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IL FILO DI FREUD

Nella sua ricerca sul gioco e sulla fantasia, Sigmund Freud ha colto un “filo rosso”, presente nel gioco dei bambini, nelle fantasie degli adolescenti e degli adulti e nella creazione artistica o poetica.


Nell’articolo “Il poeta e la fantasia” (1907), Freud osserva diversi punti di contatto tra il gioco dei bambini e l’arte poetica: sia il bambino sia il poeta si rivolgono infatti alla fantasia, alla creazione di scenari alternativi alla realtà, ai quali danno forma con grande attenzione e impegno.


Afferma Freud:


“Avremmo torto se pensassimo che il bambino non prenda sul serio un tale mondo; egli prende anzi molto sul serio

il suo giuoco e vi impegna notevoli ammontari affettivi. Il contrario del giuoco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale.”


Col passare degli anni, l’adolescente sostituisce al gioco simbolico le fantasticherie, cominciando a “sognare ad occhi aperti”. Tali fantasie, accettate nei giovani, diventano inconfessabili e rifiutate negli adulti, ai quali non è concessa la stessa libertà di esprimere il loro vissuto interiore.

In questo senso è importante ricordare la pesante influenza, nell’epoca di Freud, dei precetti della cosiddetta “Età Vittoriana”, segnata da un rigido moralismo.


Le fantasie dell’adulto hanno pochi canali per essere espresse: possono farlo nell’arte o nella poesia; in alternativa, è possibile raccontare le proprie fantasie stesi sul lettino dello psicoanalista.


Proprio dalle parole dei suoi pazienti Freud coglie l’esistenza di questo “filo rosso” che unisce il gioco del bambino, le fantasie dell’adolescente e dell’adulto: si tratta del filo rosso del desiderio.



Freud osserva come nelle creazioni fantastiche, artistiche e non, siano sempre presenti tre tempi:

la fantasia avrebbe origine da un’impressione, da un accadimento che, come uno stimolo, la evoca; tale stimolo si collegherebbe ad un ricordo, un vissuto del passato, per tradursi poi in una creazione orientata al futuro.


Tutti questi elementi sarebbero saldati dall’insoddisfazione, vero motore delle fantasie, consce ed inconsce.


Sottolinea Freud:

“Si deve intanto dire che l'uomo felice non fantastica mai; solo l'insoddisfatto lo fa. Sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti.”


Tra i desideri insoddisfatti, Freud individua due categorie: i desideri di grandezza e di successo e quelli erotici, entrambi difficili da appagare nella realtà.

Freud coglie nella fuga nella fantasia un aspetto del funzionamento della mente potenzialmente patologico: l’impossibilità di realizzare i propri desideri, relegandoli nella soddisfazione fantastica o inconscia, aprirebbe le porte alla nevrosi o alla psicosi.


Nelle creazioni poetiche e artistiche Freud coglie che “Nelle opere di questi narratori vi è un elemento tipico che ci deve colpire; esse hanno tutte un eroe che è posto al centro dell'interesse, per il quale l'autore cerca di guadagnare con ogni mezzo la nostra simpatia e che egli sembra proteggere con una provvidenza particolare.”


Nell’eroe o nel protagonista, osserva Freud, vi sarebbe il riflesso dell’Io del narratore e del lettore, confrontato coi desideri e con le imprese che difficilmente trovano luogo nella vita di ogni giorno.


Molti dei personaggi dei romanzi rifletterebbero invece “parti parziali dell’Io”, o altre componenti della Psiche, come le istanze superegoiche.


In sostanza, Freud propone una vera e propria teoria della genesi dell’opera artistica, in questi termini:

“Quanto al rilievo cosi dato in modo forse eccezionale ai ricordi d'infanzia nella vita dei poeti, non dimenticate che in ultima analisi esso è una conseguenza della proposizione iniziale per cui tanto l'attività poetica quanto la fantasticheria costituiscono una continuazione e un sostitutivo del primitivo giuoco di bimbi.”


E per quanto riguarda i miti?

Freud vede nei racconti mitici, nelle fiabe e nelle narrazioni popolari una forma di “sogno secolare”, condiviso da un intero popolo. In questo frangente, vediamo Freud anticipare un principio che verrà ribadito anni dopo, nel saggio “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921): tra psicologia individuale e sociale non vi sarebbe una radicale discontinuità, bensì una sovrapposizione, un “filo rosso” che le collega, così come il gioco del bambino è vicino all’opera poetica.


Per approfondire:

-Sigmund Freud – Il poeta e la fantasia;

-Sigmund Freud – Psicologia delle masse e analisi dell’Io;

-Otto Rank – L’artista.


Il rapporto tra Psicoanalisi e Arte è da sempre vivo e fecondo. Gli Psicoanalisti si sono sempre interessati alla vita degli artisti e al processo di genesi dell’opera d’arte.


Quando nasce un’opera d’arte? Cosa infonde nella poesia e nella letteratura la capacità di commuovere, indignare, smuovere i nostri vissuti, ricordi ed emozioni?


La ricerca sul “poetico” e sullo statuto dell’arte ha trovato già nella prima generazione di psicoanalisti dei curiosi esploratori del rapporto tra l’artista e la propria creazione.


Freud ha scritto ad esempio un saggio su Leonardo da Vinci, indagando il rapporto tra la sua vita e la sua creatività artistica, come abbiamo visto in questo articolo.


Tale filone è sempre rimasto vivo ed acceso: per Klein l’opera d’arte rifletteva un processo di sintesi tra aspetti depressivi ed aggressivi; per Bion invece l’arte era un prezioso strumento per tradurre le angosce senza nome del soggetto in una forma nuova, evoluta e metabolizzata.


Anche Jacques Lacan ha indagato il mondo dell’arte, facendo numerosi riferimenti ad artisti come Courbet, Magritte, Holbein, Van Gogh.


 
 
 

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