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DALÍ, DUCHAMP E LA GIOCONDA

Salvador Dalí e Marcel Duchamp hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte. L’uno surrealista ed istrionico, l’altro concettuale e padre del “ready made”, entrambi hanno catalizzato il dibattito, specialistico e non solo, intorno all’evoluzione dell’arte contemporanea.


Nonostante le grandi differenze caratteriali, i due hanno condiviso idee, vacanze e progetti fin dal 1930. Nel 1933 la conoscenza divenne amicizia: Marcel Duchamp insieme alla compagna Mary Reynolds visitò la Spagna, soggiornando a Cadaqués, vicino alla casa di Dalì a Portlligat.


Come afferma Hank Hine, direttore del “Museo Dalí”: “Amavano giocare, giocare con le parole e giocare con le immagini. L’interesse di Duchamp per i giochi di parole e le doppie immagini linguistiche fa rima con l’interesse di Dalí per le immagini doppie visive”.


Nel suo diario, in una pagina del 13 maggio 1956, Salvador Dalí ricorda:


“Un giornalista viene apposta da New York per domandarmi cosa penso della Gioconda di Leonardo.

Gli dico: “sono un grandissimo ammiratore di Marcel Duchamp, colui che per l’appunto ha fatto quelle famose trasformazioni sul volto della Gioconda. Le ha disegnato dei baffi molto sottili, dei baffi già daliniani.

Sotto la fotografia aveva aggiunto in lettere piccolissime che si potevano appena leggere: “L.H.O.O.Q.”.



Ho sempre ammirato questo atteggiamento di Duchamp che a quell’epoca corrispondeva a una questione ancora più importante: sapere se bisognava o no bruciare il museo del Louvre.

Già allora ero un fervente ammiratore della pittura ultra-retrograda, incarnata dal grande Meissonier che ho sempre considerato come un pittore molto superiore a Cézanne. E naturalmente, stavo fra coloro i quali dicevano che non bisognava bruciare il museo del Louvre. Vedo che hanno preso in considerazione, almeno fino ad ora, il mio punto di vista al riguardo: il museo del Louvre non è stato bruciato.

È evidente che se decidessero bruscamente di incendiarlo, bisognerebbe salvare la Gioconda… E non soltanto perché è di una grande fragilità psicologica. Nel mondo esiste una genuina giocondolatria.

Molte persone se la sono presa con la Gioconda, anche lapidandola qualche anno fa, caso tipico di flagrante aggressione contro la propria madre. Se si conosce tutto quello che Freud ha scritto su Leonardo da Vinci, tutto quello che l’arte di quest’ultimo occultava nel subcosciente, si deduce facilmente che era innamorato della propria madre quando dipingeva la Gioconda. Inconsciamente, ha dipinto un essere che riveste tutti i sublimi attributi materni… Posa su chi la contempla uno sguardo totalmente materno. Tuttavia, sorride in modo equivoco.

Tutti hanno potuto vedere e vedono ancor oggi che in quel sorriso equivoco c’è una dose determinante d’erotismo.

Ora, cosa succede al povero infelice che è posseduto dal complesso d’Edipo, ossia dal complesso di essere innamorato della propria madre?

Entra in un museo. Un museo è una casa pubblica. Nel suo subcosciente, è un bordello. E in questo bordello vede il prototipo dell’immagine di tutte le madri. La presenza angosciante di sua madre che gli lancia uno sguardo dolce e gli rivolge un desiderio equivoco, lo spinge ad un atto criminale.

Commette un matricidio, prendendo la prima cosa che gli capita tra le mani, un sasso, e rovinando il quadro.

È una tipica aggressione da paranoico…”

Andando via, il giornalista m’ha detto: “Questo valeva il viaggio!”.

Credo bene che valesse il viaggio! L’ho guardato mentre risaliva la costa, pensieroso. Camminando, s’è chinato a raccogliere un sasso.”


Salvador Dalí evoca il celebre saggio di Freud “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” (1910), uno dei primi tentativi, dopo “Totem e Tabù”, di applicare la psicoanalisi a campi diversi dalla clinica.

Dalí evoca un elemento universale della teoria freudiana: l’angoscia come frutto del desiderio dell’Altro, che coglie a partire dal sorriso equivoco della Gioconda. Non a caso, da secoli, esperti e profani si interrogano sullo sguardo e sul sorriso della dama ritratta nel capolavoro di Leonardo.

Una domanda sorge spontanea osservandola, scuotendo le nostre certezze: “Che cosa vuoi?”.


Per approfondire:

-Salvador Dalí – “Diario di un genio”;

-Sigmund Freud – “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”;

-Salvador Dalí e Marcel Duchamp – “Dalí/Duchamp”.


L’arte per Dalí è il campo del suo rapporto con l’inconscio: le sue opere seguono il medesimo processo di formazioni delle fantasie, dei sogni, dei lapsus.

Nella sua arte, Dalí si fa strumento della piena espressione, narcisistica e vanitosa, della sua interiorità, grandiosa e creativa. C’è un tratto infantile in Dalí: nella sua arte, si autorizza ad esprimere quanto lo attraversa, legittimando il proprio vissuto al di là di ogni conformismo.

 
 
 

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