IL MITO DI DEMETRA E PERSEFONE
- riccigianfranco199
- 18 dic 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Demetra e Persefone sono due importanti divinità dell’Antica Grecia.
Demetra è sorella di Zeus e dea dell’agricoltura: lei gli antichi Greci offrivano tributi per avere raccolti ricchi e abbondanti; la dea garantiva infatti la generatività della terra e la presenza di un clima favorevole al lavoro dei contadini.
Persefone invece è la figlia di Demetra, ricordata per la sua unione con il dio Ade, sovrano degli inferi.
I Misteri Eleusini, un antico culto iniziatico, celebravano il rapporto tra Demetra e Persefone, tra madre e figlia, in contrapposizione ad Ade, dio dell’Oltretomba.
Secondo il mito, l’unione tra Demetra e Persefone avrebbe garantito agli antichi di vivere in una continua e felice Età dell’oro, nella quale i prodotti della terra maturavano senza fatica. Una perenne buona stagione offriva le migliori condizioni per il raccolto, tanto abbondante da soddisfare la fame di tutti.
Tuttavia, un giorno, il dio Ade, innamoratosi di Persefone, l’avrebbe rapita, portandola con sé negli Inferi. Mentre Persefone stava raccogliendo dei fiori, la giovane sarebbe rimasta ammaliata alla vista di un narciso di grande bellezza. Avvicinatasi al fiore, da una voragine sarebbe comparso Ade, tanto forte da rapire Persefone.
La giovane sarebbe così divenuta sua sposa e Sovrana degli Inferi. Demetra, sconvolta dalla scomparsa della figlia, l’avrebbe cercata per ogni luogo. La sua disperazione e il suo dolore le avrebbero reso impossibile proteggere la fertilità della terra e garantire il clima migliore per le coltivazioni, causando così una grave carestia.
Gli uomini, disperati per la fame, avrebbero innalzato le loro grida a Zeus. Il Sovrano dell’Olimpo avrebbe allora obbligato Ade a lasciar tornare indietro la sua sposa, Persefone. Durante la sua prigionia, nonostante l’assenza di ogni forma di appetito, Persefone avrebbe mangiato alcuni arilli di melagrana, senza sapere l’effetto che ciò avrebbe avuto: mangiare il cibo degli Inferi infatti comportava l’impossibilità di lasciare quei luoghi.
Per opera di Zeus, Ade e Demetra trovarono un accordo: Persefone sarebbe rimasta negli Inferi un tempo proporzionale al numero di semi mangiati durante la sua prigionia. Così, da allora la giovane passa sei mesi insieme alla madre e sei mesi accanto allo sposo Ade, negli Inferi.

Il mito di Demetra e Persefone era celebrato dagli antichi per spiegare l’alternanza delle stagioni e il ciclo della vita delle piante, rigogliose in estate e morenti nei mesi autunnali e invernali. Tuttavia il mito di Demetra ci mostra un aspetto essenziale dell’esperienza della maternità: il suo inevitabile lutto.
La maternità, così come la paternità, è un ruolo che implica un rapporto simbolico con un altro di cui ci si prende cura. All’origine della maternità compare un vivo desiderio di fusionalità, di unione simbiotica tra madre e figlio.
Col tempo, tuttavia, con la maturazione e la crescita, il ruolo materno è chiamato ad evolversi, rinunciando progressivamente alla propria centralità nella vita del figlio (o della figlia).
Il tramonto della funzione materna apre un vuoto nella madre, un vuoto identitario e di orizzonte: che ne sarà di me, senza il mio ruolo di madre? Il mito di Demetra mostra con chiarezza la sofferenza della divinità, completamente dedita al suo ruolo di figura generativa: senza il suo frutto, Demetra è perduta.
La separazione psichica tra genitori e figli è un passaggio simbolico di grande importanza e delicatezza, spesso fonte di grande sofferenza: è la natura del desiderio materno, la sua origine, a renderlo o meno possibile. Cosa fonda il desiderio di maternità? Saprà la madre non essere “tutta madre”, ma orientare altrove il proprio desiderio? Saprà il figlio (o la figlia) non essere “tutto figlio”, ma trovare la propria strada?
Ade incarna l’elemento separatore, che spezza l’unione simbiotica tra madre e figlia: non è forse un caso che questa operazione di separazione venga vissuta con odio e rancore di Demetra, privata del suo frutto più prezioso.
L’oscillazione di presenza e di assenza di Persefone nel rapporto con la madre indica un nuovo equilibrio: Persefone rimane la figlia di Demetra, ma diviene anche sposa di Ade (oltre che amante di molti altri giovani).
Demetra e Persefone, agli occhi di Károly Kerényi, padre degli studi moderni sulla mitologia greca e amico di Carl Gustav Jung, rappresentano l’archetipo della figura materna e di quella di figlia.
Demetra farà propria la rinuncia al controllo e all’unione fusionale con Persefone, lasciandola libera di realizzare il proprio destino.

Per approfondire:
-Károly Kerényi - “Eleusi: la rappresentazione archetipica di madre e figlia”;
-Jean S. Bolen - “Le dee dentro la donna. Una nuova psicologia al femminile”;
-Erich Neumann - “ La grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio”.
Il tramonto della “madre” dentro la “donna” è un tema centrale della psicoanalisi di Jacques Lacan e di Carl Gustav Jung. Seppur da vertici differenti, i due concordano sulla necessità di elaborare psichicamente il lutto della propria funzione, da un punto di vista simbolico per Lacan, archetipico per Jung.
Il fallimento di questo processo porterebbe all’impossibile separazione tra le generazioni, determinando un delirio di eterna infantilizzazione del soggetto, condannato ad assumere esclusivamente il ruolo di “fallo” della madre.
Lacan assegna in questo senso un ruolo centrale a chi occupa il ruolo di figura generativa, sul piano reale e simbolico: è la rinuncia alla padronanza a fondare la libertà dei figli.
Abbiamo un esempio di fallimento di questa operazione nel mito freudiano del Padre dell’orda, contenuto nel saggio di antropologia “Totem e Tabù” (1913): il Padre dell’orda, che gode indiscriminatamente di tutte le donne, viene alla fine ucciso dai suoi figli, perché rifiuta di riconoscere ogni forma di successione simbolica, di lutto, di rinuncia al proprio ruolo di padre – padrone assoluto.
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