IL FANTASMA DI FREUD
- riccigianfranco199
- 1 giorno fa
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Lo studio della vita di Sigmund Freud ci offre la possibilità di esplorare il percorso che ha portato alla nascita della psicoanalisi.
Nato in una famiglia ebraica nella periferia dell’Impero Asburgico, fin da piccolo, Freud è stato cresciuto con grande cura per i suoi studi e il suo sviluppo intellettuale. Coccolato in casa e considerato un piccolo talento, il piccolo Sigmund aveva dovuto assistere alle umiliazioni subite dal padre per motivi razziali, rimanendone impressionato.
Il giovane Freud è animato da una grande ambizione: divenire uno scienziato capace di lasciare una traccia indelebile nella cultura del suo tempo.
Nella sua autobiografia, Freud stesso evoca un libro che lo aveva profondamente influenzato: si tratta di “La Natura” di Goethe, grande genio universale della cultura tedesca.
Nello studiare la figura di Freud, lo psicoanalista Massimo Recalcati sottolinea la possibilità di rintracciare, nel padre della psicoanalisi, un vera e propria “pulsione epistemofilica”: come Cristoforo Colombo, così Freud voleva aprire la via verso un mondo nuovo, verso un sapere inedito, quello dell’inconscio.
Già Lacan, nel corso del Seminario XI, dedicato ai “Quattro concetti fondamentali della psicoanalisi”, aveva sottolineato quanto nella ricerca di Freud vi fosse una dimensione “trasgressiva”: una “sete di verità” capace di sconvolgere l’ordine morale ed ordinario del mondo fino ad allora conosciuto.

In Freud, prosegue Recalcati, c’è una spinta alla “Verità” più forte del “Bene”: non a caso, per Freud, scopo principale della psicoanalisi è l’indagine della verità inconscia e solo in seconda istanza si tratta di una tecnica terapeutica.
Un “fantasma da scienziato” abita quindi Freud, spingendolo a svelare quanto nella morale, nella religione e nei condizionamenti sociali vi sia un mascheramento della verità scabrosa che l’analisi permette di far emergere.
Non a caso, per Lacan la lezione freudiana è “spingere il desiderio di sapere fino in fondo”.
Commenta Lacan:
“Lo statuto dell'inconscio, che vi indico cosi fragile sul piano ontico, è etico. Freud, nella sua sete di verità, dice: “Comunque sia, bisogna darci dentro”, perché, da qualche parte, questo inconscio si mostra. E lo dice nella sua esperienza di ciò che per il medico è, fino a quel momento, la realtà più rifiutata, più coperta, più contenuta, più rigettata e cioè quella dell'isterica.”
Per Freud, la spinta verso la scienza, verso la Verità, fa sì che i casi clinici divengano occasione di conferma della teoria, di dimostrare quanto di vero vi sia nelle sue scoperte.
Il bambino brillante, discriminato per la sua origine, diviene il Padre di un sapere nuovo, che scompagina il sistema morale e culturale del suo tempo.
Il mito tragico di Edipo riflette questa posizione freudiana: quanta verità può essere sopportata? Quanta verità si può vedere? Bisogna fare emergere tutta la verità?
Recalcati non ha dubbi: Freud mette in primo piano la verità e questo comporta l’andare sempre “fino in fondo”. Per Freud, al costo di incorrere nel dramma di Icaro, che si avvicina mortalmente al sole, l’analista spinge la propria azione fino in fondo.
Per approfondire:
-Sigmund Freud – “Autobiografia”;
-Jean-Pierre Lebrun – “Leggere il presente con Freud e Lacan”;
-Massimo Recalcati – “Da Lacan a Freud e ritorno per una introduzione alla psicoanalisi”.
Abbiamo quindi da una parte, la spinta alla Scienza e la possibilità del Bene.
Come abbiamo visto, la spinta freudiana trova il proprio appagamento nel disvelamento integrale della verità inconscia.
Tuttavia l’emergere di questa verità, come abbiamo detto, può essere sconvolgente per il soggetto. Come sottolineato da Sofocle, per Edipo sarebbe stato molto meglio non sapere.
Ma a che scopo imporre l’emergere di questo sapere?
Qui la posizione dell’analista e del terapeuta si divaricano: non sempre infatti, come dimostra il mito di Edipo, la verità è sopportabile “tutta”, senza cedimenti, senza sconvolgere in modo irrimediabile il mondo del soggetto.
In questo senso, l’indovino Tiresia nel mito di Edipo occupa la posizione del terapeuta cauto, che invita Edipo a non spingere fino in fondo il suo desiderio di conoscere la propria origine.
A differenza dell’analista inteso come funzioni integrale, il terapeuta si pone il problema del limite tra “Bene” e “Sapere”, tra la “Verità” e quanto il soggetto è in grado di sopportare.
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