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CESARE MUSATTI E IL DESIDERIO DEL MEDICO

Cesare Musatti è stato il padre della psicoanalisi in Italia.

 

Allievo di Benussi a Padova, inizia la propria attività di ricerca nell’ambito del laboratorio di psicologia. Nel 1927 diviene erede del maestro, guidando l’Istituto di psicologia dell’Università di Padova per 10 anni: nel 1938, a seguito della proclamazione delle leggi razziali, è costretto a rinunciare all'insegnamento universitario.

 

Nel 1947 torna all’Università, a Milano, dove insegna fino al 1967.


Tra i fondatori della SPI, Società Psicoanalitica Italiana, contribuisce alla traduzione delle opere di Freud in Italia.

 

Autore prolifico e curioso, Musatti si è speso in molteplici ambiti scientifici e culturali, senza trascurare l’impegno civile e politico.

 

Cesare Musatti

Per molti anni si è dedicato anche ad una questione centrale nell’Italia del dopoguerra e del boom economico: la questione dell’orientamento scolastico e della scelta della carriera professionale.

 

Si tratta di questioni di grande importanza dal punto di vista psicoanalitico: cosa spinge a scegliere una certa professione? Cosa indirizza un giovane uomo o una giovane donna verso una certa carriera?

 

In un celebre testo pubblicato nel 1949, considerato la prima grande organica esposizione delle idee di Freud in Italia, il celebre “Trattato di psicoanalisi”, Musatti si pone la questione del desiderio dietro alla scelta della professione di medico.

 

Perché un individuo sceglie la professione medica? Cosa spinge ad affrontare tanti anni di studio e grandi difficoltà tecniche, scientifiche e pratiche?

 

Si tratta della grande considerazione sociale ed economica che offre la professione medica?

È una questione di status?

 

L’indagine psicoanalitica di Musatti mette in luce un fantasma fondamentale legato alla professione medica: dietro al camice e al sorriso rassicurante del medico, disponibile a sostenere i suoi pazienti nell’affrontare il dolore e la sofferenza della malattia, si nasconderebbe in realtà una forma di aggressività.

 

Nella professione medica, nella scelta di fare il medico, Musatti coglie l’effetto di un processo sublimatorio legato alla dimensione sadica dell’aggressività inconscia.

 

Il lavoro medico, spesso caratterizzato da una grande propensione all’aiuto e all’assistenza agli altri, sarebbe il ribaltamento della dimensione sadica e aggressiva rimossa nell’inconscio.

 

Il limite estremo di questo ribaltamento è costituito dallo sfociare nel “furor sanandi”, la spinta a curare portata all’estremo.

 

Ciò appare evidente a Musatti da molti dettagli, a partire dalla grande asimmetria di potere che si instaura nel rapporto medico - paziente: il medico assume un grande valore nei confronti del paziente, disponendo di un sapere decisivo per la guarigione delle malattie; in cambio della propria opera, il medico non ottiene solo riconoscimento economico e sociale, ma anche attestati di stima e di affetto da parte dei pazienti.

 

Proprio come il sadico nei confronti della propria vittima, il medico si trova nella posizione di soggetto capace di influenzare profondamente la vita del paziente, che si mette nelle sue mani per ottenere aiuto.

 

La spinta distruttiva si converte nella spinta alla cura.

La rabbia diviene desiderio di aiutare.

La spinta mortifera della pulsione di morte diviene motore della pulsione di vita.

 

Per approfondire:

-Cesare Musatti – “Trattato di psicoanalisi”;

-Cesare Musatti – “Curar nevrotici con la propria autoanalisi”;

-Silvia Vegetti Finzi – storia della psicoanalisi”.

 

Ogni scelta soggettiva risponde alla necessità di lavorare il passato che la ha preparate e preceduta. Lo psicoanalista indaga i fantasmi inconsci che soggiacciono alle scelte del paziente che gli domanda aiuto.

 

Anche il medico, nel corso della propria analisi, esplora questi fantasmi: da una parte è frequente quanto colto da Musatti, nella forma di un fantasma sadico sublimato; dall’altra l’orecchio dell’analista, ascolta storie segnate dal profondo impatto di perdite precoci che segnano il soggetto, lasciando impresso un profondo marchio depressivo.

 

In questi casi, la scelta della carriera medica risponderebbe al tentativo di salvare, attraverso la cura dei pazienti, l’oggetto perduto, svelando così la marca melanconica che caratterizza il soggetto.

 
 
 

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