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THE SUBSTANCE, una lettura psicoanalitica

“The Substance” è un film del 2024, scritto e diretto da Coralie Fargeat. Accolta con grande entusiasmo dal pubblico e dalla critica, la pellicola ha ricevuto numerosi premi, tra cui un Oscar per la categoria trucco e acconciatura, ed è stata premiata per la miglior sceneggiatura al Festival del Cinema di Cannes.



“The Substance” è un film che affonda le proprie radici nella cultura pop, offrendo molteplici spunti di riflessione.

Molti commentari hanno visto nella pellicola una forte critica alla riduzione del corpo femminile ad oggetto; ad uno sguardo più attento possiamo cogliere come al cuore del film vi sia una questione cruciale per la Psicoanalisi contemporanea: il reale osceno del godimento nelle sue diverse declinazioni.


In particolare, possiamo leggere questo film attraverso tre lenti: corpo, specchio e identità.


La dimensione del “corpo” è centrale nelle immagini e nella trama del film: la protagonista, Elisabeth Sparkle (interpretata da Demi Moore) è un’ex attrice premio Oscar, conduttrice di uno spettacolo di fitness.



Il giorno del suo cinquantesimo compleanno, viene licenziata, perché il pubblico vuole sempre “qualcosa di nuovo”; il suo corpo nudo è ripreso in modo freddo, mostrando le tracce dell’età.


Per riprendere il posto di conduttrice che ha perso, decide di sottoporsi ad un misterioso trattamento: assumere una “sostanza” che le permetterebbe di dare vita ad una “forma migliore di sé”: una volta iniettato il composto, dalla schiena di Elisabeth, come dal bozzolo di una farfalla oramai appassita, emerge Sue, giovane e bellissima alter ego (interpretata da Margaret Qualley).


Il regista indugia sulle forme perfette della giovane Sue, evocando un impietoso contrasto col corpo stanco e provato di Elisabeth.


C’è una sola regola: i due corpi si alterneranno, una settimana per ciascuno, per sempre, in un equilibrio reso sempre più precario dalla differenza di età e di successo, uno in rapida crescita, l’altro in declino, di Sue ed Elisabeth.

Mentre una delle due rimane in letargo, incosciente, l’altra vive.



Un dettaglio cattura la nostra attenzione: nella settimana di “letargo”, il corpo inanimato è abbandonato, nudo, prima in bagno e in seguito in una sorta di sgabuzzino segreto. Il corpo appare come “mera carne”, privo di vita e di umanità. Sia Elisabeth che Sue abbandonano il corpo dell’alter ego, senza coprirlo, curarlo, assicurandosi solo che si nutra per via endovenosa di uno speciale composto.

Il corpo inanimato è quindi un corpo riserva, un corpo carne, non un corpo umano, in rapporto con l’altro e con la civiltà.

Giorno per giorno, quando Sue è sveglia, la giovane estrae da Elisabeth un siero, che le permette di stabilizzare l’equilibrio e di non vedere il proprio giovane e bellissimo corpo collassare.


L’equilibrio si rompe per effetto dell’immagine allo specchio: Sue, novella Narciso, si innamora della propria bellezza e giovinezza. Ottiene uno sterminato successo di pubblico, reso plasticamente da un enorme cartello pubblicitario posto davanti alla bellissima finestra panoramica della villa di Elisabeth/Sue.

Il cartellone, dai colori accesi e sgargianti, fa contrasto con la gigantografia di Elisabeth, custodita in salotto, simulacro di un successo oramai tramontato. Sue nasconde l’immagine di Elisabeth e decide, spinta da una mortifera volontà di godimento, di rompere l’equilibrio: la giovane non rispetta il limite dei sette giorni, estraendo dosi extra di siero da Elisabeth per continuare a vivere.


Questo ha effetti devastanti sul corpo di Elisabeth: una volta tornata in sé, Elisabeth scopre che il proprio corpo invecchia più rapidamente del normale, “prosciugato” da Sue. È qui evidente il riferimento al “Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde: Sue/Dorian decide di sottrarre ad Elisabeth la sua “quota di vita”, alimentandola e sottraendo tutto il siero possibile per continuare a vivere.


Questo si traduce in un contrasto sempre più violento tra la bellezza sempre più precaria di Sue e l’aspetto, oramai eroso e decrepito, di Elisabeth.

Il regista ci mostra con forza lo shock di Elisabeth al momento del risveglio, davanti alla propria immagine allo specchio: divenuta una donna anziana e deforme, la protagonista si trova davanti ad una terribile scelta; ha iniziato lei il trattamento, può quindi interromperlo. Il prezzo? Ciò che è stato “sottratto” da Sue, la vita che è stata drenata da lei, non tornerà.


Cosa fare? Continuare a vivere come Sue, fino a quando sarà possibile, o accettare la degradazione della propria immagine e del proprio corpo?

L’immagine quadro di Elisabeth, prima perdente nel confronto impietoso con quella di Sue, diviene ora miraggio ideale impossibile da raggiungere: eppure questa era la sua immagine, solo poche settimane prima!



Elisabeth sceglierà di interrompere il trattamento: nel tentativo di sopprimere Sue, si troverà difronte ad una svolta imprevista…


Infine abbiamo la terza chiave, quella dell’identità. Il misterioso responsabile del trattamento, fin dalle prime battute, afferma: “Ricorda, tu sei una”.

Elisabeth vede il proprio mondo andare a rotoli: chi è senza la sua immagine e il suo successo? Cosa fare?

La fuga di Elisabeth in Sue appare una manovra maniacale per evitare il lutto della propria identità da ricostruire. L’effetto è una profonda scissione, nella quale l’una non riconosce l’altra.

Nei momenti di veglia, Elisabeth accusa Sue e viceversa, di non rispettare il patto, di violare i tempi previsti.

La voce, impietosa, ripete: “ricorda, tu sei una”.

La protagonista è divorata dalla passione dell’invidia: invidia la vita di Sue, il “più di vita” che vede nel suo sorriso e nel suo successo.

Sue diviene l’altro, l’immagine ideale irraggiungibile: Sue ripete, nel suo show, le stesse frasi di Elisabeth; tuttavia l’alter ego rifiuta ogni legame simbolico di eredità con la protagonista. È in gioco invece un “furto”, una mera sostituzione.

Lo sdoppiamento diventa radicale: da una parte Elisabeth, vecchia e decrepita, depressa e chiusa in casa; dall’altra Sue, desiderosa di successo e di godimento.

Il fallimento identitario di Elisabeth prima e di Sue dopo nasce dalla loro dipendenza dall’Altro, incarnato dal sadico e cinico produttore Harvey (interpretato da Dennis Quaid): solo finché incarna l’oggetto del desiderio di Harvey, Elisabeth/Sue ha un posto nel mondo.


Per approfondire il rapporto tra Psicoanalisi e cinema:-Slavoj Žižek - “Dello sguardo e altri oggetti: saggi su cinema e psicoanalisi”;

-Lucilla Albano e Veronica Pravadelli (a cura di) - “Cinema e psicoanalisi: tra cinema classico e nuove tecnologie”;

-Vittorio Lingiardi - “Al cinema con lo psicoanalista”.


“Tu non esisteresti senza di me!” urla Elisabeth all’immagine di Sue, fresca e seducente in Tv;

“Era fuori moda” dice Sue di Elisabeth, durante un’intervista.


La profonda scissione dei due corpi si traduce nella convinzione delle due di essere, ciascuna, un “Io”: ne scaturisce, come abbiamo visto, una lotta fratricida che sarà Sue a vincere.


Tuttavia, senza Elisabeth, Sue non può stabilizzarsi: per questo cercherà di iniziare da capo il trattamento, con effetti orripilanti, dando vita al mostro che si nasconde dietro alla sua parossistica ricerca di successo.


Il corpo di Sue collassa, perde i suoi pezzi, facendo svanire la sua bellezza; da ciò che ne resta emerge un essere orripilante, palese tributo del regista al protagonista di “Elephant Man” di David Lynch (1980).


Qui si gioca il paradosso assoluto del desiderio: il mostro che nasce dal corpo di Sue è orribile e deforme, ma è esattamente quello che il “pubblico” aveva evocato:


“peccato che non abbia le tette in mezzo alla faccia, al posto di quel naso” dice un esaminatore durante la selezione che Sue vincerà, commentando una ballerina candidata a sostituire Elisabeth.


Sue vincerà, perché “sembra che sia tutto al posto giusto”.


Il mostro, sul palco, avrà un seno osceno, mero pezzo di carne, che cadrà dal suo volto, carnificazione oscena della Cosa, l’oggetto di godimento, al centro del fantasma sessuale maschile.







 
 
 

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