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JUNG E LA FELICITÀ

Tra il 1934 e il 1939, Carl Gustav Jung ha tenuto un seminario, a Zurigo, dedicato al capolavoro di Nietzsche “Così parlò Zarathustra”.


Si tratta di un lungo e ricco seminario, pieno di “perle psicologiche”; tra le più importanti, troviamo un’arguta riflessione di Jung sulla felicità.



Nel corso dell’ultima lezione del seminario, il 15 febbraio 1939, in un’Europa prossima al baratro della guerra, Jung afferma:


“il vero eroe viene inghiottito dalla terra – la madre, il drago, la balena – e in apparenza finisce sconfitto e raggiunge la schiera dei suoi antenati totemici, ma in seguito fa ritorno con loro e li riporta indietro. È questo l’eroe vero secondo la mitologia, non quello che se ne scappa con una volontà e due piedi. Quindi Nietzsche prosegue:


“la terra dei vostri figli voi dovete amare: sia questo amore la vostra nobiltà nuova, - la terra non ancora scoperta, nelle lontananze remote del mare! Questa terra io ordino di cercare e cercare, alle vostre vele!” (Z. p. 249)


Johannes Wilhelm (Hans) Olde, Friedrich Nietzsche malato sul letto, part., 1889



Qui egli spinge i suoi discepoli a dirigersi verso remote lontananze, quanto più lontano possibile dalle loro origini. Essi non dovrebbero ricercare quella terra per se stessi, ma per i loro figli, il che è ancora peggio.

Vedete, in un paese come in Inghilterra, in cui la gente ha dimostrato un egoismo decisamente sano, in cui ogni generazione ha provato ad incrementare la propria ricchezza e il proprio benessere, hanno lasciato condizioni assai dignitose ai loro discendenti. Ma se si fossero messi a correre dietro a tutti i paesi del mondo e se si fossero stabiliti in quel perduto altrove, che cosa sarebbe rimasto ai loro figli? Nulla di nulla.


Quando trascuri il tuo benessere per quello dei figli, lasci loro una pessima eredità, un orribile impressione del passato. Se ti torturi per realizzare qualcosa per loro, gli trasmetti l'immagine di una vita traboccante di tormenti.


Quindi piantiamola con questa idiozia.


È tutto sbagliato, dice il bambino, e commette l’errore opposto. Se ti prepari sempre per la felicità dei tuoi figli, non saprai prenderti cura della tua, e i tuoi figli non impareranno a prendersi cura della propria. A loro volta potrebbero andare avanti sulla medesima strada e preparare la felicità dei tuoi nipoti, e i nipoti quella dei tuoi pronipoti, e così la felicità finirà sempre per spostarsi da qualche altra parte nel futuro. Pensi che essa sia raggiungibile nel futuro, qualcosa che tu non potrai avere, ma i tuoi figli sì.


Così imbottisci la tua vita di ambizioni da realizzare in quel regno di là da venire che non giunge mai. Ogni generazione cade nella medesima trappola. Ci mettiamo tutti in croce per consentire ai figli di agguantare il miraggio, ma i figli crescono e si comportano da sciocchi proprio come noi.


Sono vittime dello stesso insegnamento malefico.


Cercate di raggiungere la felicità qui e ora, per voi stessi. Questo sì che è un buon insegnamento.


In tal caso anche i figli si sforzeranno di afferrarla qui e ora per se stessi - e con ciò essa riuscirà a farsi strada nel mondo reale. Non andate contro natura, perseguendo la felicità tra le generazioni future. Se siete eccessivamente preoccupati per i vostri figli e i vostri nipoti, non farete che gravarli dei debiti contratti da voi.


Se invece non vi mettete a carico alcun debito, se vivete semplicemente e vi rendete per quanto possibile felici, lascerete ai vostri figli le condizioni migliori. A ogni modo trasmetterete loro un buon esempio di come prendersi cura di se stessi.

Se i genitori si dimostrano capaci di assolvere questo compito, lo saranno anche i figli. Non perseguiranno la felicità dei nipoti, ma faranno quanto necessario per godere un po' di felicità – il giusto - in prima persona.”


Jung indica nella realizzazione della propria felicità, intesa come parte del più ampio processo di “individuazione”, un aspetto fondamentale della vita.


“Vivere per l’altro” diventa quindi, secondo Jung, un modo per perdere la bussola, per evitare di realizzare in prima persona il proprio desiderio.


Ecco che la lezione di Jung trova un potente eco nel concetto di testimonianza e nel rapporto tra le generazioni: il “buon insegnamento” è mostrare la via per realizzare il proprio talento, per rendere generativa la vita; un “cattivo insegnamento” è invece appesantire le generazioni future delle proprie insicurezze, dando loro il mandato impossibile di realizzare il nostro desiderio mancato.


Per approfondire:

-Friedrich Nietzsche – “Così parlò Zarathustra”;

-Carl Gustav Jung – “Lo Zarathustra di Nietzsche”


Jung così conclude:


“Dunque, quando una nazione intera arriva a torturarsi per il bene dei suoi figli, tutto ciò che lascia in eredità per il futuro è un patrimonio di infelicità, una promessa non mantenuta.

Perciò, invece di dire lo faccio per i miei figli, potrà compiersi nel venire, cercate di farlo per voi stessi, qui e ora a questo punto vedrete se le vostre aspirazioni sono realistiche oppure no. Se rimandate per i vostri figli, lascerete in sospeso qualcosa che non avete usato realizzare.

Chissà, forse eravate troppo stupidi per attuarlo. O magari, se ci aveste provato, avreste potuto scoprire che si trattava di una chimera, o comunque di un progetto insensato.

Al contrario se vi proiettate nel futuro, trasmetterete ai vostri figli meno di niente, solo un cattivo esempio.”


All’alba della seconda guerra mondiale, Jung rintraccia in un rapporto distorto con il desiderio e con le proprie ambizioni una delle cause del conflitto e del rapporto ostile tra i popoli. L’impossibilità di realizzare il proprio desiderio diventa un fardello insopportabile, assegnato come compito alle generazioni successive, a loro volta distratte dal compito fondamentale di realizzare se stesse, di trovare la propria strada.


Jung individua in un rapporto armonico con il proprio desiderio e con la vita, qui ed ora, una chiave per umanizzare la vita, per dare spazio al talento e all’unicità che caratterizza ciascuno.


Abbiamo parlato di Jung anche in questo articolo.


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