto del bambino.

 

Continua Recalcati:

“il ruolo dell’analista si gioca quindi nella funzione della risposta la parola del soggetto come ciò che conferisce retroattivamente un senso nuovo a quella parola per il solo fatto che essa venga riconosciuta, cioè ascoltata… questo significa che il messaggio non è già costituito nella parola del soggetto, ma si costituisce solo secondo la logica dell’après-coup, retroattivamente, a partire dalla risposta dell’altro.”

 

Per questo l’atto proprio dell’analista è l’“interpunzione”, un vero e proprio effetto di punteggiatura nel discorso del paziente.

 

L’atto dell’analista che ripete con una torsione inedita, una “felice interpunzione”, la parola detta dal paziente permette l’emergere di un senso nascosto, producendo un “effetto di significazione”. Questo permette, senza scavalcare il testo del paziente, di fare emergere quanto di inconscio c’è nella sua parola.

 

Come vediamo, Eco è condannata solo a ripetere, in modo uguale, quanto le viene detto; l’analista invece con la sua ripetizione, non fa semplice “eco”, ma apre alla domanda che si nasconde nella parola del paziente.

 

Per approfondire:

-Ovidio – “Metamorfosi”;

-Massimo Recalcati – “La pratica del colloquio clinico”;

- Christopher Bollas – “Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco-depressivo”.

 

La storia della ninfa Eco mostra una dinamica classica nel rapporto amoroso: Narciso è considerato dalla ninfa nella sua eccezionalità, come il depositario di ogni bene. Questa idealizzazione riflette l’investimento pulsionale della ninfa sul suo oggetto d’amore.

 

Il rifiuto da parte di Narciso lascia Eco come svuotata, privata della libido che aveva proiettato sull’amato. L’effetto di rottura scatenato dal bel narciso si tramuta nella evaporazione di Eco, rimasta come svuotata dal mancato riconoscimento del suo amore.

 
 
 

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