PAUL FEDERN E LA PSICOSI NON SCATENATA
- riccigianfranco199
- 2 giu
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Paul Federn è stato uno dei primi allievi di Freud. Avviato alla carriera di medico dal padre, famoso e stimato dottore della Vienna di fine Ottocento, Federn ha dimostrato fin da subito una profonda passione per la pratica clinica.
Divenuto discepolo di Freud, fu tra i membri del gruppo ristretto della “Società del mercoledì sera”, il celebre gruppo di analista soliti riunirsi nella casa/studio di Freud a Vienna.
Gli studi di Federn si concentrano su due aspetti centrali della teoria della psicanalisi: il concetto di “Io” e di “follia”, descrivendo il “senso dell’Io” e i “confini dell’Io”.
Nella sua pratica di psicoanalista ha cercato di esplorare i diversi “stati dell’Io” che caratterizzano il paziente nel suo funzionamento psichico.
Nel 1938 fu costretto a fuggire da Vienna e a recarsi prima in Svizzera e in seguito negli Stati Uniti.

Freud inizialmente riteneva impossibile applicare la psicoanalisi agli psicotici: egli riteneva infatti che gli psicotici non potessero sviluppare un transfer adeguato nei confronti dello psicoanalista.
Per questo, per decenni, la psicoanalisi è stata considerata un trattamento destinato esclusivamente ai nevrotici.
Quando tuttavia lo psicanalista incontrano psicotico? Spesso in seguito ad un errore diagnostico.
Federn infatti, con una certa ironia, ha notato come molti suoi colleghi, sbagliando diagnosi, avessero determinato lo scatenamento di una psicosi in un paziente considerato inizialmente nevrotico.
Per questo si pose il problema clinico di quelle che possiamo chiamare “psicosi chiuse”, “bianche”, “compensate” altrimenti dette “non conclamate”.
Nell’articolo “Analisi delle psicosi”, Federn osserva come nonostante la grande cura del rispetto delle regole del trattamento, certi pazienti possano manifestare delle scompensati psicotiche.
Davanti a questo problema clinico, pericoloso ed inquietante, Federn ha ipotiizzato, con grande acum, che possano esistere delle psicosi mascherate da nevrosi.
Di cosa si tratta? Lo psicanalista austriaco ipotizza che la struttura psicotica possa essere nascosta da una sorta di “maschera nevrotica” che il trattamento elimina, determinando l’emergere della struttura psicotica.
Questo si traduce nella comparsa di tutta una serie di sintomi tipici della psicosi, come deliri e allucinazioni.
Federn racconta:
“nel 1912 il professor Freud mandò da me una studentessa di filologia moderna, ventenne. Era una ragazza graziosa e intelligente, che uno stato ossessivo danneggiava in tutte le sue attività.
La sua nevrosi era peggiorata due anni prima in seguito ad un amore infelice. Suo padre era un maestro di scuola onesto e rigido, che non aveva comprensione né peri isteria della moglie, che aveva divorziato da lui, né per la nevrosi della figlia.
La psicoanalisi procedeva incontrando una resistenza “troppo debole”.
La paziente perse la maggior parte delle ossessioni troppo presto. Nel 1914 dovetti allontanarmi da Vienna per andare a New York, e la lasciai in grado di proseguire i suoi studi.
Quando tornai, quattro mesi dopo, mi accolse con uno sguardo orgoglioso e timoroso insieme, e mi confidò che era amata da un grande attore che la voce di Friedrich Nietzsche le aveva parlato.”
Il trattamento psicoanalitico e l’assenza dell’analista sono stati come due elementi distruttivi nell’equilibrio psichico della paziente: l’eliminazione del sintomo ossessivo, lungi dal determinare una piena risoluzione del caso, ha lasciato la paziente disarmata davanti al venir meno della figura dell’analista, come supporto immaginario.
Questo si è tradotto nell’emergere dei sintomi della psicosi soggiacente.
Nel corso dei decenni gli psicoanalisti hanno dovuto quindi imparare a riconoscere gli elementi clinici necessari per fare diagnosi di psicosi anche in assenza di fenomeni conclamati come i deliri e le allucinazioni.
Federn coglie un fenomeno clinico decisivo: come mai il sintomo scompare così rapidamente? Perché l’analista non incontra la tradizionale “resistenza” nel paziente?
Si tratta di un fenomeno molto affascinante che la psicologia fenomenica ignora: se la diagnosi è fatta solo di sintomi e segni evidenti all’osservazione clinica, come è possibile immaginare una psicosi di struttura non scatenata?
L’opera pionieristica di Federn ci mostra l’importanza della diagnosi nella conduzione della cura per evitare di interpretare in modo inadeguato la sintomatologia all’interno dell’economia psichica del paziente.
A cosa serve il sintomo? È d’aiuto o è un ostacolo alla vita del paziente?
Per approfondire:
-Paul Federn – “psicosi e psicologia dell’io”;
-Paul Federn – “analisi delle psicosi”;
-Jacques Lacan – “Il Seminario, Libro III, Le psicosi”.
Il fenomeno della psicosi non scatenata implica una riflessione clinica sui processi che la rendono possibile.
In particolare sono in gioco due fenomeni clinici: da una parte abbiamo la “compensazione immaginaria” dall’altra la “supplenza”.
Con compensazione immaginaria si intende la stabilizzazione narcisistica legata ad una identificazione con il simile.
Si tratta di una modalità di compensazione della psicosi fragile, che espone il soggetto al rischio di uno scatenamento.
La psicologia post freudiana e psicodinamica riconducono alla categoria della compensazione i fenomeni del “falso sé” e della personalità “come se”.
La supplenza invece avrebbe a che fare con il registro simbolico e garantirebbe una maggiore tenuta al soggetto.
Abbiamo un esempio di supplenza della struttura psicotica nel caso di Joyce descritto da Lacan.
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