IL DRAMMA DI CARTESIO
- riccigianfranco199
- 22 mag 2024
- Tempo di lettura: 4 min
René Descartes è stato uno dei più brillanti ed originali filosofi e matematici francesi. Le sue idee e le sue ricerche hanno influenzato molti campi del sapere: la matematica, la musica, la geometria, la filosofia della scienza e della natura, la religione. Per questo Cartesio è considerato uno dei Padri della Cultura moderna.

Al centro del suo pensiero troviamo l’idea di certezza come assioma su cui fondare una concezione della conoscenza razionale e adeguata alle scoperte scientifiche del suo tempo.
Il Seicento è stato un secolo ricco di scoperte e di invenzioni: gli scienziati si dedicavano con grande entusiasmo allo studio della biologia, del cosmo, della fisica e della matematica. In quest’epoca sono state poste le basi per quello che sarà chiamato il “secolo dei lumi”, il Settecento.
La vita e la ricerca di Cartesio sono stati influenzati in modo significativo da un evento drammatico che ha segnato per sempre la vita del filosofo.
Nel 1635 nacque a Deventer, in Olanda, Francine, figlia del filosofo e di Helena Jans Van der Strom. Francine è l’unica figlia nota di Cartesio. La nascita della figlia avrebbe profondamente influenzato Cartesio, spingendolo a concentrare le sue ricerche sulla biologia, sulla fisica dei corpi e sull’anatomia.
L’anno successivo alla nascita della figlia Cartesio pubblica la sua opera più famosa, il “Discorso sul metodo”, prefazione di tre saggi scientifici, “La diottrica”, “Le meteore” e “La geometria”. In quest’opera Cartesio espone le sue idee sugli animali e i loro corpi, sull’esistenza di Dio e sull’anima.
Al centro della teoria di Cartesio vi è la divisione tra “res extensa”, la parte corporea e materiale degli esseri viventi, e la “res cogitans”, propria solo all’uomo. Per questo, per Cartesio, gli animali, essendo privi di anima, erano simili alle macchine: puri ingranaggi in movimento.

Cartesio in lutto per sua figlia, incisione di Nicolas Ponce secondo Clément-Pierre Marillier (1790).
La morte di Francine, colpita dalla scarlattina alla tenera età di 5 anni, lasciò i genitori in preda alla disperazione. All’epoca, la mortalità infantile era altissima e patologie oggi facilmente curabili all’epoca causavano moltissime vitime.
Secondo Adrien Baillet, suo biografo, Cartesio “pianse per lei con una tenerezza che gli fece sentire che la vera filosofia non soffoca il naturale. Ha protestato che lei gli aveva lasciato con la sua morte il più grande rimpianto che avesse mai provato in vita sua”.
Intorno al lutto di Cartesio circa la morte della figlia circola una leggenda, probabilmente inventata dai nemici del filosofo, per screditarlo. Si racconta infatti che Cartesio si fosse fatto costruire una statua meccanizzata a grandezza naturale che riproducesse con grande fedeltà l’aspetto di Francine. Il filosofo, inconsolabile, avrebbe voluto dotare questa sorta di “bambola” di ingranaggi e meccanismi tali da renderle possibile muoversi. Cartesio avrebbe portato con sé questa “reliquia” della figlia per il resto dei suoi giorni in ogni suo spostamento.

Il Seicento (e successivamente il Settecento) furono secoli animati dal desiderio di sondare il mistero della vita e del movimento dei corpi: gli scienziati cercavano di capire il funzionamento anatomico del corpo, le articolazioni, i processi chimici.
Lo stesso Cartesio immaginava che gli animali, privi di anima, fossero una specie di “macchina”, capace di muoversi in autonomia. Solo l’uomo, dotato di “anima”, e di coscienza, la “res cogitans”, avrebbe potuto andare al di là della realtà meccanicistica e materiale.
Secondo questo racconto Cartesio non sarebbe mai più stato in grado di superare la morte della figlia: la piccola Francine, trasformata in un simulacro – macchina, sarebbe “sopravvissuta” alla morte; il meccanicismo avrebbe quindi offerto a Cartesio l’illusione di avere ancora con sé la figlia amata, in un nuovo corpo non più colpito dalla malattia né dal passare degli anni.
La tragica vicenda di Cartesio mostra l’estremo dolore che la perdita di chi è amato comporta; a volte, il processo di elaborazione del lutto fallisce. Come Freud sottolinea in “Lutto e melanconia”, il lutto può fallire attraverso due strade: da una parte quello della negazione maniacale della perdita, del rifiuto della fine; dall’altra con la morte universale della melanconia.
In uno dei suoi primi scritti, intitolato “Le Neuropsicosi da difesa” (1894), Freud racconta un dettaglio della sua esperienza di medico:
“L'Io si strappa alla rappresentazione incompatibile, ma questa è inseparabilmente connessa a un pezzo di realtà; l'Io, strappandosi a essa, si stacca dunque, in tutto o in parte, anche dalla realtà.
Questa è, a mio parere, la condizione che permette di dare allucinatoriamente vita alle proprie rappresentazioni, per il che il soggetto, una volta felicemente attuata la difesa, si ritrova nello stato di follia allucinatoria.
Io non dispongo che di pochissime analisi di psicosi del genere, ma ritengo si tratti di un tipo di malattia psichica utilizzato molto spesso, dal momento che in nessun manicomio mancano esempi, analogamente interpretabili, di madri che, impazzite per la perdita del figlio, incessantemente cullano tra le braccia un pezzo di legno, o di fidanzate respinte che da anni aspettano in ghingheri il ritorno del promesso sposo.”
In questo brano Freud sottolinea la necessità per la psiche di difendersi da quanto accade nella realtà: la perdita di chi si ama può divenire un evento distruttivo, capace di devastare la psiche e di travolgerla; per proteggersi, la mente costruisce una rappresentazione allucinatoria, che la protegga dalla dimensione insopportabile della realtà.
Il pezzo di legno che diviene bambino della paziente di Freud seguirebbe allora la stessa logica della bambola meccanica di Francine: un lavoro del lutto impossibile, negato attraverso la fuga nella follia.
Per approfondire:
-Sigmund Freud – Le Neuropsicosi da difesa”
-Cartesio – “Discorso sul metodo”

Sigmund Freud insieme alla figlia, la psiconalista Anna Freud
Le difese psichiche costituiscono una componente fondamentale della Psiche. Se Freud le ha collocate nella dimensione inconscia dell’Io, è stata sua figlia Anna a studiarle in modo sistematico, catalogandole in base al loro rapporto con i conflitti inconsci e con la realtà esterna.
Da una parte vi sarebbero le difese nevrotiche, capaci di agire sui vissuti emotivi e sui conflitti psichici inconsci, senza alterare il rapporto tra io e realtà; dall’altra vi sarebbero le difese primitive, legate alla scissione che impongono rispetto al mondo esterno, per proteggere l’Io da minacce distruttive e catastrofiche, al costo di sprofondare nella psicosi.
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