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OTTO KERNBERG E L’IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA

Otto Kernberg è uno degli psicoanalisti contemporanei più noti ed autorevoli. Affermatosi come una figura di riferimento della psicoanalisi nordamericana, Kernberg è noto per le sue ricerche nell’ambito della clinica psicoanalitica degli stati borderline.

 

La psicoanalisi di Kernberg rappresenta una sintesi originale tra psicologia dell’io, psicologia delle relazioni oggettuali e teoria del narcisismo. Uno degli aspetti teorici più studiati da Kernberg è il concetto di “identificazione proiettiva”.

 

La proiezione è un fenomeno studiato già dalla prima generazione di psicoanalisti. Sono stati in particolare Ferenczi e Freud a dedicare i primi studi sul tema.

 

Secondo Kernberg,

“l’identificazione proiettiva è un meccanismo di difesa primitiva. Il soggetto proietta un’esperienza intrapsichiche intollerabile su un oggetto.”

 

La proiezione è una difesa rispetto a un contenuto emotivo intrapsichico, considerato intollerabile. Proiettarlo ristabilisce la coerenza interna della psiche, offrendo un’esperienza rassicurante di solidità.

 

Osserva Kernberg:

“la proiezione stessa, che è una forma più matura di difesa, consiste innanzitutto nel rimuovere l’esperienza intollerabile, quindi nel proiettarla sull’oggetto e, infine, nel separarsi o nel distanziarsi dall’oggetto per rafforzare il tentativo di difesa.”

 

Otto Kernberg

Kernberg sottolinea la natura separati e fondamentalmente fobica della difesa come mezzo per garantire la sopravvivenza della psiche davanti ad un conflitto intollerabile.

 

Secondo lo psicanalista di origine cilena, l’identificazione proiettiva sarebbe un meccanismo tipico dell’organizzazione borderline di personalità, tanto da indicarla come elemento prevalente del loro funzionamento e del transfert che riescono a stabilire nel corso del trattamento.

 

Il prevalere della sola proiezione rimanderebbe a un funzionamento nevrotico, il prevalere dell’identificazione proiettiva avrebbe invece a che fare con una maggiore debolezza dei confini dell’io, profondamente perturbati dai meccanismi di proiezione ed in introiezione.

 

Anche Melanie Klein aveva sottolineato la natura fondamentalmente violenta dell’identificazione proiettiva, considerandola un processo adeguato solo nelle prime fasi di vita.

 

Questo concetto oggi rischia di soffocare la fondamentale riflessione clinica sul controtransfert, spingendo i clinici ad attribuire al paziente i propri vissuti come effetto delle loro proiezioni. Questo è molto pericoloso perché determina sostanzialmente una sottrazione dell’analista rispetto alla responsabilità di lavorare sui propri punti ciechi, come sottolineato già da Freud.

 

Per approfondire:

-Otto Kernberg – “Teoria della reazione oggettuale e clinica psicoanalitica”;

-Otto Kernberg – “Proiezione e identificazione proiettiva: aspetti evolutivi clinici”;

-Thomas H. Ogden – “Sull’identificazione proiettiva”.

 

La teoria psicanalitica contemporanea delle relazioni oggettuali enfatizza il ruolo dell’identificazione proiettiva, allargando i confini originari di questo concetto clinico.

 

Come sottolineato da Bruce Fink, il rischio dell’allargamento di questo concetto è di trasformare l’analista in un mero ricettacolo di contenuti proiettati dal paziente; ciò comporta una sottrazione del clinico dal proprio ruolo di analizzante dei propri contenuti interni, con conseguente de responsabilizzazione rispetto al lavoro analitico personale.

 

Se tutti i contenuti mentali dell’analista hanno a che fare con le proiezioni del paziente, che ruolo occupa l’analista? Che spazio rimane per il desiderio dell’analista?

 

Come sottolineato da Fink, la proiezione è un processo immaginario che cerca di allargare una dinamica intrapsichico sul piano intersoggettivo; tuttavia ciò rimane una questione interna al funzionamento del paziente: l’analista pertanto non si può sottrarre rispetto al proprio compito di lavoro delle proprie questioni interiori.

 
 
 

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