IL CORPO IN FREUD
- riccigianfranco199
- 31 ago 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Le ricerche condotte da Charcot nell’ospedale parigino della Salpêtrière spinsero la psichiatria e la neurologia a dover ripensare il funzionamento del corpo e il suo rapporto con la mente.

Celebre ritratto di Jean-Martin Charcot durante una "presentazione del malato", all'ospedale parigino della Salpêtrière
In particolare, i casi di isteria apparivano inspiegabili: in assenza di ogni forma di alterazione percepibile del sistema nervoso, erano presenti una gran varietà di sintomi, in apparenza senza causa.
La diagnosi di “isteria” nell’Ottocento veniva effettuata sulla base dei sintomi, senza conoscere davvero il meccanismo che li causava.
Le pazienti isteriche erano spesso accusate di inventare i loro sintomi o di esagerarli. Freud sottolinea il merito di Charcot nell’aver individuato i sintomi tipici dell’isteria, circoscrivendo la sindrome: la presenza di accessi convulsivi, l’individuazione delle “zone isterogene”, la presenza di disturbi della sensibilità cutanea e sensoriale, le paralisi, l'anestesia e le contratture…
Questi erano alcuni dei sintomi che determinavano la diagnosi di isteria.
Quello che disorientava i medici era la totale assenza di lesioni organiche, con la presenza di alterazioni del funzionamento. Come spiegarlo?
Il genio di Freud gli permise di andare oltre il suo primo maestro sull’isteria, Charcot: Freud infatti capì che la concezione medica del corpo era insufficiente.
Il corpo della medicina, come sottolinea la fenomenologia è inteso come “mero corpo” (Korper), un oggetto inerte, da studiare con la lente degli strumenti e dello sguardo scientifico.
I fenomenologi invece sottolineavano l’esistenza di un’altra forma di corpo, il “corpo vissuto” (lieb); come sottolinea Redaelli, il “lieb” va inteso come “fonte di una spinta vitale che non si lascia oggettivare dallo sguardo scientifico”.

Sigmund Freud
Freud farà un passo avanti, sottolineando come il corpo “vivo”, abitato da una soggettività, è anche un “corpo pulsionale”, cioè un corpo che gode, che trae soddisfazione dalle sue funzioni.
La pulsione si soddisfa in tanti modi: con lo sguardo, con i gesti, con il cibo, con le parole, con la sessualità, concentrando la sua azione intorno alle “zone erogene”, investite dalla pulsione.
Ogni volta la pulsione cerca un suo modo, mai naturale, mai solo culturale, di raggiungere la sua soddisfazione.
La pulsione che attraversa il corpo lo rende “estraneo”, altro rispetto al soggetto che non lo controlla pienamente. Il corpo dell’isterica ci mostra proprio questo: il corpo diviene campo di battaglia tra la pulsione e i divieti del Super Io, determinando l’emergere di tutta una serie di sintomi.
Tuttavia, la scoperta più inquietante di Freud sarà la dimensione mortifera della pulsione: questa soddisfazione infatti, che si ottiene con l’appagamento della pulsione, non corrisponde sempre al “piacere” o all’esperienza del benessere.
Anche il sintomo, fonte di dolore, conflitto e disorientamento, è una forma della soddisfazione della pulsione.
Come ha sottolineato Freud in “Al di là del principio del piacere” (1920), questa soddisfazione può comportare la distruzione del corpo e forme atroci di sofferenza e di privazione.
Questo è oggi evidente nel piacere che trae il tossicomane dall’uso della sostanza, fonte di soddisfazione ma allo stesso tempo veleno mortale per il corpo. Oppure nell’anoressia, dove i digiuni prolungati, capaci di portare il corpo alla morte, possono suscitare un vissuto di estasi.
Il corpo di Freud non può quindi essere ridotto né alla macchina della biologia, né al “corpo incarnato” della fenomenologia. Il concetto di “corpo pulsionale” mostra come il corpo sia attraversato da una spinta aliena ed inquietante, che, in ogni modo, cerca solo la sua soddisfazione, anche a rischio della morte.
Per approfondire:
-Sigmund Freud – Isteria (1888);
-Sigmund Freud – Al di là del principio del piacere (1920);
-Umberto Galimberti – Il corpo (2013);
-Enrico Redaelli – Judith Butler (2023).
La soddisfazione della pulsione e la sua dimensione mortifera sono al centro dell’insegnamento di Lacan.

Con il termine “godimento” (jouissance), Lacan indica la soddisfazione della pulsione, distinguendolo in modo netto e preciso dall’esperienza del piacere.
Il concetto di pulsione indica, come sottolinea Freud, la presenza di una “spinta generica a metà indeterminata”. Si tratta dell’effetto del linguaggio sul corpo parlante dell’uomo: privato dell’istinto, l’uomo non ha una modalità unica, “rigida”, di adempiere alle proprie funzioni.
Anzi, la pulsione può variare per intensità, per modalità, per meta e per oggetto. La sua plasticità e la sua motilità aprono ad infinite possibilità di soddisfazione.
La spinta della pulsione tuttavia non trova mai la sua piena soddisfazione. Potremmo dire che “ancora” e “di nuovo” siano alcuni dei “nomi” della pulsione.
Perché la pulsione insiste? Perché, sottolinea Freud, è elemento associato alla vita stessa, legata al costante stato di tensione e di alienazione che abita l’uomo.
Quello che troviamo non è mai quello che cerchiamo, il modo in cui traiamo soddisfazione non è mai “definitivo”, risolutivo, conclusivo.
Anzi, ogni nuovo oggetto, sottolinea Freud nei “Tre saggi” (1905) è sempre associato ad un vissuto di delusione e rinnovo della ricerca, perché non corrisponde mai al mitico primo oggetto del primo soddisfacimento che riteniamo, miticamente, di aver incontrato e poi perduto.
Si tratta della versione mitica, pulsionale del fascino irresistibile e nostalgico della “prima volta”.
Un’esperienza che avrebbe scavato un buco, che invano cerchiamo di colmare.
Si tratta di un mito ingenuo, sottolinea Lacan seguendo Freud, perché ignora la natura strutturale della mancanza che abita l’umano: se oggi vi è un buco, una mancanza, è probabilmente perché prima vi sarebbe stato un pieno, uno stato di assenza di tensione, di completa soddisfazione.
Scopo dell’analisi sarebbe quello di trovare un nuovo accordo, una nuova alleanza con la pulsione, legandola al proprio particolare desiderio. Trovare cioè un modo di soddisfarsi, di godere del proprio sintomo, capace di generare frutto, di essere creativo e non dissipativo della vita.
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