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IL LETTINO DELLO PSICOANALISTA

Aggiornamento: 11 giu 2023

“La psicoanalisi? Un mito tenuto in piedi dall’industria dei divani” (Woody Allen)



Il lettino è un oggetto iconico, simbolo stesso della clinica psicoanalitica: introdotto da Freud come strumento di lavoro, non ha mai cessato di costituire un elemento imprescindibile della stanza d’analisi.


Tuttavia, nonostante i luoghi comuni e gli stereotipi, non tutti i pazienti che effettuano un percorso terapeutico o un’analisi vengono invitati a stendersi sul lettino.


Come mai?


Il ricorso al lettino risponde, come ogni atto dell’analista, ad una logica: nella conduzione di una cura nulla deve essere lasciato al caso.


Da una parte abbiamo quindi una logica, che guida l’analista nella decisione di incontro il paziente “vis à vis”, oppure spinge lo ad invitare il paziente a stendersi sul lettino; dall’altra abbiamo la “storia” del lettino come strumento di lavoro nella cura analitica.


Come sappiamo, Freud ha perfezionato il proprio metodo attraverso varie prove e scansioni: partendo dall’utilizzo dell’ipnosi e del metodo catartico, solo dopo lunghi anni di lavoro clinico, di ricerca e di riflessione teorica, Freud ha definito in modo chiaro gli elementi decisivi del trattamento psicoanalitico.


È Freud stesso a indicare in un “motivo storico” la ragione dell’utilizzo del lettino:


“Insisto nella raccomandazione di far stendere il malato su un divano mentre prendiamo

posto dietro di lui, in modo ch'egli non possa vederci.


Questa disposizione ha un significato storico, è ciò che è rimasto del trattamento ipnotico dal quale si è sviluppata la psicoanalisi. Merita però di essere mantenuta per molteplici ragioni.


In primo luogo per un motivo personale, che però altri, forse, condividono con me.


Non sopporto di essere fissato ogni giorno per otto (o più) ore da altre persone.

Dato che mi abbandono io stesso, mentre ascolto, al flusso dei miei pensieri inconsci, non desidero che l'espressione del mio volto offra al paziente materiale per interpretazioni o lo influenzi nelle sue comunicazioni.”


(Freud, “Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi”, L’inizio del trattamento, 1913, pag. 343)


Freud è esplicito nel richiamare l’evoluzione della tecnica della psicoanalisi, a partire dalla pratica dell’ipnosi e di altre forme di suggestione: l’utilizzo del lettino è una vera e propria acquisizione, effettuata per meglio mantenere la posizione analitica e per ragioni di natura pratica.



Freud infatti ci racconta qualcosa di sé e dello sforzo necessario all’analista per mantenere la sua “neutralità” e rendere operativo il cosiddetto “schermo opaco”: è infatti necessario che il paziente si confronti in prima persona con il proprio discorso e le proprie parole, riducendo al minimo l’effetto “suggestivo”, cosa ben diversa dal transfert, legato alle reazioni, spontanee e involontarie, dell’analista circa quanto detto


Il celebre lettino di Freud, oggi conservato nel Freud Museum di Londra, è in realtà un dono di una paziente: la ricca Madame Benvenisti, che per prima lo utilizzò durante le sedute.


Aggiunge Freud:

“Il paziente avverte di solito la situazione impostagli come una privazione e vi si ribella, soprattutto se la pulsione di guardare (voyeurismo) ha una parte importante nella sua nevrosi.

Insisto però su questa misura, che ha lo scopo e ottiene l'esito di evitare l'impercettibile commistione fra traslazione e libere associazioni del paziente, di isolare la traslazione e farla affiorare a suo tempo in modo spiccatamente delineato sotto forma di resistenza.”


(Ibidem)


Ecco un primo elemento logico: sottrarre al paziente la vista dell’analista impedisce che la persona dell’analista divenga “oggetto” del paziente e delle sue manovre transferali, che altro non sono che forme di resistenza al trattamento.


L’analista che diviene presente nella forma della sua mera presenza e della sua voce si colloca su un piano ben diverso dalla presenza simmetrica del “vis à vis”: se la figura dell’analista può svolgere un ruolo importante, divenire riferimento e ricettacolo delle proiezioni e dei vissuti del paziente, il suo “eclissarsi” come presenza non visibile spinge il paziente in analisi a confrontarsi non con un suo simile, un altro, ma con il proprio discorso, con le proprie parole e quindi con l’Altro inconscio che lo abita.


Ma quando si stende un paziente sul lettino dello psicoanalista? Qual è la logica dietro a questo atto clinico? Esistono dei criteri e dei parametri? Lo approfondiremo nell’articolo completo.


Per approfondire:

-Sigmund Freud – Psicoterapia (1904)

-Sigmund Freud - Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, L’inizio del trattamento, 1913






Nell’immagine: il celebre lettino di Freud, conservato oggi nella casa londinese al civico 20 di Maresfield Gardens.


SECONDA PARTE

LA LOGICA DEL LETTINO


L’uso del lettino non costituisce un “feticcio” della psicoanalisi, bensì risponde ad una logica precisa.


Come abbiamo detto, non tutti i pazienti vengono invitati a stendersi sul lettino.

Anzi, il primo criterio circa l’uso del lettino è proprio quello diagnostico: l’uso del lettino andrebbe riservato ai pazienti nevrotici; un paziente psicotico potrebbe invece vivere con grande sofferenza un dispositivo che allontana dalla sua vista la figura del terapeuta, rendendo così l’uso del lettino controindicato.


Il passaggio al lettino segue la necessità di scandire un passaggio preciso della terapia: alla conclusione (logica, non temporale) dei colloqui preliminari, è possibile invitare il paziente a stendersi sul lettino per segnare un momento di scansione, di discontinuità nel lavoro analitico. L’uso del lettino costringe l’analizzante a confrontarsi con le proprie parole, al di là delle reazioni dell’analista posto, in precedenza, di fronte a lui.

Il confronto con il proprio discorso e l’interrogare non l’analista ma il proprio inconscio circa la propria sofferenza costituiscono un passaggio imprescindibile per l’inizio vero e proprio di un’analisi.


L’istaurarsi del transfert simbolico: il transfert, considerato in origine da Freud come un ostacolo al lavoro analitico, né uno dei motori fondamentali. “In origine è il transfert”, sentenzia Lacan, parafrasando il biblico “In origine è il verbo”. E il transfert circola attraverso le parole e le formazioni inconsce che il paziente produce in seduta.

La costituzione e la messa al lavoro del transfert segnano la fine dei colloqui preliminari e l’inizio del percorso analitico.


Il paziente domanda all’altro, l’analista, la risposta circa la propria sofferenza, nel corso dei colloqui preliminari è necessario maturare un’implicazione soggettiva circa ciò che accade: lungi dall’essere un evento casuale o esterno, il sintomo ci interroga in prima persona su questioni decisive: cosa desideriamo? Cosa stiamo facendo della nostra vita e del nostro desiderio? Come godiamo?

L’emergere di un’implicazione soggettiva segna un cambio di prospettiva per il paziente: si tratta ora di interrogare il proprio inconscio, costruendo il proprio sapere su di sé, abbandonando l’illusione che l’altro possa avere una soluzione preconfezionata per le nostre questioni.


Tutti questi elementi, nel loro insieme, segnano una rettifica dei rapporti del soggetto in analisi con il reale che lo abita: si tratta di una vera e propria questione di logica all’interno della cura analitica.


Per questo, ancora oggi, il lettino costituisce un elemento imprescindibile della stanza d’analisi.




 
 
 

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