top of page

IL MITO DI ATLANTE

Atlante è una delle figure più affascinanti della mitologia greca. Titano della seconda generazione, era il sovrano della Mauretania, nell’Africa nord occidentale. Esperto di astrologia, il mito racconta che per primo abbia rappresentato il cielo come una sfera.


Insieme ai suoi fratelli ha tentato l’assalto al Monte Olimpo, per spodestare le divinità e porre fine al regno di Zeus. Alleato di Crono, Atlante e gli altri titani saranno sconfitti: per volere di Zeus, Atlante sarà condannato a reggere sulle sue spalle l’intera volta celeste, raffigurata proprio da una sfera.


Atlante Farnese, MANN, Napoli, II Sec. A. C.
Atlante Farnese, MANN, Napoli, II Sec. A. C.

Omero racconta che Atlante fosse il padre della bellissima e seducente ninfa Calipso, padrona dell’isola di Ogigia. Secondo altre fonti, Atlante sarebbe il padre delle sette Pleiadi e delle ninfe Iadi, divenute poi parte della volta celeste, dando il nome a due ammassi di stelle.


Il titano è solitamente ritratto nel momento in cui subisce il supplizio imposto da Zeus: Atlante appare come un essere umano di grande forza ma piegato sotto il peso immane del globo celeste. Il supplizio inferto al titano lo costringe ad uno sforzo continuo, senza fine.


In un celebre racconto, solo Ercole riesce a far riposare brevemente Atlante, reggendo per lui, per qualche istante, la volta celeste.


La condanna di Zeus ha quindi un effetto paralizzante sul titano, bloccandone l’esistenza, imprigionandolo in una condizione insostenibile di esaurimento senza fine. Atlante resta fermo, schiacciato, in una perenne tensione senza fine.


Giovanni Francesco Barbieri, Atlante che sostiene il globo celeste, 1646
Giovanni Francesco Barbieri, Atlante che sostiene il globo celeste, 1646

Nella punizione di Atlante possiamo isolare un tratto decisivo: la dimensione dell’eccesso.


L’eccesso è ha un ruolo centrale nella concezione psicoanalitica del disagio contemporaneo.

Questa dimensione, come una medaglia, ha due facce: da una parte la dimensione “over”, travolgente, di un vissuto, un’esperienza o un evento che supera per intensità la capacità di “metabolizzarlo” psichicamente; dall’altra l’incapacità psichica di pensare, di inserire in una rete simbolica i contenuti del mondo interno o di quello esterno.


Per questo, molti studiosi hanno denominato la fibromialgia, una patologia che conduce ad un costante stato di sofferenza diffusa, stanchezza ed esaurimento complessivo, fisico e mentale, come “sindrome di Atlante”.


L’esperienza senza fine del dolore cronico, della tensione muscolare e dell’esaurimento fisico e mentale rendono la fibromialgia, oltre che una condizione insidiosa, una patologia gravemente invalidante.


La scarsa sensibilizzazione delle Istituzioni su questa patologia hanno fatto sì che la fibromialgia in Italia non sia inclusa negli elenchi ministeriali delle patologie croniche e non sia dunque inserita nei LEA, livelli essenziali di assistenza.


L’indagine psicoanalitica vede tra le possibili cause che sottendono la condizione del soggetto affetto da fibromialgia una trasposizione sul piano fisico, anche in assenza di lesione d’organo, di un conflitto psichico che non è possibile simbolizzare, cioè pensare e tradurre in parole.

Il soggetto psicosomatico infatti svela l’incapacità del simbolico di catturare integralmente il reale del godimento che invade, come un parassita, il corpo. Si tratta di un godimento silenzioso, che si traduce in una sofferenza senza discorso.


Il soggetto rimane così in balìa di un corpo che soffre, che si fa “scena muta” di un conflitto che lo blocca e lo lacera.


Per approfondire:

-Moretti - “Il dolore illegittimo. Un’etnografia della sindrome fibromialgica”;

-Joyce McDougall - “I teatri del corpo. Un approccio psicoanalitico ai disturbi psicosomatici”;

-Taylor - “Medicina psicosomatica e psicoanalisi contemporanea”.


Lucas Cranach il Vecchio, Ercole e Atlante, 1540 circa
Lucas Cranach il Vecchio, Ercole e Atlante, 1540 circa

La condizione psicosomatica occupa un terreno di confine rispetto alla nosografia psicoanalitica classica. Posta in una sorta di “terra di nessuno” tra nevrosi e psicosi, la psicopatologia psicosomatica pare sottrarsi all’effetto pacificante del simbolico, mettendo in primo piano la dimensione a-significante del godimento.


Nella pratica clinica si osserva la difficoltà nel formulare un discorso soggettivo nel quale inserire il vissuto di malattia, escluso, forcluso rispetto all’esperienza del paziente. Non circola, intorno al sintomo psicosomatico, una domanda di sapere, bensì un discorso muto, una faglia senza parole.



 
 
 

Comments


bottom of page