FREUD E IL SINTOMO
- riccigianfranco199
- 21 apr 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Freud ha scoperto il valore metaforico dei sintomi analitici.
Nei suoi studi sull’isteria e sulla nevrosi ossessiva, il padre della psicoanalisi ha scoperto come i sintomi delle pazienti non fossero, come nella medicina classica, il segno di una disfunzione organica.
L’elemento decisivo per avere un “sintomo analitico” è infatti escludere l’eziologia organica. Il sintomo medico quindi si risolve quando la causa organica che lo ha determinato è curata con una terapia medica.

Freud ha teorizzato che i sintomi analitici fossero invece “formazioni di compromesso” tra istanze opposte, esito del conflitto inconscio che avviene nel paziente.
Il secondo ingrediente fondamentale per avere un “sintomo analitico” è quindi l’interrogazione: il paziente, davanti al sintomo, comincia a domandare “cosa significa?”, “perché mi accade questo?”.
Il sintomo analitico quindi non va soppresso, ma interpretato.
È l’inizio dell’“implicazione soggettiva” del paziente nella propria sofferenza, la porta d’ingresso per il paziente in un’analisi.
Tuttavia, non sempre il paziente vive il sintomo come tale. Ne abbiamo un esempio nella nevrosi ossessiva: i comportamenti del nevrotico ossessivo spesso non sono fonte di interrogazione per il soggetto, che li agisce senza chiedersi “perché accade proprio a me?”.
Per questo, Freud sottolinea che è necessario “costruire” il sintomo, renderlo motivo di un’interrogazione metaforica per il paziente: “cosa questo sintomo dice di me e della mia vita?”.
Come sottolinea Lacan: “il sintomo è costituito soltanto quando il soggetto se ne accorge… altrimenti non vi è verso di uscirne, perché non c’è verso di parlarne, perché non c’è verso di acciuffare il sintomo per le orecchie”.
È necessario che il sintomo diventi l’origine di un’interrogazione, per poterne parlare, aprendo lo spazio per un’indagine soggettiva.
Continua Lacan:
“Che cos’è l’orecchio in questione? È quel che possiamo chiamare il non – assimilato del sintomo, non assimilato da parte del soggetto.
Perché il sintomo esca dallo stato di enigma non ancora formulato, il passo necessario non è fare in modo che si formuli, ma è far sì che nel soggetto prenda forma qualcosa in modo tale da suggerirgli che c’è una causa di questo”
(Il Seminario, Libro X, l’angoscia)
In psicoanalisi è quindi necessario che il sintomo diventi un enigma per il paziente: senza enigma non vi è domanda e senza domanda non vi è implicazione del paziente nella propria sofferenza.
Se questa indagine ha inizio, allora il paziente può far emergere il conflitto inconscio che ha trovato nel sintomo il suo compromesso, per trovare, grazie all’analisi, una soluzione diversa, nuova, libera dalla sofferenza del sintomo.
Per approfondire:
-Sigmund Freud – Compendio di Psicoanalisi;
-Jacques Lacan – Il Seminario, Libro X, l’angoscia.

La dimensione metaforica e linguistica dei sintomi verrà messa da Lacan al centro della sua ripresa dell’insegnamento freudiano: se l’inconscio è strutturato come un linguaggio, allora i sintomi, intesi come metafore linguistiche, sono lavorabili tramite l’interpretazione.
Questa visione classica di Lacan sarà superata negli anni dal prevalere del registro del Reale su quello del Simbolico: nei sintomi infatti viene rintracciata una forma di soddisfazione che si oppone all’interpretazione.
Si tratta di quel “vantaggio secondario” che già Freud aveva colto: il paziente resiste alla terapia, perché nel sintomo ha trovato una forma paradossale di soddisfazione alala quale non intende rinunciare.
Scopo dell’analisi è allora puntare al godimento, alla dimensione Reale del sintomo, che sfugge alla parola e alla presa del Simbolico, per incidere nell’economia pulsionale del soggetto e modificarla, facendo emergere un “nuovo modo” di godere.
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