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LA MAIEUTICA DI SOCRATE

Socrate è probabilmente il filosofo più conosciuto del pensiero greco classico.

Il filosofo era attivo nella vita politica e culturale della città di Atene nel periodo più buio della sua storia, dopo la sconfitta nella guerra con Sparta.


Accusato dalla moglie Santippe di essere un buono a nulla, Socrate vagava per la città insieme ai suoi allievi, interrogando intellettuali, retori, politici e aristocratici, dai quali era visto con un misto di ammirazione e disprezzo.



Socrate era figlio di una levatrice; come riporta Platone in una sua opera, intitolata “Teeteto”: “io sono figlio di una levatrice molto in gamba”; in greco antico, “maia” è la parola che designa la levatrice, colei che aiuta le partorienti.

Descrivendo la propria filosofia, Socrate afferma: “io pratico la stessa arte”.

Il modo di dialogare, spesso provocatorio, di Socrate è infatti chiamato “maieutica”; descrivendola, Socrate (attraverso Platone) afferma:


“la mia arte di levatrice poi, il tutto il resto è uguale a quella delle ostetriche, ma se ne differenzia in questo, che agisce sugli uomini e non sulle donne, e assiste le loro anime, quando partoriscono, e non i corpi”


Socrate interrogava i suoi interlocutori perché emergesse il loro “logos”, il loro discorso, la loro verità. Per questo, i suoi contemporanei vivevano con grande ambivalenza il loro rapporto con Socrate: il suo stile spingeva gli interlocutori a rimettere in discussione certezze, assiomi, aprendo ad uno scenario soggettivo nuovo, inedito.


Per questo, lo stile filosofico di Socrate è, secondo Lacan, molto simile all’azione dello psicoanalista: l’analista ascolta le parole del paziente, cercando di fare emergere il suo “logos”, il discorso che lo abita, di cui è “gravido”, senza cadere nella falsa credenza delle parole comuni o della retorica.


L’analista, come Socrate, è interessato ad un discorso diverso da quello comune: è alla ricerca della verità del soggetto, di un discorso unico, mai sentito prima, proprio solo di chi lo enuncia.


Per questo, l’esperienza dell’analisi, se da una parte punta alla verità, dall’altra espone alla vertigine di un non sapere radicale, che spesso si traduce in una grande rabbia rivolta verso l’analista: cosa vuole da me? Che cosa devo dire?


Per il suo stile eccentrico e il potenziale eversivo della verità insito nella sua filosofia, Socrate è stato condannato a morte dai Trenta Tiranni che hanno governato Atene dopo la sconfitta militare nella Guerra del Peloponneso.


Il suo è stato un vero e proprio processo politico, raccontato da Platone nell’ “Apologia di Socrate”.


Nel suo insegnamento, il filosofo sosteneva la necessità di realizzare il proprio “daimon”, il proprio demone, la buona alleanza con esso nella propria vita (“eudaimonia”). Così, in analisi si tratta di far emergere il desiderio inconscio del soggetto, nascosto dai discorsi “vuoti” della vita quotidiana: qual è il nostro talento? Per quale ragione ci svegliamo la mattina? Qual è la nostra strada?


Se Socrate sosteneva la necessaria alleanza con il proprio “daimon”, così l’analista trova nel “desiderio dell’analista” la spinta della propria funzione: il desiderio dell’analista, sostiene Lacan, non sarebbe un desiderio qualunque, piuttosto si tratterebbe del desiderio, proprio dell’analista, di “far emergere la differenza assoluta” che abita ciascun soggetto.


Per approfondire:

-Platone, Teeteto;

-Platone, Apologia di Socrate;

-Lacan, Il Seminario, Libro VIII, Il Transfert.



Il ruolo di Socrate nella genesi della Psicoanalisi è sottolineato dalla lettura che Lacan offre del “Simposio”, opera che Platone dedica all’amore e che vede Socrate nel ruolo di protagonista.


In questo dialogo, la figura del filosofo è centrale per descrivere la teoria psicoanalitica dell’amore: il Socrate – analista del Simposio riletto da Lacan pone al centro dell’amore la dinamica tra “amante” e “amato”; colui che è amato è inseguito dall’amante che in lui vede qualcosa di prezioso che lo riguarda. Questo oggetto prezioso, chiamato “agalma”, è una delle forme di quello che Lacan chiama “oggetto a”, l’oggetto – causa del desiderio.


Socrate sa di essere amato da Alcibiade non in quanto Socrate (noto per il suo aspetto assolutamente sgradevole), ma in quanto depositario di questo “agalma”.

Il filosofo, consapevole della sua non – coincidenza con l’oggetto causa del desiderio, rifiuta le avances di Alcibiade, orientando il giovane verso chi egli ama davvero, cioè Agatone.


Attraverso la figura di Socrate, Lacan sottolinea la posizione dell’analista come quella di colui che è consapevole di essere come un “vaso vuoto”, depositario delle proiezioni del paziente, con le quali non deve finire per coincidere, convincendosi di essere l’effettivo oggetto d’amore o di odio. Piuttosto, l’analista, come Socrate, è chiamato a cogliere il proprio ruolo di “contenitore” dell’ “agalma”, di ciò che è prezioso per chi gli domanda aiuto.


Socrate, le sue due mogli e Alcibiade, di Reyer van Blommendael


Secondo un celebre episodio, dopo aver risvegliato il marito ebbro urlando, Santippe gli avrebbe rovesciato addosso una brocca d'acqua, accusandolo di essere un "perdigiorno"; Socrate avrebbe risposto: "lo sapevo, dopo il tuono, arriva la pioggia".

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