FORT….DA!
- riccigianfranco199
- 13 nov 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Freud introdusse l'episodio "Fort-Da" nella sua opera "Al di là del principio di piacere" nel 1920.
Il termine stesso deriva dalle parole tedesche "fort" (andato) e "da" (lì), riflettendo il tentativo del nipotino di Freud di padroneggiare l'esperienza della separazione dalla propria madre.
Freud basò la sua analisi sulle osservazioni del bambino, che si impegnava in un rituale di gioco ripetitivo che prevedeva la scomparsa e la ricomparsa di un rocchetto di cotone.

Un rocchetto
Il bambino, di circa un anno e mezzo, gettava via un rocchetto di legno, esclamando "fort" quando spariva, per poi tirarlo indietro, dicendo "da" quando riappariva. Questa azione ripetitiva incuriosì Freud, spingendolo a esplorare le implicazioni psicologiche più profonde alla base del gioco del bambino.
Freud interpretò l'episodio “Fort-Da” come una rappresentazione simbolica del tentativo del bambino di far fronte all'ansia di separazione dalla madre. Nel gioco del bambino, l'atto di gettare via la bobina e poi riportarla indietro serviva come un modo per padroneggiare il concetto di assenza e presenza, perdita e ritorno. Il bambino stava mettendo in atto una forma di controllo mentale sulla percezione della scomparsa e della ricomparsa della madre.
Ci dice Freud:
“Questo era dunque il giuoco completo - sparizione e riapparizione - del quale era dato assistere di norma solo al primo atto, ripetuto instancabilmente come giuoco a sé stante, anche se il piacere maggiore era legato indubbiamente al secondo atto.” pag. 201
Questo gioco, secondo Freud, rispecchiava l’interrogarsi del bambino alla partenza e al ritorno della madre: un modo per affrontare l'ansia indotta dalla separazione e padroneggiarla. L'atto di dire "fort" durante la scomparsa e "da" alla ricomparsa rifletteva il tentativo del bambino di creare un senso di prevedibilità e controllo sulla natura imprevedibile dell'assenza e della presenza della madre.
Questo episodio ha permesso a Freud di approfondire una questione fondamentale: cosa vuole una madre? Nel rapporto tra madre e bambino, il desiderio della madre non è mai integralmente preso dalla cura verso il piccolo. Col tempo, riemerge un desiderio che porta la madre altrove.
Si tratta di un amore, di una passione, del lavoro.
Il bambino quindi giungerebbe a chiedersi: “se la mamma non è qui con me, dove va? Cosa cattura il suo desiderio lontano da me?”
Si tratta delle radici profonde del complesso di Edipo e del rapporto tra soggetto e Altro. Solo l’esistenza di un altrove, capace di catturare il desiderio della madre, permetterebbe al bambino di sganciarsi, di sperimentarsi da solo col proprio desiderio.
Per approfondire:
-Sigmund Freud – Al di là del principio del piacere
-Angelo Villa – Che cosa vuole una madre?

Nella foto, Freud con Herbert Graf (nato nel 1903) nel 1905 circa.
L'episodio "Fort-Da" ha portato Freud a proporre l'esistenza di un "istinto di morte" - una forza irresistibile all'interno degli individui che va oltre la ricerca del piacere e si intreccia con la tendenza intrinseca umana ad affrontare e padroneggiare le esperienze traumatiche. Questa idea segnò un allontanamento dalle sue teorie precedenti e ampliò la portata dell'indagine psicoanalitica.
L'esplorazione di Freud dell'episodio "Fort-Da" offre uno sguardo profondo sulle prime fasi dello sviluppo psicologico umano e sugli intricati meccanismi che gli individui impiegano per affrontare le sfide della separazione e della perdita. Il significato simbolico del gioco del bambino nel padroneggiare i concetti di assenza e presenza non solo ha contribuito all'evoluzione della teoria psicoanalitica da parte di Freud, ma ha anche aperto la strada a una comprensione più profonda delle complessità della psiche umana. L'episodio "Fort-Da" rimane una pietra miliare nella storia della psicoanalisi, lasciando un impatto duraturo sull'esplorazione dei processi inconsci e sulla formazione delle strutture psicologiche.
Questo momento cruciale di interrogazione da parte del bambino sul desiderio materno costituisce un passaggio decisivo nel processo di separazione. Solo se il bambino non rimane mero “oggetto” del desiderio della madre può infatti sperimentarsi come soggetto, trovando una propria personale strada.
Nella nevrosi facciamo infatti esperienza di un Altro limitato, ancorato alla legge del proprio desiderio, quindi catturato altrove.
È nella psicosi invece che l’Altro appare sempre presente, diffuso, onnipotente, ingovernabile, privo di legge e dominante.
L’al di là che cattura l’attenzione materna mostra al piccolo la sua insufficienza nel catturare integralmente il desiderio della madre. A partire da questo fallimento nell’incarnare, senza scarti, il “fallo” (cioè l’oggetto del desiderio) della madre, il bambino può sperimentarsi nella propria condizione di soggetto mancante, mossa dal desiderio e dalle proprie interrogazioni.
La “x” alla domanda “Che cosa vuole una madre?” del bambino è alla base del concetto di “metafora paterna” di Lacan. Con “metafora paterna” Lacan indica la funzione simbolica di separazione che chi occupa la posizione di “padre” agisce verso il soggetto e la madre, operando una separazione: si tratta di due “No” simbolici;

Jacques Lacan
In primo piano abbiamo il “No” alla madre: “tu non puoi godere integralmente di tuo figlio, ma deve esserci anche altro nella tua vita”.
Abbiamo poi il “No” al bambino: “tu non puoi essere solo l’oggetto di soddisfazione di tua madre, ma devi essere altro nella tua vita”.
L’interdizione all’unione simbiotica e incestuosa tra madre e bambino apre per entrambi la strada del desiderio: per la madre, permette il riemergere della dimensione femminile, di donna, del desiderio; per il bambino, l’emergere di una soggettività propria, la possibilità di fare l’incontro con il proprio personale desiderio.
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