LA MORTE E LA FOLLIA
- riccigianfranco199
- 29 gen
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“La morte è sempre straziante, a chi non sappia che cosa essa sia.”
(Rainer Maria Rilke)
Il tema della morte è centrale nelle culture e nelle filosofie di ogni tempo. In ogni civiltà, presente o passata, religiosi e filosofi hanno interrogato il mistero della morte. Anche la psichiatria e la filosofia dell’esistenza hanno affrontato, dal punto di vista clinico e filosofico, questo aspetto centrale dell’esperienza umana.
Per il filosofo e psichiatra Karl Jaspers la morte va intesa come “situazione-limite”, capace di rivelare il “senso” e l’“essenza” stessa della vita.
Anche Heidegger è di questa opinione: “la limitazione della nostra esistenza attraverso la morte è sempre decisiva per la nostra comprensione e la nostra valutazione della vita”.
Ognuno è chiamato a prendere posizione rispetto alla morte, la propria e quella altrui; per questo Sartre afferma che: “Noi scegliamo il nostro atteggiamento verso i morti e non è possibile non sceglierne uno”.

Anche evitare la questione risponde, in sostanza, ad una presa di posizione, che mette al centro la morte stessa come una sorta di oggetto-fobico da evitare, riaffermando così la sua primaria importanza.
La morte non può essere intesa come un evento astratto, ma è sempre “incarnato”, carico di storicità e mai neutrale: è in gioco la “mia” morte, la “tua” morte, la “nostra” morte.
Per Jaspers è proprio la “mia morte” la vera situazione-limite, in quanto “unica e determinata”, concreta e non teorica.
La morte in seconda persona, la “tua” morte, le si avvicina perché, afferma Jaspers, è “quasi mortem propriam”, dando forma all’“incrinatura più profonda nella vita fenomenica”.
Nella sua lunga pratica clinica di psichiatra, Eugenio Borgna, recentemente scomparso, si è interrogato sull’esperienza della morte nei pazienti schizofrenici.
È forse diverso il modo in cui il soggetto “normale” e quello “schizofrenico” si pone “dinanzi al mistero del morire”?

Nei suoi pazienti schizofrenici, Borgna coglie uno “svuotamento di consistenza” del tema della morte: una struttura del “non-poter-pensare” che allontana la morte dalla dimensione di esperienza.
Nei diversi pazienti varia il contenuto dei pensieri legati alla morte, mantenendo un “elemento formale comune”: sembra mancare ogni riflessione metafisica e di angoscia esistenziale.
Borgna coglie il venir meno di un “senso tragico” della morte, declinata ad esperienza fredda e “appiattita”. Un abbandono all’indistinto e all’indeterminato avvolge la condizione del paziente schizofrenico che Borgna descrive.

Nel soggetto normale domina invece la “paura” della propria morte. In questo caso, il “non pensare” risponde al movimento angosciato di sfuggire al pensiero terrificante della fine.
Jaspers coglie come “si desidera vivere come se la morte non esistesse; e quando puoi deve venire, che venga in modo rapido e subitaneo, come se non ci fosse.”. Borgna coglie un’impossibilità di prepararsi alla morte, finendo col “morire in serie”.
Laddove invece è la malattia cronica del corpo e non quella mentale a condizionare la vita del paziente, Borgna coglie un atteggiamento assai diverso e profondo: la morte non è fuggita, ma vista come una ricercata liberazione, frutto di una maturazione esistenziale più autentica.
Citando Blanchot: “La mia morte mi diventi sempre più interiore: che sia come la mia forma invisibile, il mio gesto, il silenzio del mio segreto più nascosto”.
È in questi pazienti che Borgna coglie la “più rigorosa (e sofferta) maturazione nell’esperienza della morte”.
Per approfondire:
-Eugenio Borgna – “Nei luoghi perduti della follia”;
-Karl Jaspers – “Psicologia delle visioni del mondo”;
-Lo Conte – “Esistenza e morte. Heidegger e Sartre”.
"Siamo fatti per vivere. I lutti ci gettano nel vuoto, ma in quella disperazione c’è la luce del passato".
Come affermano alcuni allievi, queste sarebbero state le ultime parole di Jacques Lacan.

La psicoanalisi vede nella morte un “padrone assoluto” rispetto al quale ogni soggetto è chiamato a fare i conti.
Come ha scoperto Freud, la pulsione si articola in “Eros”, pulsione di vita, e “Thanatos”, pulsione di morte. Se la meta finale della pulsione è la propria soddisfazione, essa può essere raggiunta tramite ogni strada, anche quella dell’autodistruzione.
Per questo, la morte può ergersi come sfondo esistenziale così come accadere nella forma dell’inciampo, del non voluto, del non cercato coscientemente, nella spinta mortifera del godimento animato dalla pulsione di morte.
" Se imparassimo a morire ogni istante.. non avremmo più paura di vivere....se imparassimo a vivere ogni istante....la morte non sarà che una mera illusione " Nicola Di Palma