IL PRIMO COLLOQUIO CON JACQUES LACAN
- riccigianfranco199
- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min
Jacques Lacan è stato uno degli psicoanalisti francesi più influenti. La sua pratica di analista è considerata da molti controversa: la durata variabile delle sedute, il taglio, la grande attenzione sull’ambiguità delle parole e sull’omofonia sono solo alcuni degli aspetti che hanno reso unico il suo stile.
Per questo, intorno alla figura di Lacan hanno cominciato a circolare una moltitudine di aneddoti, che hanno contribuito ad alimentare il suo “mito”. Molti dei suoi pazienti, che per anni hanno affollato le stanze della sala d’attesa del suo studio di Parigi in Rue de Lille, hanno lasciato testimonianza della loro esperienza di analizzanti sul lettino di Lacan.
Patrick Valas (recentemente scomparso…) è stato allievo di Lacan e suo analizzante. Per primo, su facebook, ha desiderato condividere la sua esperienza sul lettino del suo Maestro.

Ecco il suo racconto:
“Per Lacan, una domanda diretta ad uno psicanalista per iniziare un'analisi deve essere considerata “un'urgenza soggettiva”.
Per questo era così tanto disgustato dagli analisti con le liste di attesa.
È stato il mio analista fin da quando lo chiamai e mi rispose al telefono. Mi chiese perché lo chiamavo e ripetette questa domanda varie volte, dato che farfugliavo...
Ogni volta ripetevo: “per venire da lei”. E lui mi rispondeva subito: “perché?”.
Non mi presentai nemmeno e lui nemmeno chiese il mio nome.
Finii per dirgli: “beh, per fare un'analisi...” E lui: “non me lo poteva dire prima?”. E mi rifilò un appuntamento: “venga domani alle 11:32”.
Devo dire rimasi basito; ma, riflettendoci, capii che alle 11:32 si ricorda più facilmente che alle 11:00 tout court.
Contrariamente alla doxa vulgaris analitica di un tempo, per cui la domanda d'analisi è un sintomo, Lacan ti metteva a lavorare sul tuo proprio testo, in un secondo.
Mi presentai in orario e, qualche istante dopo, venne a cercarmi nella sala d'aspetto.
Sempre farfugliando, mi sedetti su una piccola poltrona, mentre lui rimase in piedi con le mani in tasca, e guardandomi negli occhi, mi disse: “quindi?”.
Gli risposi che ero molto impressionato dal fatto di essere là e che non sapevo che cosa dire - “Un motivo in più per venire!” - replicò.
Poi mi chiese quanto “VOLESSI” pagarlo, aggiungendo di non voler “gravare” molto sul mio budget.
Mi sentii un po’ offeso, perché ero molto ben vestito e calzavo delle scarpe di Church!
Avevo un biglietto equivalente a 10 euro, glielo diedi e lui lo prese immediatamente, lo mese in tasca e mi fissò tre appuntamenti a settimana e, sentite questa!, avevo avuto una buona intuizione: il lunedì alle 11:32, il mercoledì alle 11:43 e il venerdì alle 15:37.
Mi strinse la mano e poi chiamò Gloria (la storica segretaria di Lacan), che riempì una piccola scheda con il mio nome e i miei recapiti.
Non l'ho più dimenticato e, da allora in poi, ho sempre fatto così con i miei analizzanti, dando però un orario a cifra tonda…
Se avevo chiesto un'analisi a Lacan è perché credevo, come tutti, che fosse il più esperto nella nostra disciplina…
Ora, Lacan, lo capii molto presto, non nascondeva affatto di ignorare, nel senso che non sapeva niente di me; dipendeva da ciò che gli dicevo e, se io non dicevo niente, mi è successo qualche volta, lui si occupava di altro.
Leggeva il giornale o tagliava un tubo di gomma per rigirarlo o faceva delle trecce con dei nastri, a volte addirittura si metteva a contare le banconote.
Tuttavia, in termini di “presenza dell'analista” lui era là vicino, come una piastra sensibile, reagendo alla minima parola…”
La testimonianza di Patrick Valas mostra in modo vivace, divertente e sorprendente molti aspetti dello stile di Lacan e l’istallarsi del transfert sulla spinta del “soggetto supposto sapere”: l’analisi trova il proprio elemento catalizzatore nella supposizione di sapere dell’analizzante nei confronti dell’analista; in altre parole, il paziente si rivolge all’analista perché è convinto che egli abbia la “chiave” della propria verità, necessaria per guarire.
L’analista sa però di “non sapere” e agisce da questa posizione socratica.
A partire da questa attribuzione di sapere circa la verità del paziente, l’analista quindi invita l’analizzante ad interrogare il vero “supposto sapere”, cioè l’inconscio dell’analizzante stesso.
Per approfondire:
-Collana Altri sguardi – “La pratica di Lacan. Nove analisti raccontano”;
-Jacques -Alain Miller – “Lacan redivivus”;
-Pierre Rey – “Sul lettino di Lacan”.
Le testimonianze di analisi sono racconti affascinanti e carichi di emozione; nonostante la loro capacità di trasmettere i dettagli di un’esperienza, mancano nel compito di trasmettere il cuore dell’esperienza analitica.
In sostanza, la psicoanalisi rimane un’esperienza impossibile da condividere, per la centralità dell’effetto soggettivo che la caratterizza.
Lacan cercò di superare questa impasse con la proposta della “passe”, un dispositivo attraverso il quale coloro che avevano terminato la propria analisi potessero testimoniare a partire dagli effetti della loro psicoanalisi.
Comments