INTERVISTA A LACAN: LA VERITÀ DELLA PSICOANALISI
- riccigianfranco199
- 7 feb 2024
- Tempo di lettura: 19 min
Di seguito l'intervista completa del 31 maggio 1957 per il settimanale francese “L’Express”, pubblicata sulla rivista “La Cause du désir”.
I - Uno psicanalista mette soggezione. Si ha l'impressione che possa manovrarvi a suo piacimento... Che ne sa più di voi sui motivi dei vostri atti.
Lacan - Non esagera affatto, ma d'altronde, crede che questo effetto sia esclusivo della psicoanalisi? Per tanti un economista è altrettanto misterioso di uno psicanalista.
Siamo in un'epoca in cui è il personaggio dell'esperto che mette soggezione.
Riguardo la psicologia, malgrado fosse una scienza, ognuno credeva di avergli accesso dall'interno. Ed ecco che con la psicoanalisi si ha l'impressione di avere perso questo privilegio, l'analista sarebbe capace di vedere qualcosa di più segreto in ciò che a Lei sembra molto chiaro, ecco che si è nudi, sotto un occhio esperto, allo scoperto e senza sapere bene ciò che gli mostrate.
I - C'è in questo una specie di terrorismo, ci si sente velocemente strappati da sé.
Lacan - La psicoanalisi, nell'ordine dell'uomo, ha effettivamente tutti i caratteri di sovversione e di scandalo che ha potuto avere, nell'ordine cosmico, il decentramento copernicano del mondo: la terra, il luogo dove abita l'uomo, non è più il centro del mondo!
Ebbene, la psicoanalisi vi annuncia che Lei non è più il centro di se stessa, dato che c'era in lei un altro soggetto, l'inconscio.
È una notizia che inizialmente non è stata ben accetta. Con quanto preteso irrazionalismo si è voluto etichettare Freud! Ora è esattamente il contrario: non solo Freud ha razionalizzato ciò che fino ad allora aveva resistito alla razionalizzazione, ma ha anche mostrato in azione una ragione ragionante in quanto tale, vale a dire che ragiona e funziona in quanto logica, all'insaputa del soggetto - proprio nel campo classicamente riservato all’irragionevole, diciamo il campo della passione.
È quello che non gli è stato perdonato; si sarebbe pure accettato che avesse introdotto la nozione di forze sessuali che si impossessano bruscamente del soggetto senza preavviso e al di fuori di ogni logica ; ma che la sessualità sia il luogo di una parola, che la nevrosi sia una malattia che parla, ecco una cosa bizzarra, e persino alcuni discepoli preferiscono che si parli d'altro.
Non bisogna vedere l'analista come un “ingegnere delle anime”; non è un fisico, non procede stabilendo relazioni da causa effetto: la sua scienza è una lettura del senso.
Sarà per questo che, senza sapere bene che cosa si nasconde dietro le porte del suo studio, si tende a prenderlo per uno stregone, e persino un po’ più grande degli altri.

I - E che ha scoperto dei segreti terribili virgola che emanano odore di zolfo...
Lacan - Bisogna però precisare di che ordine sono questi segreti. Non sono segreti della natura come quelli scoperti dalla fisica o dalla biologia. Se la psicoanalisi chiarisce i fatti della sessualità, non è affrontandoli nella loro realtà e nemmeno nell'esperienza biologica.
I -Freud però ha scoperto, alla maniera in cui si scopre un continente sconosciuto, un campo nuovo dello psichico che chiamiamo “inconscio” o altro? coda Freud è un Cristoforo Colombo!
Lacan - Non si era aspettato Freud per sapere che esiste tutta una parte delle funzioni psichiche che non sono a portata della coscienza! Se ci tiene a fare un confronto, sarebbe piuttosto da fare con Champollion! L'esperienza freudiana non si situa a livello dell'organizzazione degli istinti o delle forze vitali. Scopre solo che esse si esercitano a una potenza seconda.
Freud non tratta di effetti istintuali alla prima potenza. Ciò che è analizzabile lo è solo in quanto è già articolato a ciò che costituisce la singolarità della storia del soggetto. Se il soggetto può riconoscervisi, è nella misura in cui la psicoanalisi permette il “transfert” di quell'articolazione.
In altri termini quando il soggetto “rimuove” ciò non vuol dire che rifiuta di prendere coscienza di qualcosa che sarebbe un istinto - mettiamo ad esempio un istinto sessuale che vorrebbe manifestarsi in forma omosessuale - no, il soggetto non rimuove la sua omosessualità, rimuove la parola dove questa omosessualità svolge un ruolo di significante.
Vede, non è qualcosa di vago, di confuso a essere rimosso; non è una sorta di bisogno, di tendenza che dovrebbe venire articolata (e che non si articolerebbe in quanto rimossa), è un discorso già articolato, già formulato in un linguaggio. È tutto già lì.
I - Lei dice che il soggetto rimuove un discorso articolato in un linguaggio. Tuttavia non è quello che si prova trovandosi di fronte a una persona con difficoltà psicologiche, un timido per esempio o un ossessivo. La loro condotta pare soprattutto assurda, incoerente; e quando si intuisce che eventualmente essa possa significare qualcosa, sarebbe qualcosa di impreciso che si recita pappagallescamente, ben al di sotto del livello del linguaggio. Anche a noi capita di sentirci guidati da forze oscure, che pensiamo essere nevrotiche, e che si manifestano con moti irrazionali accompagnati da confusione, da angoscia!
Lacan - I sintomi, allorché Le sembra di riconoscerli, sembrano irrazionali solo perché li considera isolati, e li vuole interpretare direttamente.
Veda i geroglifici egiziani: fino a quando si è cercato direttamente quale fosse il senso degli avvoltoi, dei polli, degli ometti in piedi o seduti o che si agitano, la scrittura è rimasta indecifrabile, poiché il piccolo segno “avvoltoio”, da solo, non vuol dire niente; prende il suo valore significante solo se preso nell'insieme del sistema a cui appartiene.
Ebbene, i fenomeni con cui abbiamo a che fare nell'analisi sono dello stesso ordine, un ordine di linguaggio.
Lo psicanalista non è esploratore di continenti sconosciuti o di grandi profondità, è un linguista: impara a decifrare la scrittura che è lì, sotto i suoi occhi, che tutti possono vedere; ma che rimane indecifrabile finché non se ne conoscono le leggi, la chiave.

I - Lei dice che questa scrittura “è offerta la vista di tutti”. Tuttavia se Freud ha detto qualcosa di nuovo e perché nell'ambito dello psichico si è malati perché si dissimula, si nasconde una parte di sé, si “rimuove”. Ora i geroglifici non erano rimossi, erano incisi nella pietra. Quindi il Suo paragone non può essere totale?
Lacan - Al contrario, bisogna prenderlo alla lettera: ciò che nell'analisi dello psichismo è da decifrare, è sempre lì, è presente sin dall'inizio. Quando Lei parla della rimozione, dimentica che per Freud, per come l'ha formulata, la rimozione era inseparabile da un fenomeno chiamato il “ritorno del rimosso”.
Lì dove è stato rimosso, qualcosa continua a funzionare, continua a parlare - grazie a cui del resto è possibile centrare, designare il luogo della rimozione e della malattia, e dire “è lì”.
È una nozione difficile da capire perché quando si parla di “rimozione” si immagina subito una pressione - una pressione vescicale ad esempio - ossia una massa vaga, indefinibile, che preme con tutto il suo peso contro una porta la cui apertura viene rifiutata.
Ora in psicoanalisi la rimozione non e rimozione di una cosa, ma rimozione di una verità.
Cosa succede quando si vuole rimuovere una verità? La risposta ce la dà tutta la storia della tirannide: si esprime altrove, in un altro registro, in un linguaggio cifrato, clandestino.
È esattamente quello che succede con la coscienza: la verità rimossa persiste, ma viene trasposta in un altro linguaggio, il linguaggio nevrotico.
Salvo che a un quel punto non si riesce più a dire qual è il soggetto che parla, ma solo che parla, ça parle, continua a parlare, e quello che succede è interamente decifrabile nel modo in cui viene, non senza una certa difficoltà, decifrata una scrittura persa.
La verità non è annientata, non è caduta in una voragine, è lì presente, ma è diventata inconscia. Il soggetto che ha rimosso la verità non governa più, non sta più al centro del proprio discorso: le cose continuano a funzionare da sole e il discorso ad articolarsi, ma al di fuori del soggetto. E quel luogo, quel al di fuori del soggetto, è ciò che chiamiamo, in modo rigoroso, l'inconscio.
Lei può vedere che non è la verità a essere persa, bensì la chiave del nuovo linguaggio in cui ormai esso si esprime. È qui che lo psicanalista interviene .
I - Non si tratta forse della sua interpretazione? Non sembra essere quella di Freud.
Lacan - Legga “L'interpretazione dei sogni”, “La psicopatologia della vita quotidiana”, “Il motto di spirito”. Basta aprire queste opere a qualsiasi pagina per trovarvi in modo chiaro ciò di cui sto parlando. Il termine censura ad esempio, per quale motivo Freud lo ha scelto sin dall'interpretazione dei sogni per designare le distanze frena, l’istanza che rimuove? Sappiamo bene cosa sia la censura, è Anastasia, una costrizione che si esercita con un paio di forbici. E su che cosa? Non su qualcosa che svolazza in area, ma su ciò che si stampa, su un discorso, un discorso che si esprime in un linguaggio.
Sì, il metodo linguistico è presente in tutte le pagine di Freud, in ogni momento egli si dedica concretamente a riferimenti, analogie, riavvicinamenti linguistici.
E poi, in fondo, in psicoanalisi al paziente si chiede solo una cosa, di parlare. Se la psicanalisi esiste, se ha degli effetti, è pur sempre nell'ordine di un'ammissione e della parola!
Tuttavia, per Freud, per me, il linguaggio umano non sorge negli esseri come lo sgorgare di una fonte. Veda come ci si viene rappresentato ogni giorno l'apprendimento dell'esperienza da parte del bambino: mette un dito sulla stufa e si scotta. Si ha la pretesa di affermare che a partire dal suo incontro con il caldo e con il freddo, con il pericolo, non deve far altro che dedurre e dirigere la totalità della civilizzazione.
È un'assurdità: dal momento che si scotta, viene messo di fronte a qualcosa di molto più importante che la scoperta del caldo e del freddo. Infatti quando si brucia c'è sempre qualcuno che gli va a fare tutta una predica. Il bambino deve fare uno sforzo maggiore per entrare nel discorso in cui viene sommerso rispetto a quanto ne debba fare per abituarsi a evitare la stufa.
In altri termini, l'uomo che nasce all'esistenza ha a che fare, in primo luogo, con il linguaggio. Questo è un dato. Vi è preso persino prima della nascita, non ha forse uno stato civile?
Sì il bambino che sta per nascere è circoscritto da una parte all'altra in quella amaca di linguaggio che lo accoglie e al tempo stesso lo imprigiona.

I - Ciò che rende difficile accettare l'assimilazione dei sintomi della nevrosi a un linguaggio perfettamente articolato è che non si capisce a chi si rivolge. Non è fatto per nessuno, dato che il malato, soprattutto lui, non lo capisce, e quindi serve lo specialista per decifrarlo! I geroglifici erano forse diventati incomprensibili, ma nei tempi in cui si usavano, servivano a comunicare alcune cose ad altri.
Ora, che cos'è questo linguaggio nevrotico che non è solo una lingua morta, non solo una lingua privata dato che è a lui stesso inintelligibile? Un linguaggio è qualcosa di cui ci si serve, e questo, al contrario, viene subìto. Prenda in considerazione l'ossessivo, che vorrebbe scacciare la sua idea fissa, uscire dall'ingranaggio...
Lacan - Sono proprio i paradossi a rappresentare l'oggetto della scoperta. Se questo linguaggio non si rivolgesse a un Altro non potrebbe essere inteso da un altro nella psicoanalisi. Quanto al resto bisogna prima riconoscere quello che è, e per questo situarlo precisamente in un caso, cosa che richiederebbe un lungo sviluppo, altrimenti si presenta come un disordine di cui non si capisce nulla. Ma è qui che, ciò di cui vi sto parlando, può mostrarsi in chiaro: in che modo il discorso rimosso dell'inconscio si traduce nel registro del sintomo.
E lei si renderà conto di quanto sia preciso.
Lei parlava dell'ossessivo. Consideri l'osservazione di Freud dal titolo “L'uomo dei topi”.
L'uomo dei topi era un grande ossessivo. Un uomo ancora giovane, con una formazione universitaria, che va da Freud a Vienna per dirgli che soffre di ossessioni: a volte sono preoccupazioni molto intense per le persone a lui care, a volte il desiderio di atti impulsivi come tagliarsi la gola, oppure divieti riguardo a cose insignificanti...
I - E riguardo alla sessualità?
Lacan - Ecco un errore di terminologia. Ossessione non significa automaticamente ossessione sessuale, e nemmeno ossessione di questo o di quello in particolare: essere ossessivo significa essere preso in un meccanismo, in un ingranaggio sempre più esigente e senza fine.
Quando deve compiere un atto adempiere a un dovere viene ostacolato da una particolare angoscia: riuscirà a compierlo? Dopo, quando la cosa è fatta, ha un bisogno straziante di andare a verificare, ma non osa, temendo di essere preso per un matto, perché sa bene di averla fatta, quella cosa. Si trova così invischiato in circuiti sempre più grandi di verifiche, di precauzioni, di giustificazioni. Si trova coinvolto in un vortice interiore per cui risulta impossibile lo stato di acquietamento o di soddisfazione. Il grande ossessivo non ha, tuttavia, nulla di delirante. Non vi è nessuna convinzione nell'ossessivo, ma solo quella specie di necessità, completamente ambigua, di dover cedere a un'insistenza che promana da se stesso, che non sa spiegarsi e che lo rende tanto infelice, tanto sofferente, tanto smarrito.
La nevrosi ossessiva è diffusa e può passare inosservata se non si conoscono quei piccoli segni che la rendono sempre palese. Si tratta di malati che sanno mantenere la loro posizione sociale, mentre la loro vita è corrosa dalla sofferenza e dallo sviluppo della nevrosi. Ho conosciuto delle persone che avevano funzioni importanti, non solo onorarie o dirigenziali, ma con responsabilità tanto ampie quanto Lei le potrebbe immaginare, e che assumevano in pieno pur essendo in preda alle loro ossessioni dalla mattina alla sera.
Ecco com'era l'uomo dei topi: sconvolto, invischiato in un rifiorire di sintomi che lo portano a consultare Freud dai dintorni di Vienna dove partecipava come ufficiale di riserva alle grandi manovre, e chiedergli consiglio su una faccenda inverosimile, ossia la storia di dover rimborsare alla posta la spedizione di un paio di occhiali, storia in cui si perde al punto di non sapere più che dire.
Se seguiamo letteralmente lo scenario istituito dal sintomo, che comprende anche i suoi dubbi riguardo a quattro persone, ritroviamo punto per punto trasposti in una grande sceneggiata, ma senza che lui se ne renda conto, le storie che hanno portato a quel matrimonio di cui egli stesso è il frutto.
I – Quali storie?
Lacan - La storia di un debito fraudolento del padre il quale, tra l'altro, dato che era militare, era stato degradato per slealtà, poi di un prestito che gli ha consentito di rimborsare il debito, ma di cui è rimasto oscuro il tema della restituzione all'amico che gli era venuto in aiuto, e infine l'amore tradito per concludere il matrimonio che gli aveva fruttato una “sistemazione”.
Per tutta l'infanzia l'Uomo dei topi aveva sentito parlare di questa storia - della prima in termini scherzosi, dell'altro in modo allusivo.
Quello che sorprende è che non si tratta di un evento particolare, e nemmeno di un evento traumatico che fa ritorno del rimosso, ma della costellazione drammatica che ha presieduto alla sua nascita. Si tratta, per così dire, della preistoria individuale, che proviene da un passato leggendario. Questa preistoria riappare nei sintomi che l'hanno veicolata in una forma irriconoscibile che alla fine si annoda in un mito rappresentato, di cui il soggetto riproduce la figura senza saperlo.
Infatti vi si trova trasposta nel modo in cui una lingua una scrittura può essere trasposta in un'altra lingua o in altri segni; è riscritta senza che i suoi legami siano modificati; o ancora come in geometria una figura trasformata dalla sfera nel piano, che evidentemente non vuol dire che qualunque figura si trasforma in qualunque altra.
I - E una volta che questa storia è stata messa in luce?
Lacan – Mi intenda: non ho detto che la cura della nevrosi è compiuta solo vedendo tutto ciò. Beninteso, nel caso dell'Uomo dei topi c'è dell'altro che non posso sviluppare qui.
Se bastasse che una preistoria sia l'origine di una coscienza, tutti sarebbero nevrotici. Dipende dal modo in cui il soggetto prende le cose, le ammette o le rimuove. E perché alcuni rimuovono certe cose?
Insomma, faccia lo sforzo di leggere “L'uomo dei topi” con questa chiave che lo trapassa da parte a parte: la trasposizione in un altro linguaggio figurativo, del tutto inosservato dal soggetto, di qualcosa che non si comprende che in termini di discorso.
I - Può essere che la verità rimossa si articoli, come dice Lei, come un discorso dagli effetti devastanti. Ma quando un malato viene da lei, non è alla ricerca della sua verità. È solo uno che soffre orribilmente e cerca sollievo. Se mi ricordo la storia dell'Uomo dei topi c'era anche un fantasma di topi….
Lacan - È come dire: “mentre Lei si occupa di verità, c'è lì un uomo che soffre”...
Insomma, prima di servirsi di uno strumento bisogna sapere che cos'è, com'è costruito. La psicoanalisi è uno strumento tremendamente efficace, ed essendo uno strumento di grande prestigio può venire impegnato in cose che non sono affatto ciò a cui sarebbe destinato, e del resto, facendo questo, lo si può solo degradare.
Bisogna quindi partire dall'essenziale: che cos'è questa tecnica, a che cosa si applica, di quale ordine sono i suoi effetti, effetti che scatena nella sua pura e semplice applicazione?
Ebbene, i fenomeni di cui si tratta nell'analisi, e a livello specifico degli istinti, sono degli effetti di un registro di linguaggio : il riconoscimento parlato di elementi maggiori della storia del soggetto, una storia che è stata tagliata, interrotta, che è caduta in una parte sottostante del discorso.
Quanto agli effetti che vanno definiti come appartenenti alla psicoanalisi, gli effetti analitici (come si dice effetti meccanici effetti elettrici) sono effetti dell'ordine di questo ritorno del discorso rimosso.
E le posso dire che dal momento in cui si mette il soggetto su un divano, anche se gli avete spiegato la regola analitica in modo sommario, il soggetto è già introdotto nella dimensione della ricerca della sua verità.
Sì, per il solo fatto di dover parlare, nel trovarsi impegnato a farlo davanti a un altro, al silenzio di un altro - un silenzio che non è fatto né di approvazione né di disapprovazione ma di attenzione - lo percepisce come un'attesa, e questa attesa è quella della verità.
A ciò si sente anche spinto dal pregiudizio di cui parlava prima: di credere che l'altro, l'esperto, l'analista, sa su di voi ciò che voi non sapete, la presenza della verità ne risulta fortificata, si trova qui in uno stato implicito.
Il malato soffre, ma si rende conto che la via verso cui rivolgersi per finalmente sormontare, calmare le sue sofferenze, è dell'ordine della verità: saperne di più e saperne meglio.
I – Allora l'uomo sarebbe un essere di linguaggio? Si tratta forse della nuova rappresentazione dell'uomo che dobbiamo a Freud: l'uomo è qualcuno che parla?
Lacan - Il linguaggio è l'essenza dell'uomo? Non è questione di cui mi disinteresso e non mi dispiace nemmeno che quelli che si interessano a ciò che vi dico vi si interessino, ma è di un altro ordine e, come dico a volte, si tratta della stanza accanto.
Io non mi domando “chi parla”, cerco di porre la questione in un altro modo, più formulabile: io mi domando “da dove parla (ça parle)”.In altri termini, se ho tentato di elaborare qualcosa non è nell'ordine della metafisica ma di una teoria dell'intersoggettività. Dopo Freud, il centro dell'uomo non è più dove si credeva e bisogna ricostruire su questo.

I - Se è il parlare che è importante, cercare la propria verità per la via della parola e della confessione, l'analisi non si sostituisce forse in qualche modo alla confessione?
Lacan - Non sono autorizzato a parlarLe delle cose religiose, ma mi ero lasciato dire che la confessione è un sacramento e che non è fatta per soddisfare ad alcun bisogno di confidenza. La risposta, anche consolante, incoraggiante, addirittura direttiva da parte del prete, non pretende costituire l'efficacia dell'assoluzione.
I - Dal punto di vista del dogma, Lei ha sicuramente ragione. Solo che la confessione si combina, e da un tempo che forse non copre tutta l'era cristiana, con quello che viene chiamato direzione di coscienza.
Non si cade qui nell'ambito della psicoanalisi? Fare confessare degli atti e delle intenzioni, guidare una mente che cerca la propria verità?
Lacan - Anche degli spirituali hanno giudicato la direzione di coscienza in modo molto diverso. In alcuni casi vi è stata la fonte di ogni sorta di pratiche abusive. In altri termini, tocca ai religiosi sapere come situarla e quale portata a darle.
Ma mi sembra che nessuna direzione di coscienza possa mettersi in allarme per una tecnica che ha come scopo la rivelazione della verità. Mi è capitato di vedere dei religiosi degni di questo nome prendere parte in affari molto spinosi dove era in gioco l'onore delle famiglie ed ho sempre visti decidere che mantenere la verità sotto il tappeto era di per sé un atto dalle conseguenze devastanti.
E poi tutti i direttori di coscienza vi diranno che la piaga della loro esistenza sono gli ossessivi e gli scrupolosi, poiché non sanno proprio da che parte prenderli: più li calmano, più la faccenda rimbalza, più gli forniscono delle ragioni, più tornano a porre delle domande assurde.
Tuttavia la verità analitica non è qualcosa di così segreto misterioso da non poter vedere sorgere spontaneamente la percezione di cosa si tratta in persone dotate per la direzione di coscienza. Ho conosciuto dei religiosi che avevano colto che una penitente, che veniva a scocciare con le sue ossessioni di impurità , aveva bisogno di essere riportata, in modo brusco, a un altro livello: si comportava con giustizia con la sua domestica o con i suoi figli? E ottenere, con questo richiamo brutale, degli effetti veramente sorprendenti.
A mio parere, i direttori di coscienza non possono trovare niente da ridire rispetto alla psicoanalisi: possono invece cavarne qualche spunto che potrà loro essere utile.
I - Può darsi. Ma la psicoanalisi è ben vista? Negli ambienti religiosi, non se ne fa piuttosto una scienza del diavolo?
Lacan - Credo che i tempi siano cambiati. Senza dubbio la psicoanalisi, dopo essere stata inventata da Freud, è rimasta a lungo una scienza scandalosa e sovversiva. Non si trattava di sapere se ci si credesse o no. Ci si opponeva violentemente con la scusa che le persone analizzate sarebbero state senza freni, si abbandonassero a ogni desiderio, si lasciassero andare a qualsiasi cosa.
Oggi, ammessa o meno in quanto scienza, la psicoanalisi è entrata nei nostri costumi e si sono rovesciate le posizioni: è proprio quando qualcuno non si comporta normalmente, quando agisce in modo che il suo ambiente considera “scandaloso”, che si parla di inviarlo da un analista!
Tutto questo entra in ciò che chiamerei non già con il termine troppo tecnico di “resistenza all'analisi”, ma di “obiezione massiccia”.
Non è meno frequente la paura di perdere la propria originalità e di essere ridotti al livello comune. Bisogna dire che, rispetto alla nozione di “adattamento”, si è prodotta in questi ultimi tempi una dottrina da generare confusione e da lì nasce l'inquietudine.
È stato scritto che l'analisi ha come scopo l'adattamento del soggetto, non del tutto nell'ambiente esterno, diciamo, alla sua vita e ai suoi veri bisogni; in chiaro questo significa che la sanzione di un'analisi sarebbe che uno diventi un padre perfetto, un marito modello, un cittadino ideale, insomma, qualcuno che non metta più nulla in questione. È
del tutto falsa. Falso come il primo pregiudizio che vedeva nella psicoanalisi il mezzo per liberarsi di ogni costrizione.

I - Non pensa che la gente tema soprattutto, cosa che la fa mettere in opposizione alla psicoanalisi, prima di sapere ancora se ci credo o meno in questa scienza, di essere spossata da una parte di sé, modificata?
Lacan - Questa preoccupazione è del tutto legittima, al livello in cui sorge. Dire che la personalità, dopo un'analisi, non si modificherebbe sarebbe proprio buffo! È difficile sostenere che al contempo si possano ottenere dei risultati con un'analisi e che si possono anche non ottenere, vale a dire che la personalità rimane intatta. Ma la nozione di personalità merita di essere chiarita, addirittura reinterpretata.
I - In fondo la differenza della psicoanalisi e le altre tecniche psicologiche sarebbe di non accontentarsi di guidare, di intervenire più o meno alla cieca, guarisce...
Lacan - Si guarisce quello che è guaribile. Non si guarirà il daltonismo né l'idiozia; anche se si potrebbe dire che sia il daltonismo che l'idiozia possono anche avere a che fare con lo “psichico”. Conosce la formula di Freud “là dove es è stato, io devo essere”? Bisogna che il soggetto possa reinstallarli al proprio posto, quel posto dove non era più, rimpiazzato da questa parola anonima che si chiama es.
I - Nella prospettiva freudiana sarebbe il caso di curare una grande quantità di persone che non sono considerate malate? In altri termini, sarebbe il caso di psicanalizzare tutti?
Possedere un inconscio non è il privilegio dei nevrotici. Ci sono delle persone che non sono palesemente gravate dal peso eccessivo di una sofferenza parassitaria, che non sono troppo ingombrate della presenza dell'altro soggetto dentro sé stessi, e che si adattano assai bene a questo altro soggetto - ma che comunque non avrebbero niente da perdere a conoscerlo.
Dato che, in fin dei conti, nell'essere psicanalizzato non si tratta d'altro che di conoscere la propria storia.
I -E questo è vero anche per i creatori?
Lacan - È interessante chiedersi se per loro sia preferibile andargli incontro oppure coprire con un velo quella parola che li attacca dal di fuori (è la stessa, insomma, di quella che ingombra il soggetto nella nevrosi e ne disperazione creatrice).
È meglio affrettarsi rapidamente per la via dell'analisi verso la verità della storia del soggetto oppure lasciar fare, come Goethe, un'opera che non è altro se non un'immensa psicoanalisi? I
In Goethe, la cosa è evidente: la sua opera è interamente una rivelazione della parola dell'altro soggetto. Ha spinto la cosa tanto lontano quanto è possibile quando si è un uomo di genio.
Avrebbe scritto la stessa opera se fosse stato psicanalizzato? Secondo me, l'opera sarebbe stata sicuramente diversa, ma non credo che ci avremmo perso.
I -E per tutti gli uomini che non sono dei creatori ma che hanno delle pesanti responsabilità, delle relazioni con il potere, pensa Lei che si dovrebbe istituire la psicanalisi in modo obbligatorio?
Lacan - In effetti si dovrebbe poter non avere dubbi che se non se un signore è presidente del consiglio sicuramente si è fatto analizzare a un'età normale, cioè da giovane. Ma la giovinezza a volte si prolunga molto in là.
I – Attenzione! Che cosa si potrebbe obiettare a Guy Mollet se fosse stato psicanalizzato? Se avrebbe potuto vantarsi di essere immunizzato quando i suoi contraddittori non lo sono?
Lacan - Non prenderò posizione quanto sapere se Guy Mollet farebbe o meno la politica che sta facendo se fosse stato analizzato! Non mi faccia dire che io pensi che l'analisi universale sia la panacea della soluzione di tutte le antinomie, che se tutti gli esseri umani fossero analizzati non ci sarebbero più guerre, né lotte di classe. Affermo formalmente il contrario. Al massimo si potrebbe pensare che i drammi sarebbero forse solo meno confusi.
Vede, l'errore è, come dicevo poc'anzi, volersi servire di uno strumento prima di sapere come è fatto. Ora nelle attività che sono per il momento vissute nel mondo sotto il termine di “psicoanalisi”, si tende sempre di più a ricoprire, misconoscere, mascherare l'ordine primo nel quale Freud ha portato la scintilla. Lo sforzo della grande massa della scuola psicanalitica è stato quello che chiama un tentativo di riduzione: nascondere in tasca tutto quello che era imbarazzante nella teoria di Freud. Di anno in anno vediamo accentuarsi questa degradazione fino a sfociare, a volte, come negli Stati Uniti, a formulazioni francamente contraddittorie rispetto all'ispirazione freudiana.
Non è perché la psicanalisi continua a essere contestata che l'analista debba tentare di rendere più accettabile la sua osservazione dipingendola con colori diversamente variopinti, con analogie prese in prestito in modo più o meno legittimo campi a dei campi scientifici vicini.
I - Quello che dici è molto triste, per i possibili analizzati...
Lacan - Tanto meglio se la faccio preoccupare. Per quanto riguarda il pubblico ritengo sia opportuno lanciare un grido di allarme con un significato molto preciso dal punto di vista scientifico: che sia un appello, un'esigenza fondamentale che riguardi la formazione dello psicanalista.
I -Non si tratta forse già di una formazione molto lunga e seria?
Lacan - All'insegnamento della psicanalisi come è oggi costituito - gli studi di medicina, e poi una psicoanalisi, un'analisi detta didattica fatta da un analista qualificato - manca qualcosa di essenziale, senza di cui io nego che si possa essere uno psicanalista veramente formato: lo studio delle discipline linguistiche e storiche, la storia delle religioni, ecc. Per inquadrare questa formazione Freud risveglia quell'antico termine, che mi piace riprendere, di universitas litterarum.
Gli studi di medicina sono chiaramente insufficienti per intendere ciò che l’analizzante dice, per esempio per distinguere nel suo discorso la portata dei simboli, la presenza di miti, o semplicemente per cogliere il senso di quello che dice, come il fatto di cogliere o meno il senso di un testo.
Almeno attualmente lo studio serio dei testi e della dottrina freudiana è reso possibile dall'accoglienza ricevuta nella clinica delle malattie mentali e dell'encefalo della facoltà offerta dal prof. Jean Delay.
I - Tra le mani di persone non sufficientemente competenti, pensa lei che la psicanalisi, così come è stata inventata la Freud, rischia di perdersi?
Lacan - Attualmente la psicoanalisi sta volgendo verso una mitologia sempre più confusa. Citiamone alcuni segni - la cancellazione del complesso di Edipo, l'accento messo sui meccanismi predici, sulla frustrazione, la sostituzione del termine angoscia con quello di paura. Ciò non vuol dire che il freudismo, il primo bagliore freudiano, non continui a fare il suo cammino ovunque. Se ne vedono le manifestazioni assolutamente chiare in ogni genere di Scienze umane.
Penso in particolare a quello che recentemente mi diceva il mio amico Claude Lévy-Strauss rispetto l'omaggio finalmente reso dagli etnografi al complesso di Edipo come una profonda creazione mitica nata nella nostra epoca.
È una cosa che colpisce, una cosa sorprendente che Sigmund Freud, un uomo solo, sia riuscito a circoscrivere un certo numero di effetti che non erano mai stati isolati prima e a inserirli in una rete coordinata, inventando così contemporaneamente una scienza e il campo di applicazione di questa scienza.
Ma rispetto all'opera geniale di Freud, che ha attraversato il secolo come un dardo di fuoco, il lavoro è molto in ritardo. Lo dico con convinzione. E non si andrà avanti fino a quando non ci sarà un numero sufficiente di persone formate per tutto il lavoro scientifico, tutto il lavoro tecnico, in quanto anche se il genio ha aperto il solco, poi per fare il raccolto ci vuole un esercito di operai.
Traduzione di Roberto Cavasola.
Si ringrazia la collega Antonella Pecoraro per aver fornito il numero della rivista “La Psicoanalisi”, che riporta questa intervista, il numero 73/74.
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