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DIVENTARE “STREGONE” PER SALVARSI DALLA FOLLIA

Lo studio delle pratiche religiose dei popoli è un campo di grande fascino. Cuore pulsante delle scienze antropologiche, lo studio dei rituali di iniziazione e delle pratiche magiche è sempre avvolto da un misto di scetticismo, perdendo così di vista il loro valore sociale e psicologico.


In contrasto con questa deriva, ricercatori come Ernesto De Martino hanno cercato di restituire allo studio antropologico della “magismo” tutto il suo valore, ponendo enfasi su come la pratica della magia assuma profonde implicazioni sociali e psichiche. Queste pratiche fondano una vera e propria visione del mondo, diversa da quella occidentale basata sul “dato”, sulla supposta “evidenza oggettiva”.


L’accesso ai rituali e alle pratiche magiche richiede un lungo cammino di iniziazione che prevede la profonda trasformazione psicologica del candidato.


Spesso l’avvicinamento alla pratica della magia ha inizio con un evento perturbante, che sconvolge la vita quotidiana del futuro stregone: si tratta di un’esperienza inaspettata e disturbante, che trova spesso eco in sogni e in visioni allucinatorie.


Un uomo Yamana
Un uomo Yamana

Presso il popolo degli Yamana, oggi scomparso, queste visioni oniriche mettevano in contatto il candidato con gli spiriti del villaggio, ricevendo da essi l’invito a diventare mago. Il designato doveva quindi abbandonare la propria famiglia e il villaggio, recandosi presso uno stregone esperto che potesse divenire suo maestro.


Nei sogni appare spesso uno spirito o un animale benevolo, che poi diverrà una sorta di “guida” per il futuro stregone.


Quali tappe affronta il candidato?

-Come abbiamo visto, per prima cosa fa un incontro con un evento perturbante, che altera la sua percezione del mondo in cui vive;

-ne deriva una visione, che viene plasmata con temi mitici, tradizionali o magici;

-col tempo, questa visione viene padroneggiata e controllata, elaborandola nelle veglia e nel sogno;

-da questa visione deriva un invito da parte degli spiriti a diventare mago;

-viene individuato uno spirito o una creatura guida, che simbolicamente accompagnerà il mago nella sua pratica.



Attraverso questo percorso, il caos psichico della visione disturbante assume un nuovo significato, dotato di una forma culturalmente significativa.


Lo stregone, come sottolinea Martino Gusinde, nella propria pratica deve saper indurre uno stato “auto-ipnotico”, facendo emergere una “personalità seconda”, farsi cioè dominare dallo “spirito guida”.


Il canto monotono che anima il rituale ha lo scopo di indurre questo stato di trance, necessario per poter compiere il rituale. L’eclissi della coscienza si legherebbe profondamente all’eclissi del mondo nel quale lo stregone è immerso.


È proprio l’angoscia davanti all’evento perturbante che spinge alla trasformazione, nella quale il candidato matura un “rapporto regolato” con gli “spiriti”: si tratta di una “sutura” che ripara un mondo altrimenti lacerato. È in gioco quindi un processo che dalla ferita psichica porta alla guarigione.

La trance infatti non deve tramutarsi in una completa possessione, bensì divenire un processo controllato, che ha un inizio ed una fine decisa dallo stregone in base ai propri scopi.


Uno sciamano che “perde il controllo degli spiriti” infatti diviene dannoso per sé e per la sua comunità.


Lo sciamano fa della propria labilità psichica la base della sua pratica ed utilità, perché grazie alla nuova alleanza con gli spiriti può “curare” la sofferenza altrui. È questo rapporto con il “maligno” (che in effetti è la propria follia) che permette allo sciamano di combattere e scacciare il male (la follia altrui).


Sottolinea Shirokogoroff: “Lo sciamano padroneggia gli spiriti e libera dalla loro attività i membri della comunità. Quando manca lo sciamano, allora gli spiriti divengono liberi: poiché nessuno più controlla essi cominciano a entrare nei membri del clan e a produrre vari effetti dannosi.”


Lo sciamano opera quindi come una sorta di “psicoterapeuta” dei membri della comunità, dando di nuovo ordine al loro mondo. In questo senso, alla magia è conferito un carattere di dramma collettivo, comprensibile avendo presente la “visione del mondo” della comunità.


Il mondo dove vive la comunità, infatti, non è ancor ancora un “mondo dato”, con delle basi solide, bensì rischia di dissolversi. Con la propria trasformazione, il mago disfa questo dato in crisi per dargli una forma nuova, facendolo rinascere a nuova vita.


Ernesto De Martino
Ernesto De Martino

Nel mondo occidentale invece viviamo il mondo come “dato”, “garantito”, senza bisogno di nuovi pilastri su cui fondarsi.

Sottolinea De Martino: “Il problema del magismo non è di conoscere il mondo o di modificarlo, ma piuttosto di garantire un mondo a cui un esserci si rende presente. Nella magia il mondo non è ancora deciso, e la presenza è ancora impegnata in quest'opera di decisione di sé e del mondo”.


La magia quindi, da una parte segnala un pericolo, dall’altra arresta il sorgere del caos, recuperando un mondo che rischia di dissolversi nel nulla.


Per approfondire:

-Ernesto De Martino – “Il mondo magico”;

-Carl Gustav Jung - “Inconscio, occultismo e magia”;

-Fritz Graf – “La magia nel mondo antico”.


Ecco la testimonianza di una maga:


“A venti anni caddi gravemente malata e cominciai a vedere con i miei occhi a sentire con le mie orecchie quel che altri non vedevano né sentivano.

Per nove anni fu in conflitto con me stessa e a nessuno dissi quel che mi accadeva, perché temevo che la gente non mi avrebbe creduta e che si sarebbe fatta beffe di me.

Finii col diventare così gravemente malata che fui sul punto di morire, ma quando presi a sciamanizzare, andai meglio: ancora oggi, se sto lungo tempo senza sciamanizzare, rischio di cadere malata”.


L’esperienza della vocazione e dell’incontro con la magia pare avere le medesime coordinate dello scatenamento psicotico: la lacerazione del tessuto del mondo, con la comparsa dei sintomi elementari (allucinatori), si ripara nella costruzione di un “sinthomo”, di una compensazione simbolica che sostiene la tenuta simbolica della realtà.

 
 
 

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