CADUTA E RINASCITA DELL’EROE PER JUNG
- riccigianfranco199
- 1 dic 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 2 dic 2024
L’archetipo dell’“Eroe” è una delle figure più affascinanti del pensiero di Carl Gustav Jung. Il Padre della “Psicologia analitica”, detta anche “Psicologia Complessa”, a lungo delfino di Sigmund Freud, vedeva negli archetipi i contenuti più importanti dell’“inconscio collettivo”.
Per Jung l’inconscio collettivo è un ricettacolo di immagini ancestrali, simboli universali presenti, in diverse forme, in tutte le culture. Nelle storie, nei miti e nelle vicende dei popoli sarebbe possibile per lo psicoanalista junghiano rintracciare l’influenza degli archetipi.

Carl Gustav Jung
Allo stesso modo, gli archetipi costituiscono un fattore di grande influenza anche sulla psiche del singolo soggetto. L’inconscio junghiano è infatti sempre composto da inconscio collettivo (archetipico) e inconscio individuale.
Ogni archetipo è associato a precisi contenuti inconsci, centrali per descrivere l’effetto dell’archetipo sulla psiche. La figura archetipica dell’“Eroe” ha dei tratti precisi: la figura dell’eroe è chiamato ad affrontare un “viaggio”, per superare, in una nuova sintesi, le proprie contraddizioni; per questo l’eroe è chiamato ad affrontare una terribile prova, dalla quale verrà trasformato, assumendo una forma inedita. Alla conclusione di questo viaggio, l’eroe edificherà una nuova realtà, sintesi della piena realizzazione di Sé.
L’archetipo dell’“Eroe” mostra chiaramente l’influenza della tradizione alchemica nel pensiero di Jung: la figura dell’eroe subisce una vera e propria trasformazione alchemica come effetto della difficile prova che è chiamato ad affrontare.
Tale prova può comportare la caduta dell’eroe, la perdita delle sue insegne di onore e prestigio. La caduta dell’eroe sarebbe quindi una delle possibili sfide che lo separano dalla trasformazione in un essere nuovo e completo.
Nella mitologia greca abbiamo due esempi celebri di “caduta dell’eroe”: il mito di Ercole e il mito di Aiace.
In entrambi i miti, gli eroi, considerati insuperabili in battaglia e famosi per la loro grande forza, cadono preda della follia.
Omero prima e Sofocle poi raccontano la tragedia di Aiace: durante la guerra narrata nell’Iliade, una volta morto Achille, i principi Achei discutono su chi sia degno di possedere le armi del Pelide. Alla fine sarà Odisseo ad ottenere le preziose armi. Aiace, travolto da un’invincibile ira e per volere di Atena, sarà preso dalla follia: il guerriero si renderà ridicolo davanti agli altri guerrieri, massacrando un gregge di pecore. Il guerriero infatti, offuscato per volere delle divinità, pensava di star colpendo Menelao e Agamennone, non degli animali.
Una volta tornato in sé e resosi conto di quanto fatto, per l’estrema vergogna e per l’onore perduto agli occhi degli altri guerrieri, Aiace si sarebbe dato la morte, gettandosi sulla spada di Ercole.

Vaso a figure nere, "Morte di Aiace"
Anche Ercole sarebbe caduto, reso schiavo della follia. Sarà Seneca ad offrire, in una famosa tragedia, il resoconto della follia dell’eroe. Oramai prossimo al compimento delle celebri 12 fatiche, Ercole viene reso folle da messaggeri divini di Giunone, sua nemica giurata. Per colpa della follia, l’eroe ucciderà la moglie e i figli.
Atena interverrà solo quando sarà oramai tardi. Per la vergogna, Ercole penserà di togliersi la vita, ma verrà fermato da Teseo: l’eroe capisce infatti che la più grande forma di pentimento sarà convivere con la consapevolezza dell’orrore commesso, senza dimenticarlo o poterlo cancellare.

Carracci, "Ercole al bivio", 1596
I due miti mostrano come il cammino di caduta e trasformazione dell’eroe sia un processo tragico, che richiede una profonda trasformazione.
L’archetipo dell’Eroe rispecchia il cammino dell’uomo lungo il processo di individuazione, di piena realizzazione della propria personalità, in una sintesi a tutto tondo del proprio potenziale.
Tuttavia, la realizzazione di quest’opera di sintesi non è scontata: tanto la storia di Aiace quanto il mito di Ercole raccontano con forza la fatica e la sofferenza che la caduta dell’eroe impone al soggetto.
Il viaggio dell’eroe richiede il superamento di questa crisi e la rinascita del soggetto ad una nuova sintesi: in ogni analisi facciamo esperienza di questa crisi, dello sconvolgimento legato all’emergere dell’inconscio, e della faticosa nuova sintesi che porterà all’emergere della “personalità totale”, coronamento finale del processo di individuazione.

Nell’immagine: l’Ercole Farnese e la metopa con il suicidio di Aiace.
Per approfondire:
Seneca – Eracle furente;
Kofi – La follia di Aiace;
Vogler – Il viaggio dell’eroe.
Per Jung gli archetipi non sono costrutti statici: benché dotati di certe caratteristiche che li contraddistinguono, gli archetipi sarebbero contenuti psichici inconsci dinamici, capaci di una traiettoria che si traduce in costrutti culturali, miti, narrazioni e storie.
Nella vita del paziente, negli avvenimenti della sua ripetizione, lo psicoanalista junghiano sarebbe in grado di riconoscere le tracce di questi archetipi e del loro influsso sulla vita del paziente.
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