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FERENCZI SUL LETTINO DI FREUD

Le testimonianze di analisi sono affascinanti perché ci raccontano un’esperienza unica e irripetibile. Come raccontare l’esperienza di un’analisi? Freud invitava i suoi interlocutori a sperimentarla in prima persona, attraverso la propria analisi.


Ogni analisi è diversa dalle altre: in alcune si raccontano dettagli che hanno a che fare con lo stile dell’analista; in altre l’esperienza del paziente e l’evoluzione dei suoi sintomi.


Sándor Ferenczi ha raccontato della propria analisi con Freud nel suo “Diario clinico”: in quest’opera, pubblicata solo molti decenni dopo la morte di Ferenczi, troviamo resoconti di casi clinici, riflessioni personali e teoriche e ricordi dell’analisi che Ferenczi ha svolto con Freud.


Ritratto di Sándor Ferenczi


Le analisi del passato erano molto intense (sedute ogni giorni, tranne la domenica) e brevi (solitamente di qualche mese, raramente di alcuni anni). In questo breve periodo, l’alta frequenza delle sedute determinava una vera e propria trasformazione psichica del paziente; allo stesso tempo, l’evoluzione della teoria del transfert e del narcisismo ha reso necessario approfondire le analisi, specialmente nei casi dei candidati al posto di analista. Così, nel corso degli anni, le analisi sono divenute sempre più lunghe, superando anche i dieci anni complessivi.


Su idea di Jung, l’analisi è divenuta un criterio fondamentale per diventare psicoanalista. All’inizio si trattava dell’obbligo a sottoporsi ad alcune ore di analisi personale, in seguito si decise di optare per un’analisi approfondita del candidato psicoanalista.


Nel racconto della propria analisi, Ferenczi racconta molti dettagli del suo rapporto con Freud, alla stesso tempo analista, maestro, guida e consigliere.


Scrive Ferenczi:

“Nel “caso Ferenczi” sembra che a Freud sia sfuggito qualcosa di traumatico, trasformare cioè la situazione esterna conformemente ai desideri nevrotici del paziente.

Contrariamente a ogni regola tecnica da lui stesso stabilita, ha adottato il dottor Ferenczi quasi come un figlio.

Come ho saputo da lui stesso, lo considerava il migliore erede delle sue idee.

Ed ecco che divenne il delfino dichiarato, con la prospettiva di fare il suo ingresso solenne in America (sembra che Freud abbia progettato qualcosa di simile, qualche tempo fa, nei confronti di Jung), donde i due sintomi isterici che osservato in lui (in Freud): lo svenimento a Brema e l'incontinenza a Riverside-Drive, a cui deve aggiungersi il piccolo frammento di analisi che ci ha offerto: morire non appena il figlio prenderà il suo posto e, regressione all'infanzia, la puerile caduta nel ridicolo quando reprime la sua vanità americana.”


Celebre foto di Freud, Jung, Ferenczi, Bill, James, Hall negli Stati Uniti


Ferenczi qui racconta dei primi anni di vita della Psicoanalisi: Freud emerge come una figura chiamata a rivestire tanto il ruolo di analista quanto quello di guida e maestro; questo duplice ruolo ha spinto Freud ad assumere una posizione diversa dai suoi colleghi, rifiutando di porsi “alla pari”.


In una lettera a Freud, Ferenczi chiarisce quel “qualcosa di traumatico” di cui parla nel diario:

“Nella relazione tra lei e me, si tratta di un groviglio diversi conflitti di sentimenti e di posizioni. Dapprima lei è stato il mio venerato maestro è il mio modello irraggiungibile, nei confronti del quale nutrivo i sentimenti, come si sa non sempre schietti, dell'allievo. Poi è diventato il mio analista, ma le circostanze sfavorevoli non hanno permesso di portare a termine l'analisi. Ciò che ho particolarmente rimpianto è che nell'analisi lei non abbia percepito in me, portandoli all'abreazione, i sentimenti e i fantasmi negativi, soltanto in parte spostati su di lei…”


Le parole di Ferenczi sono cariche di risentimento e di delusione per l’esperienza della sua analisi con Freud: come interpretarle? Freud risponderà all’allievo che all’epoca della sua analisi, dalle sue parole nulla lasciava trasparire i sentimenti negativi che Ferenczi provava inconsciamente verso il suo analista.


Sigmund Freud


Nel corso degli anni, Ferenczi diverrà sempre più critico verso Freud, vedendo nelle sue scelte “politiche” nella gestione del movimento psicoanalitico il riflesso del “sintomo di Freud”; ad esempio scrive:

“L'idea angosciosa, presente forse in modo molto forte nell'inconscio, che il padre debba morire quando il figlio diventa grande, spiega la sua paura di permettere a uno qualsiasi dei suoi figli di diventare indipendente.


Nello stesso tempo ciò dimostra che Freud, in quanto figlio, voleva in realtà uccidere suo padre.

Invece di ammetterlo, ha costruito la teoria dell’Edipo parricida, ovviamente da applicarsi soltanto agli altri, non a sé; da qui la paura di lasciarsi analizzare, forse anche l'idea che negli adulti civili gli impulsi istintuali primari non sono più veramente presenti e che la malattia di Edipo è la malattia infantile, come il morbillo.”


Per Ferenczi la teoria di Freud non sarebbe quindi che il riflesso delle sue questioni inconsce, trasformatesi in pilastri teorici (come nel caso della teoria dell’Edipo).

Nei tanti anni di lavoro teorico e clinico, Ferenczi ha osservato il mutamento nell’atteggiamento di Freud nei suoi confronti:


“Per esempio, aveva potuto sopportarmi come figlio, fino al momento in cui per la prima volta l'ho contraddetto (a Palermo); il mio entusiasmo, la mia depressione, quando ero trascurato, anche soltanto per un giorno.

L'assoluta inibizione di parlare in sua presenza finché egli non affrontasse un argomento, poi il desiderio ardente di ottenere il suo plauso per il fatto che lo capivo certamente e anzi procedevo prontamente nella direzione del raccomandata, tutto ciò mi fa apparire come un figlio cieco e dipendente.


Fotografia di Ferenczi insieme a Freud


Ha dovuto sentirsi molto a suo agio in questo ruolo, poteva abbandonarsi alle sue fantasie teoriche senza essere disturbato dalla contraddizione. e utilizzare il consenso entusiastico del discepolo accecato per accrescere la sua sicurezza.


In questo apprezzamento riconosco il dubbio nascosto: solo lo stupore e non a convinzione logica, cioè solo l’adorazione e non un giudizio indipendente mi aveva indotto a seguirlo.”



Il forte transfert di Ferenczi verso Freud emerge qui in tutta la sua violenza e negatività: la delusione dell’allievo – figlio – paziente porta alla rottura, all’impossibilità di proseguire insieme il lavoro teorico e il confronto clinico.

Sempre più isolato, Ferenczi morirà solo, considerato “folle” dai suoi colleghi.


Per approfondire:

Sándor Ferenczi – Diario clinico (1932)


Nell’immagine: fotomontaggio di Freud e Ferenczi


Il tema dell’analisi personale è centrale nella formazione degli analisti. Quando un’analisi è conclusa? Per testimoniare dell’effetto dell’analisi, Lacan aveva ideato la procedura della “passe”; tuttavia questo dispositivo non ha trovato molto successo.


Raccontarlo in un libro? Molti hanno raccontato della propria analisi; tuttavia molte testimonianze raccontano aneddoti degli analisti celebri che le hanno condotte, non di quanto accaduto nella cura.


Qual è il vero confine di un’analisi. Forse possiamo ipotizzare che, una volta attraversato il proprio fantasma, il venir meno della domanda possa costituire il limite di un’analisi. Se un’analisi inizia per una domanda di aiuto e di sapere, non è forse il cadere di questa domanda a segnarne la logica uscita?


 
 
 

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