ANTIGONE CONTRO CREONTE
- riccigianfranco199
- 26 feb
- Tempo di lettura: 4 min
La tragedia “Antigone” conclude il “ciclo tebano” di Sofocle, composto da tre tragedie: “Edipo Re”, “Edipo a Colono” e “Antigone”. Questa tragedia è rappresentata per la prima volta ad Atene alle “Grandi Dionisie” del 442 a.C.
Sofocle pone al centro il tema della legge: quando è giusto rispettare una legge? Una legge può essere violata se è ingiusta? Cosa rende una legge “giusta”?

Nel pieno della guerra civile per il trono di Tebe, i due fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice, su fronti opposti, muoiono in combattimento. Il verdetto del sovrano Creonte è terribile: Polinice è nemico dello stato e per questo non ha diritto ad una degna sepoltura.
Dice Antigone:
“Non ha forse Creonte ritenuto degno di sepoltura uno dei nostri due fratelli, e questo onore ha negato all'altro? Eteocle, a quanto dicono, egli ritenne giusto di trattarlo secondo la giustizia e il rito, e lo seppellì sotto terra, perché fosse onorato giù tra i morti. Ma di Polinice, che ha miseramente trovato morte, dicono abbia ordinato ai cittadini che nessuno chiuda il cadavere in una tomba né lo pianga: di lasciarlo illacrimato e insepolto, gradito tesoro per gli uccelli che spiano spiano il piacere del pasto…”
Ismene, sorella di Antigone, aggiunge:
“Bisogna riflettere su questo, che siamo nate donne, sì da non poter lottare contro uomini; e poi che, essendo sottoposte a chi è più forte, dobbiamo obbedire a questi ordini ad altri ancora più dolorosi. Io quindi, supplicando i morti sotterra di perdonarmi perché sono costretta così, obbedirò a chi comanda, non ha senso alcuno fare cose troppo grandi”.
Antigone sceglie di rispettare “la legge del cuore”, la legge divina, che impone la sepoltura e il rito funebre in onore del fratello. Per questo, sarà sorpresa dalle guardie e condotta davanti a Creonte, che la condannerà a morte.

Creonte: “hai osato trasgredire questa legge?”
Antigone: “Ma per me non fu Zeus a proclamare quel divieto, né Dike, che dimora con gli dèi inferi, tali leggi fissò per gli uomini. E non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dèi. Infatti queste non sono di oggi di ieri, ma sempre vivono, e nessuno sarà quando apparvero…”
Il coro commenta la vicenda, mostrando la follia che si nasconde dietro alla durezza di Creonte:
“Con saggezza da qualcuno un detto mirabile è stato rivelato: ritenere bene ciò che è male accade a colui la cui mente è un Dio conduce a rovina; e pochissimo tempo ottiene prima della rovina”
Antigone verrà quindi condannata e condotta lontano, perché la sua morte potesse essere nascosta.
Anche Emone, figlio di Creonte, cerca di smuovere il padre dalla sua scelta, invano. L’indovino Tiresia indica a Creonte la propria disapprovazione e il giudizio negativo delle divinità, ma a lungo Creonte rimane irremovibile: cosa resterebbe della sua autorità di sovrano, se permettesse di violare l’editto?
Tiresia incalza Creonte:
“A tutti gli uomini accade di errare: ma, dopo aver errato, cessa di essere uno stolto e un disgraziato colui che, caduto nel male, vi pone rimedio, e non rimane irremovibile. È la pervicacia che veramente merita accusa di stoltezza.”
Solo alla fine, Creonte ritorna sui suoi passi, ma è troppo tardi: Antigone si è tolta la vita; ai suoi piedi, Emone, furioso contro il padre – tiranno, si ferisce a morte con una spada. Sconvolta da queste notizie, Euridice, moglie di Creonte, si uccide.
L’assoluto della legge di Creonte, lungi dal salvare lo stato, porta alla sua rovina e allo spegnimento della vita.
Creonte: “Ahi, porto inesorabile di Ade, perché, perché mi uccidi? O tu che mi porti funesto annuncio di dolori, quale parola dici? Ahi, un uomo morto tu finisci.”
E ancora:
“Ahimè, su nessun altro mai dei mortali tutto ciò ricadrà, liberandomi dalla colpa! Perché io, io ti uccisi, lo sciagurato; Io, dico il vero. Servi, allontanatemi al più presto, portatemi via; Io non sono altro che nulla”

La tragedia mette in risalto due versanti della legge: il versante immaginario, la legge di Creonte, la legge del più forte, che spande odio e ingiustizia, alimentando il conflitto; il versante simbolico, del limite, la legge divina, che riporta pace dopo il conflitto.
L’operazione di Antigone, portare sepoltura ad entrambi i fratelli, ha come effetto la pacificazione dopo lo scontro. Creonte rifiuta questo passaggio, alimentando una spirale mortifera che distruggerà la propria famiglia.
Per approfondire:
-Sofocle – “Antigone”;
-Eva Cantarella – “Contro Antigone”;
-Sotera Fornaro – “Antigone, storia di un mito”.
Jacques Lacan, nel corso del suo Seminario, ha commentato a lungo la tragedia di Sofocle. Per Lacan, la figura di Antigone incarna una versione “assoluta del desiderio”, capace di arrivare fino al sacrificio ultimo pur di realizzare la propria causa.
Questa dimensione estrema della volontà segna la rovina tanto di Antigone quanto di Creonte: il vero assente della tragedia sofoclea è il limite, incarnato dalla legge divina, non riconosciuta dal sovrano della Città, che, elevatosi al rango di assoluto, intende perfino sostituirsi alle divinità.
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