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IL FOTOGRAFO DI FREUD

La fotografia è un’arte nobile, che permette di immortalare il ricordo di luoghi, persone ed eventi. Grazie alle fotografie possiamo lasciare una vivida traccia di incontri significativi oppure possiamo mostrare agli altri quello che, per età o per opportunità, non hanno potuto vedere.


Devono aver pensato a questo i Freud e Aichhorn nel 1938, nelle settimane precedenti la fuga da Vienna verso Londra. Per fotografare il celebre studio al numero 19 della Berggasse, August Aichhorn, tra i pionieri della psicoanalisi dell’adolescenza e allievo di Freud, scelse Edmund Engelman, un giovane e brillante fotografo di famiglia ebraica.


Engelman, nei suoi “Ricordi”, testimonia di quella esperienza straordinaria:


“La famiglia Freud avrebbe lasciato la città entro dieci giorni. La storica abitazione e lo studio dovevano essere sgomberati e il contenuto dei locali sarebbe in parte stato immagazzinato e in parte spedito a Londra. Ci trovammo d’accordo sul fatto che era molto importante per la storia della psicoanalisi mantenere vivo in ogni singolo dettaglio il ricordo del luogo in cui essa era nata…”


Freud era oramai prossimo alla fine della sua vita: molto malato e oramai sempre più isolato, aveva dovuto subire l’onta di una perquisizione e del ricatto economico da parte del nuovo regime. Per non suscitare le terribili “attenzioni” della polizia politica, le foto nella casa di Freud vennero scattate senza flash.


Racconta Engelman:

“Mi ero proposto di scattare in ogni stanza il maggior numero di fotografie dai punti in cui Freud era solito sedersi e trascorrere il suo tempo. Volevo riprendere gli oggetti nel modo in cui li vedeva, durante le lunghe sedute con i pazienti o mentre lavorava alla scrivania”


Engelman rimase colpito dallo studio di Freud, pieno di oggetti d’arte e da reperti archeologici:

“Tutta la stanza era ingombra di oggetti antichi. Fui sopraffatto dalla folla di statuette appoggiate su ogni superficie libera… ovunque, alle pareti, quadri, opere d’arte, ricordi e onorificenze…”


Ogni fine settimana Freud era solito recarsi da un antiquario, che, conoscendo i suoi gusti, era solito tenerli in serbo per lui.


Engelman sapeva di non avere una seconda occasione per scattare le fotografie: la fuga dei Freud era imminente e occhi malevoli sorvegliavano tutti i movimenti nella Berggasse.


Al terzo giorno di scatti, accadde qualcosa di imprevisto:

“stavo per scattare alcune fotografie supplementari della scrivania di Freud, quando sentii qualcuno avvicinarsi rapidamente, a piccoli passi. Era Freud… Entrambi stupiti, ci guardammo negli occhi. Io ero confuso, imbarazzato. Anche Freud appariva a disagio, sebbene ostentasse la calma più assoluta. Non sapevo cosa dire e rimasi immobile, muto. Per fortuna in quel momento entrò Aichhorn, che risolse la situazione. Spiegò a Freud il motivo della mia missione e mi presentò. Ci stringemmo la mano, rasserenati. In quel momento mi ricordai dell’album che avevo portato con me. Lo estrassi dalla valigetta e lo porsi a Freud, esprimendogli il desiderio che lo portasse con sé in Inghilterra. Lo sfogliò lentamente pagina dopo pagina, soffermandosi su ogni immagine. A poco a poco cominciò a sorridere e alla fine parve sinceramente compiaciuto. Facendosi nuovamente serio, disse: “La ringrazio di cuore. Sarà molto importante per me”.”


A questo punto Engelman prende coraggio:

“Gli chiesi il permesso di fotografarlo. Acconsentì con molta gentilezza e aggiunse che potevo continuare con il mio lavoro, come meglio ritenessi. Si sedette alla scrivania, aprì un raccoglitore in pelle e iniziò a scrivere con una penna stilografica su un foglio di carta…”


Edmund Engelamn
Edmund Engelamn

Alla fine del suo lavoro, il giovane e coraggioso fotografo ricevette un dono:

“mentre stavo terminando il mio lavoro, mi fu chiesto di ingrandire un ritratto di Freud, che in seguito mi venne consegnato con la dedica: “Un sincero ringraziamento all’artista. 1938 – Freud”.”


I negativi delle fotografie si salvarono dalla persecuzione razziale e dalla distruzione della guerra, giungendo fino ai giorni nostri. Anche se lo studio nel quale è nata la psicoanalisi oggi ospita un museo, molte delle tracce originali sono andate perdute.


Come ricorda l’oramai maturo Engelman:

“Rivolsi lo sguardo alla parete dove un tempo poggiava il divano. Non rimaneva che la sua impronta sul pavimento di legno. Una settimana più tardi, …, mi recai ancora una volta al 19 della Berggasse. Gli operai avevano già cominciato a lavorare per riportare lo studio e l’abitazione al loro stato originario. Il pavimento era stato levigato e lucidato. L’impronta spettrale del divano era scomparsa”.


Per approfondire:

-Leoni e Panattoni – “Divano. Il dispositivo della psicoanalisi”;

-Vegetti Finzi – “Storia della psicoanalisi”;

-Edmund Engelman – “Berggasse 19. Lo studio e la casa di Sigmund Freud”.


Conoscere la storia della psicoanalisi permette di cogliere il profondo intreccio tra teoria, vita degli analisti e del mondo intorno a loro. Lungi dall’essere una pratica astratta e lontana dal mondo, la psicoanalisi tocca (e si lascia toccare dagli) gli eventi del tempo che vivono coloro che la praticano.


Ancora oggi, in molti paesi autoritari, la pratica della psicoanalisi è impossibile. Possiamo affermare che la possibilità di “parlare liberamente”, come richiesto dalla regola fondamentale, sia possibile solo laddove certe libertà fondamentali sono garantite.



 
 
 

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