top of page

OTIUM PERDUTO?

“O Ozio, abbi pietà della nostra lunga miseria! O Ozio, padre delle arti e delle nobili virtù, sii il balsamo delle angosce umane!”

(Paul Lafargue)

 

Nella cultura classica, greca e latina, l’“Otium” era una componente fondamentale dell’esistenza: contrapposto al “negotium”, l’attività economica e lavorativa, l’ozio era invece il tempo dedicato alle necessità personali, allo studio, alla lettura e alla cura di sé.

Per Catone il Vecchio l’ozio non andava confuso con l’“inertia”, cioè l’assenza di ogni attività e neppure con la “desidia”, cioè lo “stare sempre seduti”.

 

Anzi il vero “otium” era considerato la migliore espressione dell’antiche virtù romane.

A lungo l’otium è stato ritenuto un’attività accessibile solo ai nobili, poiché le loro ingenti ricchezze permettevano loro di distrarsi dagli affari.

 

Continuità con la filosofia storica, l’ozio romano costituiva un momento decisivo di crescita e meditazione personale, dedicato anche alla riflessione sugli affari di Stato, come sottolineato da Cicerone e Sallustio.

 

In età imperiale, quando la politica senatoria e il dibattito sulle questioni di Stato era tramontato per l’imporsi della volontà dell’imperatore, l’ozio divenne sinonimo di ritiro politico.

 

Scrive il filosofo Seneca:

“quando lo Stato è corrotto oltre ogni rimedio, se è nelle mani dei malvagi, il saggio si risparmierà sforzi inutili e non si sacrificherà nella previsione di non conseguire alcuni risultato”.

 

Con l’avvento della religione e della filosofia cristiana, l’ozio viene svalutato, diventando sinonimo di trascuratezza dei doveri e di “accidia”, cioè l’indolenza nell’operare il bene.

Questa torsione diviene massima nella riforma protestante, con l’equiparazione del lavoro e della preghiera.

 

Solo nel XVIII e XIX secolo riemerge la questione dell’ozio come intesa dai classici: ad esempio il filosofo Bernard Russell nel suo “Elogio dell’ozio” sottolinea l’importanza dello spazio delicato al sapere che arricchisce l’anima aldilà della sua declinazione pratica.

 

Il filosofo ed economista Lafargue arriverà a scrivere il pamphlet “Il diritto all’ozio” (1880), sottolineando la necessità di superare la dimensione di sfruttamento del lavoro, considerata una caratteristica fondamentale del sistema economico capitalista.

 

Ai nostri giorni, anche il sociologo Domenico De Masi ha posto la questione dell’ozio come espressione della soggettività, come testimoniato nel saggio “L’ozio creativo” (2002).

 

Possiamo vedere nell’ozio, inteso in senso latino, cioè come tempo e spazio dedicato ad attività che hanno a che fare con passioni, interessi e di espressione della propria soggettività, una componente fondamentale della salute e della personalità.

 

Anzi, proprio l’assenza di ogni forma di ozio, cioè il completo assorbimento della soggettività in questioni che hanno a che fare o con il lavoro o con la sola inerzia, segnala la crisi del funzionamento soggettivo.

 

Cosa è in gioco nell’ozio?

Si tratta della scelta del soggetto di non sottomettersi integralmente alle richieste alle aspettative dell’Altro per fare spazio al proprio desiderio.

 

Per questo lungi dalla rappresentare un “peccato”, l’ozio rappresenta una manovra di protezione e di espressione di sé.

 

Ne abbiamo un esempio nell’abbandono a cui si lasciano andare i personaggi mitici ritratti nelle statue dell’antichità.

 

otium

Nell’immagine vediamo questo fauno abbandonatosi al sonno: non è coricato, non è in gioco il riposo della sera, quanto piuttosto il chiudersi in uno spazio “altro” rispetto al mondo, cioè nella propria interiorità.

L’aspetto morbido e rilassato del fauno ci segnala l’assenza di preoccupazioni, in una dimensione di profonda quiete.

 

Per approfondire:

-Seneca – “De otio”;

-Bertrand Russell – “Elogio dell'ozio”;

-Domenico De Masi – “L’ozio creativo”.

 

La frenetica routine della vita contemporanea ha cancellato completamente la dimensione della lentezza e dell’ozio dell’esistenza.

 

Questo ha delle pesanti conseguenze sull’equilibrio generale di vita, radicalmente influenzato dagli imperativi di produzione e dalla difficoltà di “mantenersi a galla” all’interno del sistema economico.

Le necessità lavorative infatti, divenute sempre più impellenti, rendono un vero e proprio privilegio il potersi fermare, dedicando spazi e tempo non al mero riposo, bensì all’attività contemplativa, osservativa, di studio o di riflessione personale.

 
 
 

Commenti


bottom of page