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IL BUCO NERO DELLA MENTE

Nel corso dei decenni, la psicoanalisi post-freudiana ha dedicato sempre maggiore attenzione alla "dimensione primitiva" e "prelinguistica" della vita psichica.

 

In particolare, la tradizione che fa riferimento al lavoro di Melanie Klein e alla psicoanalisi delle relazioni oggettuali ha cercato di esplorare come le precoci, esperienze psichiche e relazionali del bambino plasmino la possibilità stessa di dare origine al pensiero.

 

Cosa succede nel caso di esperienze eccessivamente frustranti o di grave deprivazione sul fronte della cura e della relazione?

 

Lo psicoanalista Agostino Recalbuto sottolinea la profonda distanza che separa la capacità di “sentire” da quella di “rappresentare”.

 

Egli ipotizza l’esistenza di un nucleo psichico originario di natura psicosomatica, chiamato “affettività sensoriale primaria pre rappresentativa”: secondo Recalbuto l’assenza di confini psichici tra dentro e fuori, se ed altro, corporeo e psichico, si traduce in una profonda sensazione di confusione degli affetti.

 

La mente del neonato farebbe cioè esperienza di “stati indifferenziati” difficili da contenere e da dotare di significato. In questo senso svolgerebbe una funzione decisiva, chiamata “rêverie”, la figura che si prende cura del neonato.

 

Il contenimento dell’altro risponderebbe a quella che Winnicott chiama l’angoscia di “andare in pezzi”, favorendo l’integrazione delle pulsioni, del sé e degli oggetti che il bambino incontra.

 

Progressivamente le cure favorirebbero l’emergere di un senso di sicurezze e fiducia verso l’altro, tale da permettere un solido investimento sul proprio corpo e sull’attività psichica aperta al mondo.

 

Nel caso invece di permanenza eccessiva in uno stato di fusione, di contatto corpo a corpo, la conoscenza lipidica e rappresentativa del mondo e rimarrebbe vincolata ad una modalità sensoriale e non rappresentativa.

 

L’impossibilità di separarsi implicherebbe un fallimento nel processo di strutturazione delle rappresentazioni, con l’affetto che prende il posto della rappresentazione, come sottolinea Green.

 

A livello psichico, diventa allora impossibile pensare il dolore, simbolizzare l’eros e accedere alla parola come strumento nella elaborazione dei vissuti emotivi e del lutto.

 

Nella psiche è come se dominasse una sorta di buco nero legato alla dimensione traumatica dell’impatto reale delle sensazioni non mediato dalle rappresentazioni.

 

Secondo quest’ottica, il processo analitico permetterebbe di maturare un “apparato per pensare i pensieri” e superare il tutto indifferenziato del buco nero della psiche.

 

Ogden definisce questo funzionamento psichico patologico “posizione contiguo autistica”, sottolineando la natura primitiva di un pensiero primario privo di rappresentazione.

 

Senza rappresentazione, conclude Recalbuto, verrebbe meno il senso stesso del confine tra mondo interno e mondo esterno.

Nella mente troviamo, invece di quello che viene definito "l'apparato per pensare i pensieri", un vero e proprio buco nero psichico, fatto dell'insieme caotico e magmatico dei vissuti ridotti a mera sensazione non rappresentabile.

 

BUCO NERO DELLA MENTE

Per approfondire:

Agostino Recalbuto – “Tra il dire e il fare”;

Ogden – “Il limite primigenio dell’esperienza”;

Schafer – “aspetti dell’interiorizzazione”.

 

La concezione dello sviluppo psichico della psicoanalisi non freudiana si sviluppa secondo due traiettorie antitetiche: da una parte l’inseguimento kleniano del pre verbale e del prelinguistico come dimensione originaria dell’esperienza, a partire dalla suddivisione tra fase schizoparanoide, fase depressiva; dall’altra la concezione lacaniana che sottolinea la dimensione astratta di ogni concezione pre verbale, proprio per l’assenza stessa del processo di rappresentazione.

 

Come è possibile descrivere qualcosa che non può essere rappresentato e toccato con le parole?


Come affrontare clinicamente il "buco nero della mente"?

 

La risposta della psicanalisi delle relazioni oggettuali si fonda sulla centralità del transfer t’primario e primitivo del paziente nella relazione analitica; tuttavia il rischio è di mescolare transfert e contro transfert, determinando quindi processi proiettivi incontrollabili e finendo per imporre al paziente la sensazione dell’analista.

 
 
 

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