CHIESA CATTOLICA E PSICOANALISI
- riccigianfranco199
- 14 feb 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Il rapporto tra la Chiesa Cattolica e la psicoanalisi è stato a lungo conflittuale e di ostilità: ancora oggi, le scoperte della psicoanalisi sulla sessualità e sull’inconscio faticano nel farsi spazio negli ambienti accademici, di ricerca e culturali legati al mondo cattolico.
Quali sono i motivi di questo rapporto difficile, di scontro e di ostilità?
Le scoperte sulla sessualità, sulla pulsione e sul conflitto inconscio costituiscono la base di una concezione innovativa dell’uomo e della psiche, in contrasto con il dualismo religioso tra coscienza ed anima.
Freud stesso, da ebreo laico, aveva criticato la religione, in opere come “L’avvenire di un’illusione” (1927): Freud interpreta la religione come una costruzione simbolica nella quale l’uomo ricerca un rapporto con il Padre, sublimando quindi il lutto per la perdita di chi ama e la ricerca di una guida che possa orientarlo.
Pertanto, agli occhi di Freud la religione sarebbe una costruzione psichica come tante, da “interpretare” e alla quale non si tratta di “credere”.
Inoltre, fino ad allora, il concetto di “confessione”, di racconto della propria interiorità, era riservato al sacramento della confessione, al limite al diario privato, ad un amico fidato: l’emergere della figura dello psicoanalista apriva uno scenario nuovo, che la Chiesa visse come ostile.
Per queste posizioni e per le sue teorie, la Chiesa ha vivamente combattuto la psicoanalisi nel corso del Novecento.
Nel 1934 il Vaticano chiese a Mussolini di sopprimere la “Rivista italiana di psicoanalisi” e l’anno dopo la Società Italiana di psicoanalisi venne soppressa dalla dittatura fascista.
In Italia la psicoanalisi trovò dei vivi ostacoli alla propria diffusione anche nella cultura e filosofia idealista di Benedetto Croce, nel Fascismo e, dopo la guerra, nel Marxismo sostenuto da Partito Comunista Italiano.
I primi psicoanalisti italiani, non a caso, furono due ebrei socialisti e antifascisti: Edoardo Weiss ed Emilio Servadio.

Edoardo Weiss
Nel Dopoguerra, una volta caduto il Regime, la Chiesa riprese la propria offensiva contro la psicoanalisi: nel 1952, sul “Bollettino del clero romano”, si arriva a qualificare addirittura come “peccato mortale” ogni pratica psicoanalitica e il solo rivolgersi ad uno psicoanalista diviene ragione di condanna morale e religiosa.
Sotto Giovanni XXIII, ai seminaristi era fatto divieto di rivolgersi agli psicoanalisti: la proibizione, emanata dal Sant’Uffizio, voleva colpire una disciplina considerata “pansessualista”, “materialista” ed “immorale”.
Solo anni dopo, sotto il pontificato di Paolo VI, verrà concessa la possibilità, per il clero, di rivolgersi ad uno specialista di scienze psicologiche o ad uno psicoanalista.
Sarà Papa Montini ad esprimersi stima “per questa oramai celebre corrente di studi antropologici, la psicoanalisi”.
La contrapposizione tra Chiesa e psicoanalisi riflette due diverse concezioni del mondo: la Chiesa Cattolica si vede infatti come “universale”, depositaria di una verità rivelata che ogni uomo deve abbracciare; l’esistenza di dottrine che mettano in discussione questa concezione è minaccia per il concetto stesso di universalità sulla quale la Chiesa fonda la propria ragione d’esistere; la psicoanalisi invece invita a far emergere una verità singolare, soggettiva, diversa per ciascuno, favorendo un’apertura cosmopolita, sensibile alle peculiarità di ciascuno, col rifiuto di ogni universalità.
Per questo ha fatto scalpore la “confessione” di Papa Francesco, che ha raccontato di essersi rivolto ad una psicoanalista; la sua testimonianza è raccolta dal sociologo francese Dominique Wolton, nel suo libro “Politique et société”:
“Ho consultato — racconta Bergoglio — una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni”.

Il tema del rapporto tra Chiesa e psicoanalisi è affrontato in molte opere e anche al cinema: nel film “Habemus Papam” di Nanni Moretti, è proprio il Papa, depresso, a chiedere aiuto ad uno psicoanalista.
Freud, vissuto in un’epoca segnata dalla guerra e da un crescente antisemitismo, era consapevole delle minacce che costellavano il cammino della psicoanalisi:
“La società non avrà fretta di riconoscerci un'autorità. Essa è destinata a opporci resistenza perché noi abbiamo un atteggiamento critico nei suoi confronti: noi le dimostriamo ch'essa stessa svolge un'importante funzione nella causazione delle nevrosi. Nello stesso modo in cui ci rendiamo nemico il singolo scoprendo ciò che in lui è rimosso, così anche la società non può rispondere con cortese accoglienza alla spregiudicata messa a nudo delle sue insufficienze e dei danni che essa stessa produce; poiché provochiamo il crollo delle illusioni, ci si rimprovera di mettere in pericolo gli ideali.»
Tratto da “Le prospettive future della terapia psicoanalitica” - Sigmund Freud
Per approfondire:
Wolton – Politica e Società (2017);
Freud – L’avvenire di un’illusione (1927)
Freud vede nella religione un “sintomo”, inteso in senso analitico: la formazione di compromesso tra esigenze inconsce inconciliabili.
Se il sintomo colpisce il nevrotico, così la religione appare, a livello individuale e sociale, la soluzione al “complesso paterno” che affligge l’uomo, offrendogli conforto e sollievo in un mondo ostile, nel quale il senso sfugge.
Freud sottolinea come “gli Dèi svolgono un triplice compito: essi esorcizzano il terrore delle forze naturali, riconciliano l'uomo con la crudeltà del Fato, in particolare nella forma della morte, e offrono una consolazione per le sofferenze e le privazioni che una vita civilizzata ha imposto”.
Nonostante la viva ostilità della Chiesa Cattolica verso la psicoanalisi, nessuna opera di Freud verrà inserita nell’Indice dei libri proibiti, redatto fino al 1966.
Comments